In questo scritto si riportano alcuni passaggi dello studio della Dichiarazione Generale del VI Congresso fatto nella Segreteria Federale Campania del Partito dei CARC. Si tratta di elementi utili a stimolare, estendere e approfondire il dibattito congressuale.
Gli argomenti selezionati da quella sessione di studio sono: l’approfondimento di cosa intendiamo per fase acuta e terminale della crisi, l’uso della teoria rivoluzionaria come guida per l’azione e la linea dei comunisti circa l’intervento nella lotta politica borghese.
La fase acuta e terminale della crisi
Un compagno della segreteria durante lo studio ha proposto di ragionare in maniera più approfondita di cosa intendiamo con il termine “fase acuta e terminale della crisi” citato all’inizio del documento. Tale proposta è motivata da due esigenze: la prima è quella di elevare la discussione e trovare una maggiore unità di indirizzo (non adesione formale) rispetto ai sommovimenti delle condizioni oggettive, comprenderli, non limitarsi alla formula; la seconda, avendo visto e compreso tali sommovimenti, è quella di imparare a usarli per far avanzare la rivoluzione socialista.
Da qui è scaturito un dibattito che ne ha ricostruito i due principali tratti salienti: l’origine economica e le ripercussioni in campo politico. Il periodo storico in cui si è entrati nella fase acuta e terminale della crisi è lo scoppio nel 2008 della bolla finanziaria negli Usa. Una montagna speculativa di prestiti immobiliari subprime, che portò al fallimento di colossi bancari come la Lehman Brothers. Da quel momento si è acutizzata la crisi dei regimi politici nei paesi imperialisti e dell’assetto politico con cui la comunità internazionale dei gruppi imperialisti esercitava il suo dominio mondiale.
Lo studio della Dichiarazione Generale ha quindi stimolato nel collettivo la necessità di approfondire e avere ancora più chiaro cosa si intenda per fase acuta e terminale della crisi. Per farlo abbiamo consultato il patrimonio teorico e scientifico della Carovana e in particolare le tesi del III Congresso del Partito dei CARC.
Questo ci ha permesso di fissare meglio che la fase acuta e terminale della crisi generale del capitalismo:
- dal punto di vista economico è caratterizzata dalla combinazione permanente della crisi finanziaria con la crisi economica. Le attività finanziarie e speculative si sono gonfiate a tal punto che si trovano in uno stato convulsivo cronico. Questo avvia una fase di sconvolgimento sistematico delle istituzioni finanziarie e monetarie che si riversa anche sull’attività di produzione delle merci provocandone la riduzione rapida e catastrofica (paralisi e crollo). Questo getta le istituzioni politiche internazionali e i governi dei singoli paesi capitalisti in uno stato di crisi tale che qualsiasi misura provino a mettere in campo non solo non riesce a risolvere nulla della crisi economica ma finisce per aggravare sempre di più le condizioni di vita e lavoro della massa della popolazione e accrescere la devastazione dell’ambiente. A nulla servono le speculazioni sui debiti dei singoli paesi, le ripetute iniezioni di soldi pubblici nelle banche, nelle società finanziarie e nelle borse. Tutte queste misure non fanno altro che accrescere la massa di denaro in mano a gente che non ha altro obiettivo che aumentarlo sempre di più, che quanto più ne ha e tanto più ne pretende, che più ne ha e più cerca di accrescerlo moltiplicando le attività speculative, i capitalisti.
- dal punto di vista della politica internazionale estende la guerra di sterminio contro le masse popolari in ogni angolo del mondo. È una guerra che provoca ogni anno decine di milioni di morti per fame, miseria, sfruttamento, guerre, malattie professionali, depressione, alcool e droga, inquinamento ambientale, incidenti sul lavoro, incidenti stradali, eventi naturali catastrofici prevedibili e contenibili quali terremoti, alluvioni, uragani, tsunami, ecc. Nessuna guerra nella storia dell’umanità ha mai fatto tante vittime quanto ne miete ogni anno questa guerra di sterminio, causata unicamente dal permanere del sistema capitalista e della dominazione borghese.
La crisi acuisce i contrasti tra gruppi imperialisti e il ricorso alla guerra come strumento per regolare i conti tra loro e con quanti ostacolano i loro interessi e affari o non accettano il loro dominio, per aprirsi la via allo sfruttamento delle risorse e delle masse popolari dei paesi oppressi ed ex-socialisti, per soffocare la rivolta dei popoli oppressi e per impedire la rinascita del movimento comunista. Sono guerre di aggressione imperialista anche se i gruppi imperialisti le presentano alle masse popolari dei propri paesi come guerre umanitarie, guerre contro i dittatori e per la libertà, guerre per la “pace” e per “esportare la democrazia”, ecc. e le fanno approvare dagli organismi internazionali che essi stessi e i loro Stati hanno creato: ONU, UE, NATO, ecc.
