Trasformare la rabbia in lotta di classe

Lettera sulla catastrofe in Emilia Romagna

Pubblichiamo il contributo che una nostra lettrice ci ha inviato in merito al disastro ancora in corso in Emilia Romagna dopo le alluvioni che hanno colpito gran parte del territorio.

Le considerazioni della compagna sono lo specchio della rabbia degli uomini e delle donne che subiscono da decenni gli effetti della gestione dei territori da parte di speculatori e affaristi. Quelli che investono e adottano misure con l’unico obiettivo di aumentare i loro profitti.

Non importa se i ponti crollano, se i fiumi esondano, se le aziende chiudono e la gente muore. A loro non importa, ma a noi si, importa alle masse popolari e ai lavoratori. Loro lo sanno bene quali sono le centinaia di piccole opere che servono per preservare i territori, sanno che ci sono i soldi per farle, sanno bene anche che a mancare è la volontà di chi governa questo paese e ogni singola regione.

Per fermare la catastrofe sempre più grave in cui la nostra società è immersa, per risollevare il paese e i territori colpiti dalle alluvioni, non basterà l’sms solidale, che come fa capire la nostra lettrice, è solamente il modo con cui la classe dominante fa ricadere sulle spalle delle masse popolari la ricostruzione dell’Emilia Romagna.

Serve invece che ciascuno di noi trasformi la propria rabbia in ribellione al servizio della lotta di classe per cacciare le Larghe Intese dal governo del paese e costruirne uno alternativo, un governo di emergenza popolare.

Costruire un governo alternativo del territorio significa fare di ogni lotta una questione di ordine pubblico, come fecero i cittadini di Carrara che, in occasione dell’alluvione del 2014, occuparono la sala di rappresentanza del Municipio nel palazzo del Comune, si costituirono in Assemblea Permanente e da lì coordinarono per mesi le brigate di solidarietà e la lotta per le dimissioni della giunta. Significa assediare i cantieri del Passante, significa concepire ogni singola lotta come un nodo di una lotta complessiva che riguarda tutte le masse popolari. Mobilitazioni in risposta alle alluvioni sono state già indette nelle settimane a venire. Le organizzazioni politiche e sindacali devono mettere le proprie strutture al servizio della mobilitazione popolare e questo, nelle prossime settimane, si misurerà dalla capacità delle singole forze di far convergere il movimento su iniziative unitarie, nella capacità di costruire un unico fronte di lotta. La divisione nel nostro campo è di fatto, prima ancora degli eserciti, l’arma principale nelle mani del nemico. La competizione tra gruppi è lo specchio dell’egemonia del nemico nel nostro campo. Costruire un governo alternativo significa costruire dal basso un progetto di gestione alternativo dei territori che sappia mettere al servizio anche tecnici e intellettuali, o chiunque voglia e possa dare un contributo, come ha fatto la GKN per l’elaborazione del piano di riconversione della fabbrica. In GKN l’anno chiamata “urgenza di farsi classe dirigente”.

Buona lettura

***

Scrivo questa cosa per la rabbia che mi sale ogni volta che succede qualcosa del genere. Non è un fortunale mandato da dio per punirci di qualche peccato, non è neppure una disgrazia. È la volontà dolosa e colposa di mantenere uno stato di incuria totale rispetto ai cambiamenti del clima.

Non si creda che sono un ambientalista alla Friday For Future o quegli altri ragazzi che si sono appesi al ponte a Roma. Sono abituata a stare con gli anziani e a sentire le loro lamentele sulle stagioni: “le mezze stagioni non esistono più”. E se ci fai caso poi lo vedi che non è normale stare a mezze maniche a gennaio, che non piove per novanta giorni, che anche quest’anno è record per le temperature alte o basse.

Non siamo al Guinnes dei primati dell’universo. I record di caldo, freddo, acqua e neve dovrebbero farci paura. Come dovrebbe farci paura la spesa continua per una guerra del tutto dannosa e inutile al posto degli investimenti per la sanità, la scuola o il mantenimento del territorio.

