I delegati hanno respinto l’emendamento che proponeva di sostituire a pag. 4, riga 34 della Dichiarazione Generale la dicitura “e contro la discriminazione di omosessuali, bisessuali, transessuali, ecc.” con “e contro la discriminazione della comunità LGBTQ+”.
Qui ci sono da approfondire questioni di metodo e questioni di merito.
Per quanto riguarda le questioni di metodo, la formulazione originaria della frase indica chiaramente che si parla di discriminazioni verso persone (individui) “omosessuali, bisessuali, transessuali, ecc.”, l’emendamento poggiava invece l’attenzione sulla “comunità LGBTQ+”. Ma questo è fuorviante: alla base della discriminazione c’è l’essere omosessuali, bisessuali, transessuali, ecc. non l’essere riuniti in una comunità.
Il discorso è estendibile a qualunque tipo di discriminazione. La discriminazione di genere colpisce le donne, non “la comunità in cui si riuniscono e organizzano le donne”. Lo stesso vale per le minoranze etniche: sono discriminati gli individui (poveri) che provengono dai paesi africani, per esempio, non la comunità degli immigrati africani (e tanto meno sono discriminate le “comunità” degli africani ricchi: i comitati di affari, le organizzazioni criminali, ecc.).
Per quanto riguarda le questioni di merito, il discorso va ampliato poiché comprende vari aspetti.
Anzitutto dobbiamo imparare a fare SEMPRE analisi concreta della situazione concreta. La cosiddetta “comunità LGBTQ+” non è rappresentativa di una contraddizione di classe esistente nella società borghese: è invece “un’invenzione” della classe dominante – con un particolare ruolo della borghesia di sinistra e, a ruota, della sinistra borghese – per nascondere ed eludere le contraddizioni di classe.
È uno strumento politico che concretamente ha contribuito a creare piccoli o grandi centri di potere entro i comitati di affari e le fazioni della classe dominante (una sorta di corporativismo), centri di potere che utilizzano la lotta per i diritti civili per coltivare propri interessi in ambito politico o economico. Per la classe dominante, infatti, la “comunità LGBTQ+” è, contemporaneamente, una categoria per indicare gli individui omosessuali, bisessuali, transessuali, ecc. verso cui ha interesse (ricchi) e una fetta di mercato (locali, case editrici, librerie, associazioni, ecc.).
L’articolazione del discorso può essere ulteriormente estesa: usando il giusto slancio di una parte delle masse popolari nella mobilitazione per i diritti civili, la classe dominante – sotto l’etichetta e con l’utilizzo del “marchio” comunità LGBTQ+ – sta promuovendo attorno alle “questioni di genere” (gender fluid) un’ampia operazione di diversione e intossicazione: promuove la supremazia del soggettivismo e della metafisica (“come mi sento” anziché “ciò che sono”), promuove la supremazia dell’individuo sulla collettività (“sono ciò che voglio essere, faccio ciò che voglio fare”) e, in definitiva, promuove il progressivo distacco fra gli individui e la classe sociale, fra il pensiero e la realtà, fra la realtà e la suggestione.
Anche per questi motivi, il P.CARC contrasta l’uso di termini direttamente assunti dal sistema di intossicazione promosso dalla borghesia imperialista, come lo è “comunità LGBTQ+”.
Attenzione compagni, non è “un divieto”: è prima di tutto la possibilità di ragionare su quanto è importante valutare, per ogni comunista, se quello che pensa e quello che dice è coerente con la lotta che sta e stiamo conducendo.
A volte può succedere che, nella speranza o nell’illusione di “essere capiti meglio”, si ricorra a scorciatoie (un linguaggio più inclusivo e “moderno”), ma può anche succedere che il linguaggio più inclusivo e moderno sia il cavallo di Troia della classe dominante e delle sue manovre.
