Pubblichiamo la lettera che una compagna ci ha scritto dopo la notizia dell’omicidio di Giulia Tramontano. Quello che emerge è la necessità di affrontare sempre più apertamente i fatti e le contraddizioni da cui originano con una lente di classe.
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Cari compagni dell’Agenzia Stampa, da giorni televisioni e giornali non fanno che parlare dell’omicidio di Giulia Tramontano, accoltellata il 27 maggio a Senago in provincia di Milano dal fidanzato Alessandro che, dopo averla uccisa, ha tentato di darle fuoco per poi gettarla in un’intercapedine a pochi passi dalla loro casa.
Tanti gli aspetti di questa storia che hanno scatenato l’opinione pubblica. Giulia aveva 29 anni ed era incinta al settimo mese di gravidanza. Aveva scoperto la relazione parallela che il fidanzato intratteneva da circa un anno con un’altra ragazza. Aveva stretto con lei un legame di solidarietà e per questo si erano incontrate al bar nel quale Alessandro lavora per raccontarsi la verità, per dimostrargli che il suo castello di bugie era crollato e che si sarebbero sostenute nel riprendere in mano le loro vite. Poi Giulia scompare e l’epilogo è quello che conosciamo.
Nei salotti televisivi c’è chi parla dell’ennesimo femminicidio, chi del mostro celato dietro la faccia del bravo ragazzo. C’è chi critica il Pubblico ministero per non aver contestato ad Alessandro il duplice omicidio, visto che a sette mesi un bambino può nascere e sopravvivere, o chi afferma che gli basterà redimersi davanti a dio per essere assolto da una colpa che difficilmente sulla terra qualcuno riuscirà a perdonargli.
Una storia, questa come altre della stessa gravità, che oltre a sollevare clamore mediatico mi sembra utile a riflettere su fatti e circostanze che a un’analisi superficiale sembrano essere frutto della pazzia di uomini troppo possessivi. Educati a considerare le donne oggetti di cui potersi disfare, anche ammazzandole, quando non rispettano le loro volontà, quando mettono a rischio la loro reputazione e diventano quindi un ostacolo nella loro vita.
Una storia che, soprattutto, mostra il profondo malessere e in certi casi la follia che pervade questa società, dove l’incapacità di gestire la propria vita e le situazioni che essa ci pone davanti crea disadattati, mostri e in questo caso assassini. Spaventosi e deboli, orribili e fragili. Incapaci. Prodotti malati di un mondo malato e in crisi perché diretto da una classe che ha finito il suo tempo e gestisce una società antistorica e a fine corsa.
Ovviamente questo discorso non giustifica l’assassino di Giulia, né tutti quelli che si rendono artefici di azioni come le sue. Serve piuttosto a guardare oltre i fenomeni esteriori e comprendere il senso delle cose. Solo questo ci darà la consapevolezza di cosa serve fare perché queste tragedie non si verifichino più.
Io da comunista so che in generale per questa società la soluzione non può che essere la fine del capitalismo e l’avvento di una nuova società, il socialismo. Solo in quella società si tratteranno in profondità e con uno sbocco positivo queste contraddizioni.
Ma sempre da comunista e da compagna, quando leggo notizie di omicidi come quello di Giulia mi chiedo, cosa posso fare ora? E quello che posso fare ora come posso legarlo alla lotta più generale che portiamo avanti?
Il giustizialismo dei media, l’assoluzione penosa dei preti e il chiacchiericcio che il circo dell’intossicazione borghese non servono a nulla, anzi sono dannosi proprio perché non danno sbocchi. Non li danno soprattutto perché ne fanno una questione di individui e non un problema di classe, una questione sociale, quindi politica.
E allora per questo da comunista e da compagna penso che nel Movimento comunista cosciente e organizzato del nostro paese dobbiamo costruire più momenti di confronto su queste tematiche, non tanto per fare autocoscienza, per prendere atto del mondo mostruoso in cui viviamo o per limitarci alla denuncia del fatto, ma per affrontarle come questioni di classe e di lotta, per fare dell’Italia un paese socialista.
Dobbiamo sforzarci di costruire nel fuoco della lotta, già da ora, una socialità, collettivi e famiglie sane. Dobbiamo educarci ad essere protagonisti delle nostre vite e imparare collettivamente ad affrontare problemi, contraddizioni, paure e timori. Dobbiamo trasformare lo schifo che ci circonda in un’opportunità. Poiché si tratta di fare fronte anche a un’evidente necessità.
Questo implica anche una vera lotta a tutte quelle concezioni, idee e degrado in cui la borghesia ci trascina.
L’umanità non è buona o cattiva come dicono i preti. Gli individui non sono schegge impazzite e indivisibili che compongono la società. Sono frutto di essa, delle relazioni che promuove e delle esperienze in cui sono inseriti. Ma sono anche artefici di essa, nella misura in cui lo sviluppo della società dipende dalle idee e dalle azioni degli uomini. Per noi comunisti e le masse popolari essere artefici della società vuol dire unirsi, organizzarsi e affrontare ogni questione da un punto di vista di classe, di lotta per l’emancipazione della maggioranza della popolazione da chi sfrutta, opprime e specula sulla loro pelle e sulla loro vita.