Gianni Tugnoli è stato assessore all’ambiente e all’energia del Comune di Bologna dal 1988 al 1990, con Amministrazione a guida PCI. Proponiamo questa intervista ricca di spunti, per varie ragioni. Essa radica le vicende attuali nella storia che la città ha di lotta per l’ambiente e mostra bene come quanto di sostenibile e “ben amministrato” è rimasto a Bologna è frutto delle lotte e dell’organizzazione passata delle masse popolari della nostra città.
Le parole di Tugnoli descrivono bene, inoltre, un percorso virtuoso nella lotta attuale e la sua prospettiva. In queste fase, infatti: 1) si è intensificato e alzato di tono “l’assedio” alle istituzioni locali e ai loro rappresentanti da parte di tutte le organizzazioni che lottano contro il Passante. L’Assemblea No Passante come tale ha promosso delle sue iniziative (come le spentolate di cui parla l’intervista), cioè un’iniziativa unitaria e continuata nel tempo; 2) ci sono state iniziative che hanno messo nel mirino, fisicamente, il cantiere e il Passante (nell’ottica sabotare i lavori e rendere ingovernabile la situazione); 3) si è ravvivato il cammino di costruzione del “gruppo tecnico”, che serva intanto da “osservatorio” per smascherare le menzogne delle versioni ufficiali (e un domani a indicare misure necessarie e alternative) e si leghi a un lavoro di propaganda sul territorio; 4) prosegue l’attività dei comitati territoriali, cioè di radicamento nei quartieri.
Questo è un percorso di costruzione di una nuova governabilità dal basso. Nessuna istituzione o Autorità che è espressione del sistema politico delle Larghe intese che da quarant’anni governa questo paese farà mai nulla che è contrario agli interessi dei “signori della guerra e del cemento” per conto dei quali firmano le carte, se non obbligate dalla mobilitazione popolare. Un governo alternativo del territorio e del paese, in definitiva, dobbiamo costruirlo noi. Il variegato movimento delle masse popolari organizzate ha già nel suo seno gli amministratori locali e nazionali che servono. Ogni rivendicazione, anche parziale, non ha altra via per imporsi definitivamente che una lotta generale perché esponenti dell’organizzazione popolare diventino membri di governi di emergenza locali e nazionali. Esempi di processi simili ce li consegna la storia passata, come i governi di fronte popolare in Spagna e Francia del 1936 o il governo Parri come sbocco della Resistenza antifascista del 1945, e recente, come le amministrazioni locali NO TAV. Sono tutte esperienze ricche di insegnamenti, che hanno incontrato delle contraddizioni e fatto emergere dei limiti nell’affrontarle. Superare questi limiti e battere quella via fino alle estreme conseguenze è il compito dell’oggi. Significa scrivere la storia. Perché la catastrofe è già qui, indietro non si torna e non abbiamo alternative.
Buona lettura.
Puoi raccontarci la storia della lotta contro il Passante a Bologna, inquadrandola anche nel più generale contesto delle lotte ambientali che ci sono state in città a partire dagli anni 80?
Già negli anni ‘80 sul tavolo dell’Amministrazione Imbeni c’era il nodo del potenziamento dell’asse A14/tangenziale. Sostanzialmente Società Autostrade, i grandi gruppi industriali dell’auto e del petrolio, il “partito dei costruttori” spingevano per allargare questa infrastruttura nella previsione di una crescita del traffico su gomma.
Debbo dire che scegliemmo in modo convinto, e direi nettamente maggioritario nelle maggioranze del Consiglio Comunale (allora PCI – PSI o Comunisti – Indipendenti di sinistra eletti nel Gruppo Due Torri) di non seguire queste pressioni pervasive, che già mettevano in campo molteplici sostenitori locali, in Confindustria e nelle organizzazioni economiche e nei partiti di Governo, DC e PSDI in testa.
Le Amministrazioni di Bologna e della Regione fecero una scelta nettamente diversa. Mettemmo in campo i progetti del trasporto pubblico di massa (una metropolitana leggera secondo il Piano Regolatore Generale degli anni ’80) e un “bosco urbano” lungo tutto il percorso dell’asse A14/tangenziale (per il PRG 211 ettari vincolati a Fascia Boscata).
