Lo scollamento tra le masse popolari e il sistema politico delle Larghe Intese aumenta. A ogni tornata elettorale cresce l’astensionismo e vince la forza che più delle altre si atteggia come antisistema: alle politiche del 25 settembre è toccato a Fratelli d’Italia.
Eppure le liste anti Larghe Intese sulla scheda elettorale delle politiche abbondavano. Erano almeno quattro, ma, presentandosi divise e in concorrenza tra loro, non sono riuscite a cogliere i frutti del malcontento crescente fra le masse popolari.
Alle elezioni regionali in Lombardia e Lazio (febbraio 2023) le cose sono andate anche peggio: astensione al 60%, risultati risibili per le liste anti Larghe Intese e vittoria di queste ultime (in entrambi i casi con il polo di destra).
Perché le liste anti Larghe Intese perdono? Perché non riescono a raccogliere il malcontento delle masse popolari?
A sentire loro (almeno per Italia Sovrana e Popolare – che nel frattempo è diventata Democrazia Sovrana e Popolare – e per Unione Popolare) i motivi stanno nel fatto che non hanno avuto spazio nei media, che le elezioni politiche sono state convocate troppo in fretta, ecc. Il che equivale a dire che il nemico è troppo forte per essere battuto e le sue manovre troppo furbe per riuscire a farvi fronte. Ma, allora, perché non rinunciare in partenza?
Che il nemico sia invincibile, non è vero. Anzi! Come abbiamo già detto, ha sempre meno consenso ed è lacerato da guerre intestine.
Se il colpevole non è il nemico, allora chi è? Forse le masse popolari troppo arretrare, qualunquiste, populiste, fasciste? No, non c’è stato nessun travaso di voti da sinistra verso destra; il travaso è stato per lo più a senso unico: dai partiti delle Larghe Intese verso l’astensionismo.
Evidentemente il problema è un altro ed è di natura politica.
I partiti e le liste anti Larghe Intese non riescono a rappresentare un’alternativa credibile agli occhi delle masse principalmente perché non si concepiscono e non agiscono come un’alternativa. Al massimo si concepiscono come opposizione, organismo di protesta, rifugio degli scontenti, ma giocano con le stesse regole del nemico (legalitarismo), allo stesso gioco del nemico (elettoralismo), accapigliandosi per strappare un voto in più nella speranza di conquistare qualche seggio.
È un’opera tesa – nel migliore dei casi – all’autoconservazione, alla testimonianza, alla mera denuncia.
Dunque, se loro per primi non hanno fiducia nella vittoria, se non si pongono nella condizione di contendere al nemico il governo del paese, allora per quale motivo le masse popolari dovrebbero accordare loro fiducia?
Per essere più concreti: quale alternativa può incarnare chi si limita a stilare bei programmi e non si mobilita per attuarli anche se ancora non è al governo?
Che alternativa può incarnare chi si pone in concorrenza più con forze simili a sé piuttosto che col nemico principale?
Che cosa possono ottenere se aspirano a entrare nel teatrino della politica borghese, anziché aspirare a farlo saltare?
La campagna elettorale per le elezioni amministrative del 14 e 15 maggio va inquadrata in questo ragionamento e, come ogni campagna elettorale, va inserita in una linea di sviluppo.
Laddove prevale la linea arretrata di usare le elezioni per conservare (o ricostruirsi) una “nicchia”, per avere qualche eletto che porta la voce delle lotte nelle assemblee elettive o che faccia da “baluardo alle Larghe Intese”, le elezioni e le campagne elettorali lasciano solo macerie.
Liste che scompaiono, alleanze che si sgretolano, partiti che si disgregano.
Anche questo è un metro di misura (soprattutto a fronte delle canoniche dichiarazioni del tipo: “iniziamo un percorso che andrà oltre le elezioni…”), è una verifica della concezione con cui le forze anti Larghe Intese partecipano alle elezioni.
Laddove prevale la linea avanzata di usare le elezioni come strumento di battaglia, come strada per promuovere organizzazione, mobilitazione e protagonismo delle masse popolari – quindi le elezioni come mezzo, non come fine – allora sono utili.
La linea con cui abbiamo condotto la campagna elettorale per le elezioni politiche di settembre, ma soprattutto il bilancio che ne abbiamo tratto (non abbiamo raggiunto né il risultato politico di sviluppare il fronte anti Larghe Intese, né quello di riempire il parlamento di eletti anti Larghe Intese) e la campagna elettorale per le regionali in Lombardia e Lazio ci hanno spinto a ragionare più a fondo su come usare le elezioni ai fini della lotta politica rivoluzionaria.
Stiamo sperimentando nella campagna elettorale per le amministrative, in particolare a Brescia, a Massa e a Pisa, gli insegnamenti che abbiamo tratto.
Sono tre situazioni diverse, tre scenari diversi, e promuoviamo per ognuna una linea specifica, ma con lo stesso obiettivo: usare la campagna elettorale per affermare anche nel campo della lotta politica borghese gli interessi delle masse popolari e portare le masse popolari a irrompere anziché astenersi. Questo perché è giusto colpire dove il nemico è più debole e l’astensione è solo una manifestazione di protesta in un contesto in cui bisogna contrattaccare.