Strappiamo i bavagli della censura, rispediamo al mittente la repressione e facciamo valere la solidarietà di classe!
Il 22 marzo, un simpatizzante del P.CARC, insieme ad altre tre compagne, è stato oggetto di una perquisizione intimidatoria da parte della DIGOS di Ravenna ed è stato denunciato per “minacce ad un corpo politico o ad un corpo giudiziario”. Questo perché avrebbe affisso volantini in solidarietà ad Alfredo Cospito e contro il 41 bis.
Su uno dei volantini c’era scritto che “assassini e terroristi siete voi”. “Voi”, cioè lo Stato nel cui ventre molle si orchestrarono le stragi come quella della Stazione di Bologna; lo Stato che fa stragi nelle carceri come a Modena; lo Stato che, dopo la gestione criminale della pandemia, continua a smantellare il Servizio Sanitario Nazionale; lo Stato che impone a Ravenna (e altrove, come a Piombino) le “bombe a gas” dei rigassificatori pur di fare lo zerbino dell’amico americano e proseguire il coinvolgimento del nostro Paese nella guerra in Ucraina “sotto il cappello della NATO”.
Quei volantini dicono anche che il 41 bis è “tortura di stato” in solidarietà alla giusta battaglia di Cospito, una lotta di dignità che va sostenuta soprattutto ora che il rigetto dei domiciliari è una conferma di condanna a morte emessa dal governo Meloni.
Insomma, il crimine di cui si sarebbero macchiati è quello di aver detto la verità! L’attacco è politico e mostra la debolezza crescente della classe dominante: i padroni non sopportano la verità e la repressione viene dispiegata.
Ma nel nostro paese vige la Costituzione nata dalla Resistenza antifascista che dice chiaramente che la libertà di espressione e di manifestazione è garantita. Eppure “libertà e giustizia” evidentemente valgono soltanto per qualcuno, per i padroni: per mesi abbiamo visto a canali unificati fascisti e guerrafondai di ogni risma inneggiare alla guerra ma un proletario non può attaccare un pezzo di carta su un muro con su scritta un’imprecazione contro il PD (il partito della guerra e del cemento). E allora, la verità è che, per chi la mattina si alza per andare a lavorare, l’unico modo per far valere i propri diritti e interessi è organizzarsi per applicarli e praticarli, come hanno legittimamente fatto questi compagni!
Oggi tocca a chi attacca volantini in solidarietà a Cospito, a chi nelle proprie canzoni fa riferimenti alla lotta di classe degli anni ‘70 (il caso della P38 La gang) o a chi rompe con i vincoli di fedeltà aziendale; domani – la lotta NO TAV insegna – toccherà a chi si mobilita per far fronte all’aggravarsi della crisi economica, sociale e politica (dalla difesa dell’ambiente al carovita).
La solidarietà è un’arma, un’arma potente che consente di costruire organizzazione e coordinamento laddove il nemico crede di distruggere; un’arma che dobbiamo usare per far avanzare il movimento di resistenza delle masse popolari tutte. I rigassificatori e i tentacoli della ‘Ndrangheta in città sono la vera minaccia per il ravennate: facciamo appello a tutte le realtà democratiche di Ravenna e non solo perché prendano parola in difesa della libertà di espressione.
Con questo spirito rilanciamo il messaggio che ci ha fatto pervenire questo nostro compagno.
“Perquisizione alle 6 della mattina e sequestro di effetti personali e supporti digitali di ogni tipo. Denuncia per minacce ad organi della magistratura e dello Stato. In pratica, dei pericolosi sovversivi. Tutto questo per aver tappezzato il centro storico di Ravenna con manifesti inneggianti alla solidarietà con Alfredo Cospito. Noi comprendiamo lo stato di agitazione dei nostri governanti, per carità. Con quello che sta succedendo in Francia sono preoccupati. Ma credono, essendo protetti dai padroni americani, di poter comportarsi con arroganza. Tanto per cominciare potremmo ogni tanto ricordarci la libertà di pensiero, di parola e di manifestazione sanciti dalla Costituzione (argomenti sempre citati dall’antifascismo di comodo dei partiti di governo, ma poi messi da parte per esigenze belliche e di propaganda). Poi, la definizione del reato che ci è stato contestato è talmente pretestuosa, da rendere eclatante che il caso è un’azione politica di cui la parte giudiziaria è, come al solito quando alla sbarra ci si trova la gente come noi, un mero pretesto. Non ci facciamo illusioni. Siamo ben coscienti di come la parola “democrazia” sia stata da sempre un facile paravento. Ora la profondità della crisi porta i nodi al pettine. Un sistema antistorico, corrotto e criminale non poteva sopravvivere a lungo a sé stesso. Fanno però impressione i sintomi di debolezza del sistema. Ritenere pericolose le persone indagate, la dice lunga sulla fragilità, malgrado la sicumera, di questo sistema”