Non dimentichiamo che venivamo dal referendum cittadino del 1984 (90% di votanti) proposto da Lega per l’Ambiente (poi Legambiente) ed ARCI, fatto proprio da PCI e Giunta Comunale per “liberare progressivamente il centro storico” della Città “dalle auto private dei non residenti” (70% di SI). Un segno della crescita di una nuova cultura ecologista mondiale. In quegli anni in Italia si scelse il No al nucleare, dopo il disastro di Chernobyl e, a Bologna, si svilupparono le prime esperienze culturali e politiche dei movimenti ambientalisti organizzati: Università Verde, i Verdi del Sole che Ride (presenti in Consiglio Comunale solo dopo il 1990) le “mamme verdi” della Bolognina (che contribuirono in modo decisivo a cambiare la scelta dell’Azienda Trasporti Consortile di fare un deposito bus nell’area della Zucca). Ed anche sul potenziamento dell’Asse A14-tangenziale si costituì un primo attivo Comitato a San Donnino, una spina nel fianco per gli amministratori: critici e propositivi. Allora ci impegnammo per realizzare il Sistema Automatico di Rilevamento Ambientale (SARA) sugli inquinanti.
Dunque anni di grande fermento culturale, sociale e di lotta politica.
Nel ‘90 molte cose cambiarono. Personalmente feci la scelta di non aderire al nuovo partito di Occhetto e alle elezioni interruppi volontariamente l’esperienza istituzionale. Pensavo fosse interessante ed più utile un impegno sociale. Andai a lavorare in una azienda di servizi e mi impegnai nel volontariato ecologista come attivista di Legambiente Bologna. Nonostante lo sviluppo di vari soggetti (anche WWF e Greenpeace organizzarono gruppi locali) le politiche di conversione ecologica, però, vennero progressivamente abbandonate in città: la fascia boscata fece pochissimi passi avanti dopo il primo intervento del 1989 ed anche gli investimenti sul trasporto pubblico, giustamente messi a punto con il Progetto (più adeguato) di Servizio Ferroviario Metropolitano (SFM) si arenò.
Prevalsero altre scelte: Fiera, Aeroporto, le privatizzazioni.
All’inizio degli anni 2000, vi è stata la scelta delle Amministrazioni Locali ed ASPI di allargare la A14 con una corsia dinamica. Con l’ipotesi infrastrutturale del Passante a Nord, sostenuta per 13 (lunghi) anni, fino al punto che nel 2015 l’allora sindaco Virginio Merola annunciò, in previsione del rinnovo del mandato, l’avvio dei lavori. Società Autostrade, non era molto convinta, perché l’autostrada a nord comportava un chilometraggio molto superiore dell’attraversamento urbano e, soprattutto, un bando europeo per realizzarlo. Dunque, insistette per rivedere quella ipotesi. Che nel frattempo anche diversi Sindaci della pianura capirono avrebbe alimentato crescita, dissesto e conflitti difficili da contenere. Da qui nel 2016 scaturì un accordo a quattro: Matteo Renzi, Stefano Bonaccini, Virginio Merola e Giovanni Castellucci, senza passare dai rispettivi Consigli e neppure dalle rispettive Giunte, firmarono un impegno solenne, un “patto di ferro” per il Passante di Mezzo. La pratica di ascolto della cittadinanza è stata puramente formale e totalmente irresponsabile. Venne gestita interamente da Autostrade e da una società di consulenza: raccolsero tutte le osservazioni e le critiche, ma solo risposte preconfezionate. Solamente in autunno si riunirono le assemblee elettive, senza alcuna possibilità di discuterne liberamente. Tra l’altro ad elezioni avvenute. E per tanti di fronte all’alternativa “o Merola o il Centrodestra”.
Parliamo delle lotte che si sono sviluppate nel biennio 2016-2018, parlaci di quella storia.
Il primo impatto del progetto con la cittadinanza è stato un impatto molto forte. Ricordo un’assemblea molto partecipata al centro sociale di Croce Coperta, “La Casa Gialla”, con la presenza del Sindaco, degli assessori di allora: una assemblea molto partecipata e contrastata, con molto dissenso. Naturalmente venne presentata quella ipotesi come l’ipotesi meno impattante: l’ipotesi a Nord prevedeva indubbiamente edificazioni, crescita urbanistica, consumo di suolo vergine (e per questo era giustamente contrastato); il progetto Sud era un’ipotesi altrettanto sbagliata perché si sarebbe realizzata in tunnel sotto la collina che è sempre stata fragile dal punto di vista idrogeologico e salvaguardata dalle amministrazioni bolognesi. Quindi, se si doveva scegliere una via per sviluppare ulteriormente la mobilità su strada, il Passante di Mezzo veniva presentato come “soluzione meno impattante”. Il problema è che non veniva considerato in modo strategico il progetto di riduzione della mobilità automobilistica e del trasporto merci alternativo. E invece questa era la scelta da privilegiare ed è ancora oggi la scelta da fare. Con gli investimenti necessari. Per affermare comunità eco-compatibili e garantire la biodiversità.
