Emergenza salari e pensioni

Guardando telegiornali e talk show di regime, un turista straniero in visita in Italia sarebbe portato a pensare che il nostro paese sia alle prese con fenomeni piuttosto bizzarri.

Il governo proclama lo stato d’emergenza contro la minaccia costituita dall’arrivo di persone disarmate e affamate su barconi, che spesso affondano prima ancora di toccare riva; da settimane si discute della minaccia rappresentata dagli orsi che vivono nei boschi di una regione montana; si grida all’emergenza anarchici per ogni raduno o manifestazione a sostegno di Alfredo Cospito e contro quella tortura di Stato che è il 41 bis.

Il governo ha trovato persino il tempo di legiferare contro l’emergenza costituita dai rave party illegali nei capannoni abbandonati.

Esiste addirittura, secondo il Ministro Lollobrigida, l’emergenza costituita dalla minaccia dei piani di sostituzione etnica dei popoli europei, che si aggiunge a quella della sostituzione della carne animale con carne sintetica e della farina di grano con la farina di grillo.

Ovviamente, per il governo, la scelta di cosa sia o non sia un’emergenza è del tutto strumentale: il nostro turista non sentirà mai parlare, infatti, di emergenza omicidi sul lavoro, di emergenza tagli alla sanità pubblica, di emergenza abitativa, di emergenza precarietà e disoccupazione, di emergenza psicologica dovuta alle conseguenze del disastroso corso delle cose imposto dalla classe dominante.

Facendo un giro in una fabbrica, in un mercato rionale, in un ospedale pubblico o in un quartiere popolare, però, non potrebbe non rendersi conto che sono molto pochi quelli che hanno paura degli orsi o dei rave party, mentre sempre più persone hanno paura – e in molti casi la certezza – di non arrivare alla fine del mese.

I salari in Italia, nel corso degli ultimi trent’anni, anziché aumentare come hanno fatto in Francia e Germania (di circa il 30%), sono diminuiti del 2,9% (fonte Ocse). E nei soli due anni appena trascorsi il costo della vita è aumentato a un ritmo del 10% annuo, in un paese che già nel 2019 vantava il triste primato europeo del più alto numero di lavoratori in condizioni di povertà (il 13% secondo il Ministero del Lavoro), riducendo drammaticamente il già misero potere di acquisto di pensionati e lavoratori.

Aumenta tutto: la spesa, la benzina, gli affitti, le bollette. Tutto tranne gli stipendi e le pensioni, in un circolo vizioso alimentato dal sistema contributivo in vigore da ormai trent’anni, che fa sì che chi andrà in pensione a più di settant’anni dopo decenni di lavori sottopagati, precari e discontinui, non avrà comunque di che vivere.

Di fronte a questa situazione, il governo ha chiarito, con il suo Documento di Economia e Finanza, che strada percorrere: ignorare il problema e allungare l’età pensionabile; evitare qualsiasi intervento a favore delle donne e delle persone che svolgono lavori usuranti, così da ridurre la spesa previdenziale. Ma in tal modo alimenterà la disoccupazione giovanile e la presenza di lavoratori che a settant’anni saranno ancora sui ponteggi anziché a guardare i cantieri da oltre la rete o a passeggiare nei parchi insieme ai nipoti.

Forse la classe dominante confida che il problema si risolva da solo, grazie all’aumento della mortalità tra i pensionati delle fasce più povere.

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