L’11 giugno ricorre il ventiquattresimo anniversario della fine dei bombardamenti NATO sulla Repubblica Federale di Jugoslavia (RFJ), formatasi nel 1992 dall’unione delle repubbliche di Serbia e Montenegro (tra cui le province socialiste autonome del Kosovo e della Voivodina).
Nel solco e in continuità con i conflitti intestini e settari iniziati nel 1990-1991 (processo protrattosi fino al 2001) tra le diverse entità della (ex) Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia e con gli interventi della Comunità Internazionale, l’intervento militare NATO del 1998-1999 mirò allo smembramento della RFJ.
Il risultato fu la costituzione di uno Stato fantoccio, il Kosovo, abitato in prevalenza da popolazione albanese.
L’operazione NATO Allied Force (Forza Alleata), avviata a fine febbraio del 1999, perdurò per 78 giorni causando migliaia di vittime civili, senza contare il lungo strascico di conseguenze derivate dall’utilizzo di armamenti all’uranio impoverito.
Le bombe della NATO furono sganciate, anche, dal governo italiano presieduto da M. D’Alema attraverso basi aeronautiche (tra cui quelle di Aviano – PN e di Poggio Renatico – FE) e navi nell’Adriatico, giustificandole come “intervento umanitario”.
Al termine dei bombardamenti, su mandato delle Nazioni Unite venne istituita la KFOR – Kosovo Force, una “forza di pace e di interposizione” della NATO che dal 12 giugno 1999 ha assunto il compito di mantenere l’ordine pubblico e la stabilità nell’area.
Da allora, la KFOR occupa il Kosovo e la sua presenza concorre alla segregazione, in stile apartheid, della minoranza serba nel nord della regione promossa dai governi a capo dello Stato fantoccio kosovaro.
Il Kosovo è quindi, fin dal 1999, un paese militarmente occupato dalla NATO e la KFOR è uno strumento e una garanzia per gli interessi USA e UE nella zona, sia a livello politico che economico-finanziario.
Quello che succede oggi non è che un ulteriore capitolo del processo avviato negli anni novanta del secolo scorso, quando l’obiettivo di smembrare definitivamente la RFJ si è tradotto nello smantellamento delle caratteristiche ereditate dall’esperienza della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, soprattutto rispetto all’apparato produttivo, alle infrastrutture, alla gestione della popolazione e altri. In questo, protagonista di primo piano fu la Germania che, con grande foga, si gettò sulla Jugoslavia per accaparrarsela e far fuori un potenziale concorrente.
Quest’obiettivo era però parte della più ampia strategia degli imperialisti USA di accerchiamento della Federazione Russa (oggi giunta sulla linea di confine con la guerra in Ucraina) e per raggiungerlo era necessario eliminare S. Milošević e tutte quelle autorità che non chinavano il capo a Washington.
Raggiunti gli scopi, l’intera regione è stata trasformata in uno dei principali hub a livello mondiale per i traffici delle organizzazioni criminali di mezzo mondo: dal traffico di droga a quello di organi ed esseri umani tanto che il Kosovo è di fatto un narco-stato e perfino l’ONU ha dovuto riconoscere il problema.
Infine, il Kosovo registra un’alta concentrazione di terre rare e minerali. Nel suo sottosuolo abbondano giacimenti di carbone, zinco, piombo, argento e cromo, ma anche di bismuto, cadmio e lignite e ci sono elementi di terre super-rare, come il cesio. Da ormai un decennio, i gruppi imperialisti USA e UE puntano ad essere, senza fronzoli, i capifila del loro accaparramento: è una fonte d’interesse particolarmente calda per i capitalisti, soprattutto quelli che vogliono commerciare nel settore dell’auto elettrica ma non solo.
Ne deriva che la presenza, e tutte le ingerenze ad essa correlate, della NATO nella regione è la fonte primaria dell’instabilità dell’intera area. Gli interessi USA-UE rendono i Balcani un ulteriore campo di promozione della tendenza alla guerra e dell’allargamento della guerra stessa in Europa, un “secondo fronte” dopo l’Ucraina.
In questo, l’Italia è direttamente coinvolta e ha un ruolo di primo piano.
La guida della KFOR è oggi infatti italiana, con la presenza – massima – di 852 militari, 137 mezzi terrestri e 1 mezzo aereo. Il tutto all’interno di un contingente internazionale di 3.800 militari circa da 27 paesi diversi a cui, in seguito agli scontri di fine maggio, si sono aggiunti ulteriori 700 effettivi, in particolare dalla Turchia.