Questo aspetto emerse nella discussione pubblica che si sviluppò intorno al passante? Ad esempio, con la partecipazione da parte ricercatori o ingegneri per elaborare progetti alternativi?
Ipotesi alternative sono state avanzate. Si è ripreso il ragionamento sul Servizio Ferroviario Metropolitano, sulla integrazione intermodale dei trasporti, sulla sicurezza della mobilità ciclistica, sulla urgenza di ridurre il parco auto circolante (e specialmente circolante contemporaneamente). Sono intervenuti nel dibattito personalità riconosciute ed autorevoli, Istituti, centri di ricerca per avanzare proposte in direzione del trasporto pubblico e della mobilità sostenibile. Anche i PUMS (Piani Urbani per la Mobilità Sostenibile) ne hanno risentito positivamente.
Sicuramente si sarebbe potuto e dovuto fare di più. Ma agire nel contesto politico ed istituzionale dato non era facile. Pochi soggetti hanno fatto da sponda: nei primi anni il M5S o suoi singoli eletti, Coalizione Civica Bologna fino al 2021, e qualche singola personalità o attivista del Centrosinistra, dei Verdi o del PD.
Poi è arrivato l’accordo di coalizione per Matteo Lepore Sindaco: il “Passante di Ultima Generazione” e simbolo della “transizione ecologica” è una contraddizione palese. Come lo furono in passato la “guerra umanitaria” e i bombardamenti NATO su Belgrado. Insomma, il fronte ambientalista ha messo in campo risorse, proposte, progetti, ma sicuramente non si è inciso come necessario su partiti, gruppi politici ed Istituzioni. Sicuramente è stata importante l’esperienza costruita attorno alla manifestazione del 22 ottobre “Convergere per Insorgere”, ma anche dopo quella esperienza si sono verificate difficoltà a vincere l’assoluta indisponibilità all’ascolto da parte degli Amministratori Locali e nazionali: un muro di gomma che determina disaffezione, ribellione, astensione, crisi di democrazia.
Credo che la concretezza della crisi climatica ed ecologica, le alluvioni e le frane nel nostro territorio abbiano dimostrato drammaticamente quanto è necessario cambiare profondamente i parametri che alimentano questa crescita della economia e produttiva. Non possiamo continuare ad andare avanti consumando territorio, investendo su infrastrutture come quelle che sono state ipotizzate nel PRIT o con la “bretella” di collegamento tra le valli del Reno e del Setta. Insieme al “rigassificatore” di Ravenna e all’oleodotto che arriva a Minerbio alimentano l’industria fossile, un meccanismo di crescita che ha creato ed accentua tutti i problemi drammatici per il territorio della nostra provincia e della nostra regione. A Bologna basta percorrere il Savena. O dirigersi verso Molinella. Tutti gli investimenti vanno ripensati e le priorità cambiate.
Qual è stato il ruolo del comitato cittadino che si era costituito contro il Passante e come si è evoluto fino alla spaccatura che c’è stata con la candidatura di Colazione Civica alle comunali?
L’esperienza bolognese della Rete delle Lotte Ecologiste, ha avuto un colpo d’arresto. Alcune delle persone trainanti hanno scelto di candidarsi in Coalizione Civica. La linea di condizionamento del progetto autostradale con mitigazioni e compensazioni è subalterna alla cultura ed alle politiche di questo sistema di potere.
L’assemblea cittadina “No Passante”, pure con fasi alterne, è stata positiva: prima e dopo la grande manifestazione del 22 ottobre, sono cresciute esperienze, iniziative, comitati. Un importante protagonismo di giovani e meno giovani.
Un’esperienza a cui non si può rinunciare. Una voce forte e motivata è quanto mai indispensabile per tutti, per dare un riferimento concreto a una battaglia che si basa sulle necessità di vita della città e che guarda al futuro, alla vita democratica, libera e “bella”.
