Lo stabilimento Stellantis “Giambattista Vico”, a Pomigliano d’Arco (NA), è la fabbrica da cui nel 2010 partì la lotta contro il “Piano Marchionne” (dal nome dell’allora amministratore delegato di Fca) che si sostanziava in un attacco frontale ai lavoratori, con l’uscita unilaterale dal contratto nazionale dei metalmeccanici e l’imposizione, grazie alla collaborazione dei sindacati gialli compiacenti (fra i quali anche Cisl e Uil), di un contratto speciale per il gruppo Fca, nettamente peggiorativo. La contropartita offerta era semplicemente il poter continuare a lavorare, il mantenimento della produzione che altrimenti sarebbe stata trasferita in altri paesi con meno vincoli contrattuali da rispettare per il padrone.
La lotta che nel 2010 partì da Pomigliano, inizialmente lanciata dai lavoratori organizzati nello Slai Cobas, fu eroica e si allargò a tutto il paese. La Fiom, allora guidata da Landini, fu costretta a sostenere la mobilitazione. La classe operaia italiana si mobilitò, comprendendo che la posta in gioco non riguardava solo Pomigliano o il gruppo Fca.
Questo pose all’ordine del giorno la necessità di un salto della mobilitazione dal campo sindacale a quello politico. Proprio la mancata realizzazione di quel salto ha determinato in seguito il ripiegamento e la sconfitta di quella battaglia, aprendo al contempo la strada verso il vertice della Cgil del futuro segretario generale Landini.
Il gruppo industriale a tutt’oggi non è più rientrato in Confindustria e applica esclusivamente il suo contratto interno. I sindacati che non hanno firmato quel contratto (come anche la Fiom), ufficialmente non sono riconosciuti.
Una delle rivendicazioni che da anni viene portata avanti dalla Fiom è proprio il rientro del gruppo Stellantis (come anche di Iveco e Cnh, ancora pienamente in mano agli Agnelli-Elkann) nel contratto nazionale dei metalmeccanici.
Alla Stellantis di Pomigliano il 10, 11 e 12 maggio sono stati giorni di sciopero partito spontaneamente, cioè proclamato dalle rappresentanze di fabbrica, con un corteo interno ai reparti e l’uscita anticipata dei lavoratori. Immediato è arrivato l’appoggio dalla Fiom e dallo Slai Cobas; quest’ultimo ha poi rilanciato con altre otto ore di protesta nella giornata di sabato 27 maggio.
Gli scioperi hanno avuto adesioni dell’80%, a testimonianza del fuoco che cova sotto la cenere.
La rabbia è esplosa per le condizioni di sicurezza precarie e per i tempi di lavoro sempre più pressanti. Negli anni sono aumentati a dismisura i casi di lavoratori con problematiche articolari dovute al lavoro in catena. Stellantis taglia i tempi di produzione e allunga gli orari con gli straordinari obbligatori al sabato, aumentando i propri profitti, mentre a spese della collettività mette altre centinaia di lavoratori dello stesso stabilimento in cassa integrazione. Ricordiamo inoltre che a Pomigliano lavorano attualmente anche trasfertisti dislocati qui da altri stabilimenti del gruppo, come quelli di Cassino e di Melfi.
La sconfitta della lotta del 2010 contro il Piano Marchionne ha determinato la situazione che ora porta nuovamente i lavoratori a mobilitarsi, proprio nello stabilimento simbolo della “normalizzazione” imposta dal padrone.
Il fuoco cova sotto la cenere, vale a dire che la resistenza si sviluppa, se c’è chi la organizza. I lavoratori del gruppo Stellantis sono uno dei concentramenti operai più importanti del nostro paese. Se guardiamo alla storia del movimento operaio, per peggiorare le condizioni di lavoro di tutti, i padroni hanno dovuto passare da qui. Che anche qui si sviluppi la ribellione all’arretramento imposto in questi anni è la dimostrazione che non esiste nessuna normalizzazione che possa eliminare la spinta oggettiva determinata dalle condizioni reali di lavoro. L’antagonismo di interessi fra la classe operaia e i capitalisti, in ultima analisi, rimane irriducibile.