A questa decisione della NATO ha fatto subito eco l’entusiasmo dell’Alto Rappresentante UE, J. Borrell.
La NATO sfrutta la situazione per soffiare sui venti di guerra e per colpire la Federazione Russa e i suoi alleati nella regione, tra cui la Serbia.
Ancora oggi, come dimostrano i recenti eventi, la situazione nelle municipalità e nelle enclave serbe in Kosovo è incendiaria.
Il tappo del malcontento popolare, che montava da tempo e con particolare forza a partire dalla dichiarazione unilaterale d’indipendenza dalla Serbia nel 2008, è saltato con le elezioni municipali del 23 aprile scorso nei comuni del nord del Kosovo a maggioranza serba, in particolare quelli di Zvecan, Leposavic e Zubin Potok.
Questi, hanno visto l’elezione di rappresentanti politici di etnia albanese – kosovara emanazione dello Stato fantoccio, con un’affluenza al voto di appena il 3% dell’elettorato.
La maggior parte della popolazione serba ha dapprima apertamente boicottato le elezioni indette dallo Stato fantoccio, poi non ha accettato l’esito delle elezioni. In occasione dell’insediamento dei sindaci nelle municipalità contese, la polizia kosovara è intervenuta duramente contro le mobilitazioni serbe, portando a duri scontri fin dentro le sedi comunali.
La KFOR, da buona truppa d’occupazione, è intervenuta gettando ulteriore benzina, uscendone però con decine di militari feriti tra cui anche 11 italiani.
Noi comunisti italiani ci opponiamo alle politiche guerrafondaie dei governi delle Larghe Intese nostrane e alimentiamo l’organizzazione e il coordinamento delle masse popolari contro la guerra. Mentre il nostro paese è già invischiato mani e piedi, con l’invio di armi e con le sanzioni economiche e commerciali, nella guerra in Ucraina sotto l’ombrello della NATO contro la Federazione Russa, ora è in prima fila anche in Kosovo.
Questo dimostra la prostituzione del nostro paese agli imperialisti USA e il loro braccio armato, la NATO e contro questo sistema dobbiamo combattere uniti perché elemento strutturale che devasta il nostro paese e affama, di riflesso (come dimostra la crescente dipendenza energetica nei confronti degli USA con i rigassificatori), le masse popolari.
La questione è quindi semplice: che ci fanno i militari italiani dal lato sbagliato delle sponde dell’Adriatico quando dovrebbero essere dispiegati nei territori disastrati in Romagna, Marche e simili?
Mentre la Sardegna è un teatro di guerra per le esercitazioni NATO (con il corredo di servitù militari, inquinamento e incidenze tumorali elevate), la Romagna è ancora sommersa da acqua e fango: perché questi militari sono in Kosovo e non vengono inviati e utilizzati nelle zone più colpite dove l’assenza dello Stato è sempre più evidente?
Il fango asfissia terreni e città, centinaia sono ancora gli sfollati e molti di più non potranno rientrare nelle proprie case, le frane isolano intere comunità e i costi del settore agroalimentare sono già alle stelle (senza contare le decine di migliaia di posti di lavoro che stanno saltando): i militari italiani servono in Romagna per ripristinare in tempi rapidi il territorio, non oltremare quali strumenti per l’allargamento della guerra!
Ecco, stare sotto l’ombrello della NATO significa anche questo: uomini e risorse che servono alla popolazione investite per la guerra in Europa!
Fuori la Nato dai Balcani!
Fuori l’Italia dall’occupazione militare nato nei Balcani!
L’Italia non deve essere complice della promozione dell’instabilità nei Balcani tesa ad alimentare l’attacco alla Federazione russa da parte degli imperialisti Usa e Ue!
Fuori la Nato dall’Italia, fuori l’Italia dalla Nato!
Per queste ragioni, avanti nel
– promuovere manifestazioni comuni contro la guerra e la partecipazione dell’Italia alla NATO,
– denunciare ogni base militare NATO e USA sul nostro territorio,
– bloccare e sabotare l’invio e il trasporto di armi verso l’Ucraina e verso ogni teatro di guerra, generalizzando l’esempio del Comitato Autonomo Lavoratori Portuali di Genova contro l’invio di armi dai porti italiani,
– lanciare presidi davanti alle caserme dell’Esercito e alle Prefetture per il ritiro delle truppe italiane all’estero come in Kosovo e il loro utilizzo nei territori devastati.