In un manuale di scuole medie inferiori con cui siamo entrati in contatto si legge che “dopo la prima guerra mondiale sorsero in Europa diversi regimi autoritari” e che “il primo stato totalitario – la forma più estrema di autoritarismo – fu l’Unione Sovietica”. “Il fascismo – invece – non fu un vero totalitarismo” e ciò perché fortunatamente “le aspirazioni totalitarie del fascismo furono limitate dalla presenza della Chiesa cattolica e dalla monarchia”.
Questo il tenore di quanto troviamo scritto nei libri di testo adottati nelle scuole medie inferiori e superiori nel nostro paese. Questa la chiave interpretativa della storia con cui la borghesia imperialista tenta di dirigere la formazione dei giovani delle masse popolari.
Effettivamente però questo “Manuale” non ha tutti i torti: dopo la Rivoluzione d’Ottobre, che pose fine alla prima guerra mondiale, in URSS i membri della borghesia furono espropriati e furono anche privati dei diritti politici (che è il trattamento che la borghesia riserva, in sostanza, ai proletari nei paesi capitalisti). Le loro ville diventavano case popolari e i loro figli erano “umiliati” perché mandati a fare lavori manuali. Quindi, dal loro punto di vista, era questa una barbarie ben peggiore della guerra, dove a morire erano i proletari per interessi loro antagonisti. Quanto al re e al papa come baluardi antifascisti in Italia, ci limitiamo a menzionare alcuni fatti. Nel 1929 Pio XII, parlando del Duce, rispetto alla firma dei Patti Lateranensi (tutt’ora vigenti) scrisse che per raggiungere l’obiettivo c’era voluto “un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare; un uomo che non avesse le preoccupazioni della scuola liberale”. Ricordiamo anche il ruolo infame giocato da Vittorio Emanuele III che, in nome e per conto dei “padroni del vapore” terrorizzarti dalla prima ondata della rivoluzione proletaria che divampava in tutta Europa, appuntò personalmente Mussolini a capo del governo nel 1922.
Questo ossequio per le istituzioni feudali, quali sono la monarchia e il papato, del resto, è una “passione” tutta peculiare della borghesia italiana. Dai tempi della Controriforma, la borghesia italiana si è dovuta sottomettere al papato e alla Chiesa e a essa ha delegato l’educazione morale e intellettuale delle masse, usando questo connubio contro le masse popolari. Infatti secoli dopo, nel 1924, la riforma Gentile introdusse ufficialmente nella scuola pubblica l’insegnamento della religione sotto la direzione del clero cattolico. La religione cattolica venne proclamata fondamento e coronamento dell’educazione dei giovani delle classi oppresse. La concezione scientifica del mondo venne riservata ai rampolli delle classi dominanti che accedevano ai livelli superiori dell’istruzione.
Così oggi sui libri di storia, adottati negli istituti superiori del nostro paese, si racconta. Ci si chiede: “Ma come si è potuto ricostruire la vita e la predicazione di Gesù, dal momento che non ha lasciato scritto nulla?”
Da “una serie di fonti, cristiane e non cristiane” – si risponde – ma “in primo luogo i Vangeli”. I Vangeli, cioè, sono la fonte storica dell’esistenza di Gesù. Sarebbe come citare le fiabe dei fratelli Grimm come prova scritta dell’esistenza di Hänsel e Gretel. Per chi vuole approfondire ulteriormente, del resto, il “Manuale”, nella sezione “Storiografia” in fondo al capitolo, offre validi strumenti: “Sulle tracce dei Re Magi”. “La storia dei Re Magi è nota – dice la Storiografia – guidati dalla stella, i Magi si misero in cammino per portare a Gesù i loro doni”. Questo viene fatto studiare ai nostri figli.
Questi sono solo alcuni passaggi esemplificativi di come viene insegnata la storia ai giovani delle masse popolari. Del resto le istituzioni dedicate all’istruzione delle masse sono in mano alla borghesia e al clero. La classe dominante investe uomini e mezzi nelle scuole e nelle università affinché le masse popolari non conoscano la propria gloriosa storia o ne conoscano una versione intossicata e distorta, fatta di re e regine, fatta della diffamazione di ciò che le masse fanno e hanno fatto.