Il Ravone, torrente che attraversa Bologna, è esondato quattro volte in meno di un mese. Una turbina per il direzionamento delle acque è stata divelta per la seconda volta. Ma dopo la prima volta non si è potuto pensare che forse poteva essere insufficiente? O forse chi doveva farlo l’ha pensato, ma d’altra parte, come si fa? Non ci sono i soldi, dicono!

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La storia dell’Emilia Romagna è storia di acqua e fiumi, da sempre. Ma nel 2023 si fanno le cose a metà. Ho letto in questi giorni sul Resto del Carlino che le casse di espansione deliberate non sono tutte funzionanti: alcune funzionano in parte (menomale!), altre sono finanziate in parte, cioè hanno un finanziamento parziale che non copre l’opera dall’inizio al collaudo. Quindi l’opera si inizia, ma non si finisce: vedrai, non ci sono i soldi.

E fa rabbia che nel 2023 ci siano 40.000 sfollati per una situazione che in gran parte poteva essere gestita. Sono 280 frane, 400 strade interrotte. E davvero vogliamo convincerci che non si poteva fare nulla?

Si, non si poteva sapere che 23 fiumi sarebbero esondati tutti insieme mentre il mare non riusciva a ricevere tutta l’acqua. Ma di 280 frane e 400 strade siamo sicuri che non si poteva evitare nulla?

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Ci sono cose che non si possono prevedere in modo preciso, ma si possono prevenire i danni, così come le malattie. Chi dovrebbe farlo non lo fa. Chi dovrebbe informare non lo fa e vista la situazione c’è anche chi ha deciso che siccome spaventare la gente con titoli eclatanti non basta, era bene buttare nel mucchio anche la falsa notizia dello svuotamento di una diga.

Siccome però per scrivere bisogna essere iscritti a un albo, quanto meno una radiazione ci starebbe, visto che si prendono querele per molto meno.

Sempre sul giornale si legge che il vescovo prega per far smettere di piovere, ma invece di pregare (o anche mentre prega eh!) cacciasse i soldi anche lui per riparare i danni! Ma tanto ci penserà la solidarietà della gente con gli sms a riparare i danni. Fino al prossimo ciclone o terremoto, quando il gioco dei falsi coccodrilli ricomincerà da capo, si diranno di nuovo addolorati, scaricheranno le colpe su quelli di prima, attiveranno una raccolta fondi tramite sms e via di nuovo.

Tanto non è vero che il clima sta cambiando.

Tanto non è vero che non siamo preparati a fenomeni più intensi.

Tanto non è vero che l’inquinamento incide sul clima.

Tanto quelli in cima alla catena alimentare sono gli stessi che dicono che lo zucchero uccide più bambini delle pistole.

Ma noi possiamo cambiare il clima smettendo di fumare, di usare imballaggi di plastica, razionando l’acqua in casa, usando solo cose riciclate e riciclabili, magari facendo le foto con lo smartphone nuovo che impatta da solo più di quelle 30 mucche che mangerò in tutta la vita! È una grande cavolata pensare che basta questo.

Queste belle cose da sole non bastano. Bisogna imporre col coltello fra i denti un sistema produttivo diverso, che produca ciò che è necessario, senza obsolescenze programmate, con orari di lavoro e paghe giuste, che rispetti territori e salute, e allora si che avrà senso cambiare stile di vita.

Ritirarsi in cima al monte a fare gli eremiti a basso impatto ambientale è inutile, come lo è fare i vegani con lo smartphone.

Lasciare a piede libero i Fontana e i Bertolaso di turno e tutti quelli che già sono pronti a speculare sulla ricostruzione dell’Emilia Romagna è pura follia.

La Cooperativa Muratori Cementisti, azienda del PD che ha interessi anche nella costruzione del Tav in Val Susa, non è già lì a strofinarsi le mani? Chi vigilerà sullo smaltimento delle tonnellate di rifiuti creati dall’alluvione? Ci saranno cantieri, appalti e speculazioni e le cose che potrebbero essere fatte bene verranno fatte ancora un volta con colpa e dolo.

M.B.

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