Dibattito fra comunisti. Ce n’è estremo bisogno, ma come si promuove?

Partiamo da un aspetto positivo e oggettivo.

Gli sconvolgimenti che si sono susseguiti negli ultimi anni, prendiamo ad esempio anche solo la concatenazione fra la pandemia, gli effetti della gestione criminale che ne ha fatto la classe dominante e l’inizio della “guerra in Ucraina”, hanno alimentato il dibattito nel movimento comunista cosciente e organizzato.

Differenti analisi della situazione, differenti valutazioni delle forze in campo e delle prospettive, il bisogno di alzare lo sguardo sulle cose del mondo e, soprattutto, di comprendere i tratti essenziali del movimento della società odierna hanno alimentato scambi e confronti, hanno fatto emergere divergenze e punti di intesa.

Non entriamo qui nel merito di quali siano i principali aggregati che hanno sintetizzato analisi e proposte (per questo rimandiamo alla Risoluzione n. 1 del VI Congresso Nazionale del P.CARC), qui ci interessa mettere in evidenza che questo attivismo nel campo della teoria e questa ricerca di discussione sono aspetti assolutamente positivi. E, quale che sia il punto o l’argomento da cui partono, pongono in ogni caso l’attenzione sui compiti dei comunisti oggi.

Analisi della situazione e compiti dei comunisti: è attorno a questi argomenti che si racchiude il senso del dibattito franco e aperto che attraversa pubblicazioni, iniziative, mobilitazioni.

L’estensione del dibattito e la sua profondità sono entrambi indici dello “stato di salute” del movimento comunista cosciente e organizzato, tanto a livello internazionale che nazionale. Il dibattito franco e aperto è uno strumento per la sua rinascita. Ed è “normale” (e sano) che man mano che le condizioni oggettive si sviluppano, anche l’esigenza del dibattito e l’individuazione di un suo sbocco positivo si facciano strada.

Proseguiamo con un aspetto negativo e soggettivo.

È ancora raro trovare compagni (e tanto meno partiti e organizzazioni) che salutano con entusiasmo il dibattito franco e aperto. È invece ancora molto diffusa la concezione che il dibattito sia in fin dei conti “una polemica che rallenta l’attività pratica”, “un modo per far emergere e mettere avanti differenze e disaccordi che ostacolano l’unità d’azione”. Una perdita di tempo, insomma.

Ma la verità è diametralmente opposta e senza dibattito l’unità di azione ristagna. Sulle conclusioni suddette, che derivano dritte dritte dal senso comune corrente, pesa anche la disabitudine a dibattere apertamente e con franchezza. Cioè succede spesso che la scintilla del dibattito abbia effettivamente la forma di una polemica sterile, appaia come una denigrazione da parte di chi vuole apparire “più comunista di te”.

Ecco, la concezione che confonde il dibattito con la polemica sterile, che imputa al dibattito il ruolo di “perdita di tempo”, va contrastata. Non basta affatto dire di volerla contrastare, bisogna superarla nella pratica, criticarla e isolarla quando si presenta e cercare la strada per far emergere le concezioni che stanno dietro a una certa posizione.

Tutte le prese di posizione derivano da una precisa concezione del mondo, hanno dei risvolti pratici sia nell’immediato che in prospettiva, hanno delle conseguenze che incidono direttamente sul come i comunisti devono affrontare un argomento o una situazione e su quello che devono fare.

Quanto più il dibattito – anche quando parte da questioni piccole e “contingenti” e ha la forma apparente di una denigrazione gratuita – fa emergere concezioni, idee, modi di vedere il mondo, tanto più è utile. Quanto più è finalizzato ad arrivare a una sintesi che abbia un risvolto pratico (non si tratta di “tranciare la discussione”, ma di tradurla nel concreto, in modo che non rimanga sospesa al livello “dei massimi sistemi”) tanto più è proficuo. Sia per chi vi partecipa in prima persona che per quanti beneficiano di quanto emerge, possono attingervi e portare, quindi, anche il proprio contributo.

Ci sono delle regole per alimentare positivamente il dibattito franco e aperto? Più che regole ci sono dei criteri.

Alcuni sono di facile comprensione: favorire il contenuto anziché la forma (scontro e confronto fra idee anziché il battibecco), contrastare l’eclettismo (contrastare il “parlare per parlare” e cercare il rigore e la coerenza con la discriminante di classe, con l’analisi generale, con la linea, con gli obiettivi generali e particolari che si perseguono). Altri presuppongono la comprensione del fatto che i problemi, le contraddizioni, i limiti e le resistenze che emergono dal dibattito, non sono mai “una croce” che pesa sulle spalle “di chi la porta”. Ogni limite e ogni resistenza che emerge nel campo del movimento comunista cosciente e organizzato è materia che riguarda tutti i comunisti, è un problema di tutti i comunisti, è un problema della lotta di classe tra proletariato e borghesia imperialista e si sintetizza nella lotta fra mobilitazione rivoluzionaria e mobilitazione reazionaria.

Alla luce di questi criteri è relativamente semplice imparare a cogliere tutte le opportunità di dibattito che si pongono e che il procedere della crisi generale impone ai comunisti. Sia sul piano dell’intervento alle elezioni, sia sull’analisi rispetto alla guerra che la Nato conduce per interposta persona contro la Federazione Russa, sia anche sul modo di concepire l’intervento nelle mobilitazioni spontanee delle masse popolari (ad esempio il movimento No Green Pass) o nelle mobilitazioni promosse dalle Larghe Intese (vedi l’articolo “Dobbiamo intervenire in ogni mobilitazione” a pag. 11). Quale che sia l’occasione, il dibattito è un’opportunità. Non per discutere e poi “ognuno rimane della sua idea” e neppure per convincere gli interlocutori, ma per trovare con la lotta fra le idee la strada più efficace per la rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato.

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