La scuola borghese non insegna ai giovani delle masse popolari a pensare, ma insegna loro a sottomettersi oppure a fare carriera “senza guardare in faccia nessuno”: forma persone intrise di individualismo e volontà di affermare se stessi a scapito degli altri. La scuola borghese si fonda su una grande bugia, perché la classe dominante non ha un futuro da offrire ai giovani e alle masse popolari e dunque la sua pedagogia non può che ammantare di una patina tossica l’esperienza della civiltà umana che una scuola deve trasmettere a un individuo per metterlo in condizioni di contribuire alla collettività e dare un senso alla sua vita. Con l’ingresso dell’umanità nell’epoca imperialista alla fine del XIX secolo, si è aperta l’epoca delle rivoluzioni socialiste, l’epoca in cui il capitalismo è diventato un sistema parassitario, antistorico, reazionario. Intossicare i cuori e le menti delle masse è, quindi, una questione di vita o di morte per la classe dominante. In questo modo, porta ragazzi e ragazze proletarie al suicidio, li manda a morire nelle aziende o offre loro l’alternativa di diventare “manager” senza scrupolo e dediti solo al profitto.
Via via che la crisi avanza la classe dominante ha sempre più bisogno di intossicare le masse popolari e di renderle abbrutite, mentre manda i propri figli in istituti d’élite, torri d’avorio dove s’impara l’arte di fare la guerra alle masse popolari. Per giustificare il protrarsi del suo dominio, la borghesia imperialista ricorre alla religione, a menzogne spudorate e a mille altre pseudo “scienze sociali” che altro non sono che un modo confondere le masse popolari sulla natura delle leggi oggettive che governano lo sviluppo storico, leggi che sono state elaborate da Marx ed Engels. La borghesia non può tollerare che alla società venga applicato il metodo scientifico che essa stessa, lottando con l’aristocrazia, ha creato e applicato alla natura per creare le fabbriche: quando questo metodo viene applicato alla società umana, infatti, ne risultano le leggi del necessario superamento del suo domino, ne risulta un’arma per il proletariato.
Così nella storia che si insegna nelle scuole i fatti sono ricostruiti senza spiegarne i nessi logici, la reciproca influenza (sinergie), le concatenazioni e i rapporti di causa-effetto che intercorrono tra loro, omettendo la lotta di classe e falsificando la storia del movimento comunista e dei primi paesi socialisti, fino ad arrivare al revisionismo storico. Ma è impossibile comprendere la storia delle civiltà se non lo si fa con le lenti della lotta di classe. Il filo logico più importante che aiuta a comprendere lo svolgimento della storia contemporanea è l’avanzamento soggettivo del movimento comunista cosciente e organizzato. Questo illumina i fatti storici e al contempo dà un senso al presente, perché è in grado di fornire ai giovani delle masse popolari insegnamenti che valgono per l’oggi, che indica loro una strada da percorrere e che questi possono applicare alla loro vita, dandogli un senso compiuto.
In ogni epoca, ci insegna Marx, le idee dominanti sono le idee della classe dominante. La crisi attuale è economica, politica, sociale e ambientale, ma è anche una crisi morale e intellettuale. Quanto più il movimento comunista è debole, tanto più imperversano nichilismo, depressione, ignoranza e abbrutimento per le masse. È nella logica della cosa che sia così: chi oggi incolpa le masse per questa situazione veicola, coscientemente o meno, la concezione dominante e si fa agente della mobilitazione reazionaria, incolpa le masse di qualcosa per cui è responsabile la classe dominante. Spetta al movimento comunista educare le masse: così i partiti socialdemocratici diedero a centinaia di migliaia di operai e contadini una prima forma di educazione che né il “Risorgimento” né tanto meno il clero, avevano mai dato loro; così il primo PCd’I seppe trasformare le carceri fasciste in un’università per i suoi membri, formando anche così, nel corso del Ventennio, quel tipico quadro operaio colto e capace di dirigere la Resistenza antifascista; così il Partito Comunista Cinese con la Lunga Marcia seppe tramutare una sconfitta in vittoria, quando lungo i 12.000 chilometri del cammino dell’Esercito Rosso nei villaggi nascevano scuole; così nel corso della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria si alfabetizzano i contadini facendo loro studiare il Libretto rosso.
Per questo noi comunisti oggi dobbiamo fare le nostre scuole, dobbiamo fare i nostri manuali, dobbiamo applicare, sviluppare e aggiornare la nostra pedagogia alla luce del contesto presente. Possiamo e dobbiamo fare di questo lavoro anche un’occasione per il radicamento organizzativo fra le masse, così come dobbiamo farne un’occasione per contrastare la frammentazione dell’attuale movimento comunista. Costruire scuole, materiali e metodi didattici può e deve diventare sempre più ambito di conquista di nuove leve, di formazione dei quadri, di unità d’azione e confronto politico fra organizzazioni.