Nell’articolo La legge dei padroni protegge i padroni pubblicato lo scorso 4 marzo abbiamo affermato che nello stato borghese, la classe dominante scrive ed emana leggi appositamente confezionate per garantire il suo dominio sulla classe operaia e sul resto delle masse popolari. Leggi che servono a tutelare gli interessi dei capitalisti, che i governi approvano e che la magistratura non esita ad interpretare e applicare sempre dalla parte del profitto.
Tra gli esempi di questa tendenza abbiamo accennato al caso del presidente della regione Lombardia Attilio Fontana che, per il bene dei suoi amici di Confindustria, nel febbraio del 2020 si rifiutò di istituire la zona rossa nella bergamasca rendendosi responsabile di una strage evitabile ma evidentemente voluta. E mentre chiudevano scuole e spazi di aggregazione, mentre le strutture sanitarie contingentavano gli ingressi rimandando anche esami diagnostici salvavita e i malati di Covid “a bassa intensità” venivano portati nelle Rsa, fioccavano multe e denunce verso chi trasgrediva i famosi DPCM. Decreti che, con la scusa della lotta al contagio, limitavano la libertà di circolazione delle persone, imponevano l’uso di DPI e il mantenimento della distanza di sicurezza ma che di fatto non valevano nelle fabbriche, dove gli operai continuavano a lavorare l’uno accanto all’altro senza DPI né distanziamento sociale. Dove i padroni facevano di tutto per nascondere il numero dei contagi e nessuno ha ancora pagato e probabilmente non pagherà mai fino a quando il potere sarà nelle mani dei capitalisti e i loro lacchè.
A testimonianza delle responsabilità che Fontana e i suoi scagnozzi non si sono mai assunti, riportiamo integralmente un articolo de Il fatto quotidiano e ribadiamo che solo un governo espressione delle organizzazioni operaie e popolari sarà in grado di dare forma e forza di legge alle misure che indicheranno, comprese quelle necessarie a rendere giustizia alla classe operaia e al resto delle masse popolari partendo dal cacciare dal paese capitalisti, speculatori e affaristi che continuano a delocalizzare e smantellare il nostro apparato produttivo, che non investono neanche un centesimo nella manutenzione degli impianti mandando a morire operai che sono costretti a tutto per poter vivere; che fanno profitto speculando sulle privatizzazioni del servizio pubblico. Serve ribellarsi alla deriva verso la quale la classe dominante sta pontando il nostro paese.
Serve andare avanti uniti per il governo di blocco popolare, verso il socialismo!
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Covid 19, mancata zona rossa. “Salviamo le merci”: Confindustria ordinò, Gallera chinò il capo
L’inchiesta di Bergamo – Bonometti, n. 1 degli industriali lombardi, non voleva chiusure: “Sono matti, parliamo con Conte”
Di Davide Milosa e Maddalena Oliva
La gente non respirava e non capiva il perché. Iniziava a morire, giorno dopo giorno. Era la prima ondata. Il virus stava travolgendo la Lombardia. Dal paziente 1 del 20 febbraio 2020 in otto giorni si arriva al paziente mille. Tutto viene polverizzato: persone, pazienti, strutture. Arginare e curare, altro non c’è. Tecnici e medici ne sono convinti. Non però una parte della politica lombarda che sottobanco, in piena catastrofe, si accorda con chi vuole veder tutelati i propri interessi economici.
Emerge così dagli atti dell’inchiesta della Procura di Bergamo che proprio nei giorni drammatici della mancata zona rossa nella Bergamasca e a ridosso del primo severo se pur tardivo lockdown nazionale, il governatore leghista Attilio Fontana e il suo assessore al Welfare di allora Giulio Gallera hanno avuto un occhio di riguardo per i massimi vertici di Confindustria lombarda, come l’imprenditore bresciano Marco Bonometti presidente dell’azienda Officine Meccaniche Rezzatesi, il cui nome solo un anno prima era emerso come indagato (poi archiviato) per aver finanziato illecitamente l’allora eurodeputata azzurra Lara Comi. Bonometti, riposti i cattivi pensieri giudiziari, si rimette in prima fila in difesa degli industriali lombardi. Fu proprio in un’intervista-colloquio col Fatto, anni fa, a rivelare come “Regione Lombardia è sempre stata con noi sul alla zona rossa a (… manca il testo sul sito di il Fatto)
Il 7 marzo, quando l’idea della zona rossa a Bergamo sta tramontando, ma già si ragiona sul nuovo Dpcm del 9 marzo che chiuderà il Paese senza però fermare le attività produttive, Bonometti colloquia in chat con l’assessore Gallera. “Ti posso chiamare?”, esordisce l’imprenditore bresciano. Poi prosegue: “Ma cosa sta succedendo? Nel decreto non si parla di imprese”. E ancora: “Ci siamo già mossi con Conte per modificare la mobilità delle merci. Ho parlato con Attilio, cose da pazzi. Sono matti questi”.