Quella dell’Assemblea No Passante di Bologna (ANPB) è un’esperienza importante: secondo noi questo organismo può rappresentare il luogo per creare un coordinamento capace di esprimere un logo, un calendario comune, una proposta alternativa per l’ambiente. Ci sono diverse anime all’interno dell’assemblea: c’è chi si concentra sulla richiesta di una nuova VIA [Valutazione di Impatto Ambientale] o di una VIS [Valutazione di Impatto Sanitario], chi pratica forme militanti come irruzioni in consigli comunali o l’occupazione dei cantieri. Sono nati comitati di quartiere. Tutti stanno dentro l’ANPB convergendo su una comune battaglia.
Vedo un pluralismo di culture, componenti, organizzazioni specifiche, che sono una ricchezza. Unisce l’obiettivo di contrastare una scelta sbagliata, che compromette il futuro. Penso però utile una forma di coordinamento, di confronto e di concorso nella definizione delle scelte prossime.
Dobbiamo accettare le diversità di cultura e politica. Ma anche rafforzare ciò che accomuna.
Una moratoria sull’opera. Particolarmente dopo il maggio vissuto. Bloccare l’avanzamento dei cantieri. Riaprire parchi e giardini chiusi ai cittadini per lungo tempo. E ancor prima del varo del Progetto Esecutivo, fermo al Ministero. Senza una Valutazione dell’Impatto Sanitario. E con una VIA da rifare.
Per la fase verso la quale andiamo penso ad iniziative di disobbedienza civile non violenta.
Inoltre: dotarsi di un logo, cioè di un simbolo che accomuni tutti i diversi soggetti che sono impegnati in questa battaglia. Ogni organizzazione che vuole crescere e radicarsi attorno ad un obiettivo e mettere in campo non solo i singoli aderenti ad un soggetto esistente, ma attivare persone, ha una “bandiera” con cui caratterizzarsi.
L’idea di avere bandiere che sventolano alle finestre delle case o magliette per le strade, le piazze e nei cortei, nelle scuole, nei luoghi di lavoro sarebbe bello. Può impegnare nuovi possibili protagonisti.
Bene le spentolate del lunedì sotto al Comune, poiché l’idea di occupare uno spazio centrale per fare sentire la voce ferma e determinata di chi pensa ai Beni Comuni ed al futuro è decisiva per allargare i consensi e rappresentare un punto di vista di tanti “invisibili”. Credo però sia anche qui il momento di articolare maggiormente questa presenza con parole, immagini, una comunicazione creativa efficace che attivi gruppi teatrali, di canto e di arte varia. Le pentole e il rumore servono giustamente per rispondere al silenzio assordante delle Istituzioni. Ma l’Assemblea No Passante ha energie e risorse maggiori da mettere in campo, argomenti e progetti di vita. Anche competenze e testimonianze da conoscere. Le autorità preposte non coinvolgono medici, biologi, geologi, urbanisti, studenti, casalinghe, anziani, disabili? Facciamolo noi. Attingendo dal patrimonio di cultura che è presente a Bologna e in Italia.
Una altra proposta è dotarsi di un Archivio comune di documentazione, raccolta dati, iniziative.
Tanti sono e saranno curiosi. Nessuno deve rimanere senza conoscenze, risposte, chiarimenti.
Vanno sollecitati anche interlocutori distanti o che preferiscono rimanere in ombra. Dobbiamo avere questa forza se vogliamo portare a casa un risultato. Troppi eletti, consiglieri o parlamentari, sindacalisti o funzionari pubblici non si pronunciano. Assumiamo iniziative. In particolare, rispetto alla contraddizione lavoro-ambiente, abbiamo bisogno di una conversione ecologica che migliori la qualità della vita e delle produzioni. Che sia capace di creare un’alternativa di lavoro per l’occupazione esistente, una parte della quale presto scomparirà. Tutto difficile. Ma strategico anche per le organizzazioni sindacali dei lavoratori. A Bologna si deve ricordare la situazione di crisi alla Industria Italiana Bus, già Breda, già Menarini. A livello nazionale la ex GKN e con il suo Collettivo di Fabbrica. Questi problemi sono nostri. Conversione ecologica, giustizia sociale e democrazia partecipativa e deliberativa sono le sfide dei prossimi decenni.