Il nostro Partito ha un grande bisogno di affrontare questi specifici argomenti, non perché essi siano dirimenti ai fini della lotta di classe, ma perché la classe dominante fa un’opera enorme, pervicace e virale per instillare, soprattutto nei giovani delle masse popolari, il dubbio su chi sono, cosa valgono, cosa sono, cosa vogliono, ecc.
La borghesia imperialista, anche attraverso queste strade, devasta le menti e i corpi di intere generazioni. Dobbiamo intervenire. Ma senza sconti, senza scorciatoie e senza ambiguità.
Esiste un pregiudizio – che ha un fondamento nella realtà – rispetto al fatto che entro le file del movimento comunista sia ben radicata l’omofobia, per esempio. Benché il fondamento di questo pregiudizio esista, va anche contestualizzato nel tempo e nello spazio: quanti oggi nel movimento comunista cosciente e organizzato (Mcco) accettano una qualunque forma di omofobia, transfobia, ecc. incarnano una linea che rallenta la rinascita del Mcco. Perché le condizioni oggettive rendono obsoleta ogni discriminazione basata sull’orientamento sessuale, benché nel senso comune delle masse popolari possano esistere. Il nostro compito è contrastarle, non censurarle, ma educare, elevare e formare la parte più avanzata delle masse popolari affinché ogni tipo di discriminazione – anche quelle per l’orientamento sessuale – venga superato.
Detto questo, però e anzi in funzione del ruolo che dobbiamo assumere, bisogna anche prestare attenzione a non cadere noi nelle manovre promosse dalla classe dominante.
È utile riportare qui due esperienze che riguardano l’approccio del P.CARC rispetto alle discriminazioni contro omosessuali, bisessuali, transessuali, ecc.
La prima riguarda la partecipazione della Sezione di Milano al Gay Pride del 2012. All’epoca il Gay Pride a Milano e a Napoli fece “molto scandalo” perché era la prima volta che si svolgevano con il patrocinio del Comune (Pisapia a Milano e De Magistris a Napoli). Politicamente, sostenere l’iniziativa delle amministrazioni di Napoli e Milano aveva un preciso senso nella lotta contro i vertici della Repubblica Pontificia: non solo sostenemmo la mobilitazione, ma partecipammo in modo organizzato.
A Milano stampammo delle spillette per l’iniziativa che andarono a ruba e fu raggiunto un record nella vendita di Resistenza. A chi? A transessuali di origine italiana e no, a omosessuali, a lesbiche… a chi partecipava alla manifestazione! La cosa “curiosa” fu l’accoglienza che ricevemmo (all’epoca il Gay Pride era già un po’ un carnevale, con i suoi tratti discutibili): molti ci dicevano: “era ora che ci fosse la falce e martello a queste manifestazioni” e “viva il comunismo”.
Nel corso del tempo il Gay Pride è diventato uno strumento della classe dominante. Nel 2022, addirittura, chi voleva partecipare (associazioni, organizzazioni, aziende e imprese) aveva l’unica possibilità di sponsorizzare i camion/carri con una sottoscrizione che partiva da 1.000 euro (e fino a 20 o 30mila). Quella che era una manifestazione contro le discriminazioni, già in via di degenerazione, è diventata una grande fiera pubblicitaria! Ecco cosa è come viene usata “la comunità LGBTQ+” dalla classe dominante!
La seconda esperienza riguarda un’iniziativa che la Sezione di Massa ha svolto recentemente per portare nella campagna elettorale proprio la questione della relazione fra diritti civili e diritti sociali. Al netto del fatto che le preoccupazioni che partecipassero poche persone è stata sfatata dalla realtà (e anzi la discussione è stata ricca), è interessante riportare un breve passaggio dell’intervento di un compagno (non è la trascrizione letterale):
“Io sono omosessuale. Il padrone del mio posto di lavoro è omosessuale. La mia lotta è diversa dalla sua, noi non conduciamo la stessa lotta, io non lotto con lui, anche se siamo due omosessuali”.