Gallera risponde subito e tranquillizza l’imprenditore storicamente vicino a Forza Italia, che è il suo partito: “Adesso specifichiamo la libera circolazione delle merci e speriamo di essere ascoltati”. Conclude Bonometti: “Quando voi avete definito le modifiche o le interpretazioni informatemi che così facciamo anche noi le stesse considerazioni”. È il 25 maggio quando Gallera viene interrogato dalla pm Maria Cristina Rota come persona informata sui fatti. Alla domanda “Le risultano pressioni di Confindustria per influenzare le decisioni di istituire la zona rossa?”, l’allora assessore però nega tutto: “Escludo per quanto a mia conoscenza che vi sia stato un confronto con Confindustria su questo punto o con singoli imprenditori”.
Lo stesso 7 marzo il Coordinamento regionale delle terapie intensive invia una lettera al presidente Fontana (leggi pezzo a lato, ndr) nella quale si legge che “in assenza di tempestive ed adeguate disposizioni da parte delle Autorità, saremo costretti ad affrontare un evento che potremo solo qualificare come una disastrosa calamità sanitaria”.
I verbali
Il dirigente Ats smentisce il presidente
Le attenzioni di Regione Lombardia per Confindustria emergono anche il primo marzo. Quel giorno Paolo Mora, direttore per lo sviluppo economico di Regione Lombardia invia agli assessori e al direttore generale del Welfare Luigi Cajazzo una mail dal titolo: “Trasmissione schema Dpcm razionalizzazione misure gestione emergenza al fine di prevenire diffusione epidemia da Covid-19”. Dopodiché si cura di evidenziare: “Mi limito a osservare che sarebbe forse opportuno inserire nelle premesse un richiamo che soddisfi quanto chiedeva Confindustria, che sotto riporto, che aiuta a far valere tali provvedimenti tra le cause di inadempimenti contrattuali”.
Agli atti dell’indagine vi è una breve lettera di Confindustria dove si chiede “di chiarire che i provvedimenti adottati dall’Autorità pubblica per contenere l’emergenza epidemiologica sono da considerarsi causa di forza maggiore (…). Dovrebbe stabilirsi con certezza l’esclusione delle responsabilità del debitore (…) che ritardi ovvero non esegua l’adempimento delle sue obbligazioni contrattuali”. Bonometti sentirà anche lo stesso presidente della Regione. Fontana però davanti ai magistrati nega tutto. Salvo venir smentito un anno dopo dal direttore generale dell’Ats Milano Walter Bergamaschi interrogato nel dicembre del 2021.
Spiega Bergamaschi ai pm di Bergamo: “In una occasione Fontana chiamò il presidente Mattarella per dirgli che era importante inviare dei messaggi alla nazione (…). Chiamò anche Bonometti, industriale bresciano, in vivavoce, al quale disse che si stava valutando la sospensione delle attività produttive e ulteriori misure restrittive. Bonometti disse con molta chiarezza che era contrario, che il fermo delle attività produttive sarebbe stato un fatto molto grave per le imprese e i cittadini. Fontana chiamò Bonometti perché rappresentava una parte importante della società”. Anche al Fatto, del resto, il 9 aprile 2020 l’allora presidente di Confindustria Lombardia disse: “No alle zone rosse nella Bergamasca, questa era la nostra posizione sempre condivisa e fatta propria dalla Regione Lombardia”.
Brusaferro
“Il Mef spinge per ammorbidire”
Del resto in quei giorni a cavallo tra febbraio e marzo non vi sono solo gli industriali lombardi. Il ministero dell’Economia e delle finanze preme per avere regole più lasche. A capo del dicastero vi era l’attuale sindaco di Roma Roberto Gualtieri. Ne parlano in chat il presidente dell’Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro e il ministro della Salute Roberto Speranza. È il 26 febbraio. A quella data la zona rossa di Codogno e in altri nove centri del Lodigiano è istituita da tre giorni, mentre nella Bergamasca ormai i casi si moltiplicano: proprio in quei giorni ne sono informati i vertici di Regione Lombardia e il Comitato tecnico scientifico nazionale, ma nessuno chiuderà Alzano e Nembro e per questo sono ora indagati l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte, Fontana e diversi membri del Cts. Scrive Brusaferro: “Il Mef spinge per ammorbidire i provvedimenti delle Regioni”.