- dal punto di vista della politica interna la fase acuta e terminale aggrava la crisi politica di ogni paese a livello internazionale. Questo significa che all’interno di ogni paese crescono il marasma politico, l’instabilità, l’ingovernabilità, è in caduta libera l’egemonia delle classi dominanti sulle masse popolari (la loro capacità di orientarne le coscienze e controllarne e indirizzarne l’attività), mentre è alle stelle la guerra intestina tra i gruppi borghesi.
Ad essere in crisi, in definitiva, è il regime di controrivoluzione preventiva, un insieme di misure e strutture messe in opera dalla borghesia imperialista per prevenire e soffocare la rivoluzione proletaria. I governi dei principali paesi imperialisti si trovano nell’impossibilità di dare una copertura politica e un indirizzo unitario al proprio sistema di relazioni sociali. Questo allontana sempre di più la maggioranza della popolazione dalla politica e dalle istituzioni borghesi, acuendo sempre di più la distanza e lo scontro tra masse popolari e classe dominante. In una tale situazione ogni governo borghese è in crisi perché nella perenne necessità di trovare un minimo consenso da parte delle masse popolari per poter attuare le sue misure, senza il quale sarebbe alle porte la guerra civile.
- dal punto di vista sociale si traduce in aumento dei disoccupati, fallimento degli artigiani e dei lavoratori autonomi, aumento della precarietà, riduzione dei salari, esaurimento dei risparmi e indebitamento crescente, riduzione delle entrate della pubblica amministrazione (imposte, tasse, tariffe, ecc.), riduzione delle prestazioni sociali (assistenza sanitaria, istruzione, servizi pubblici, sussidi, ecc.) e, per le imprese, caduta delle vendite, aumento delle giacenze di magazzino, perdite (indebitamento), taglio dei salari, licenziamenti.
Il marasma economico con il suo portato di emarginazione, disoccupazione, precarietà e sfruttamento mette in crisi tutte le consuetudini, le certezze e i valori che si erano consolidati nel periodo del capitalismo dal volto umano nel campo delle masse popolari e con ciò favorisce il diffondersi tra le stesse masse popolari di comportamenti antisociali e autodistruttivi. Le idee, le concezioni, le convenzioni, le abitudini di un tempo non risultano più valide nella nuova situazione. Il movimento comunista non deve promuovere né tanto meno impersonare il rimpianto del passato, ma al contrario deve mettersi alla testa del cambiamento, elaborare, diffondere, radicare tra le masse popolari con l’esercizio e l’esperienza pratica idee, concezioni e comportamenti adeguati alla costruzione della rivoluzione socialista.
Questo approfondimento ci ha permesso di comprendere meglio in che senso la soluzione al marasma in corso è solo politica, ed è il socialismo.
La teoria rivoluzionaria è guida per l’azione!
A pagina 3 della Dichiarazione Generale si legge: “i risultati fallimentari in termini di voti ottenuti dalle liste anti Larghe Intese hanno creato un terreno favorevole per portare più a fondo tra i partiti, gli organismi e gli esponenti del movimento comunista cosciente e organizzato del nostro paese […] la lotta tra due linee: concepire la lotta del proletariato contro la borghesia solo come combinazione di rivendicazioni politiche e/o sindacali e partecipazione alla lotta politica borghese (elezioni, sponda politica nelle assemblee elettive, ecc.) oppure concepirla come una guerra popolare rivoluzionaria a condurre la quale mobilitare e organizzare le masse popolari fino a eliminare il potere della borghesia con l’instaurazione del socialismo”.
Questo passaggio ci ha fatto molto riflettere sulla nostra azione di dirigenti comunisti. Quanto concepiamo la nostra azione come combinazione di rivendicazioni politiche-economiche e partecipazione alla lotta politica borghese anziché come una serie di azioni congegnate e concatenate della guerra popolare rivoluzionaria? Nel ragionamento abbiamo fissato un aspetto. Quando non abbiamo chiaro un progetto di intervento, il legame che questo ha con la lotta per il Governo di Blocco Popolare e per il socialismo, necessariamente scadiamo nelle tare del vecchio movimento comunista, limitandoci a fare gli animatori o i sostenitori delle lotte, a partecipare (o rifiutare di farlo – astensionismo di principio) alla lotta politica borghese, ecc.
Questo ragionamento ci ha spinti a pensare di più e meglio della nostra politica, dell’occasione che questa campagna congressuale ci dà di rinnovare i nostri piani di azione e di intervento nella lotta di classe. Abbiamo quindi avviato un dibattito per definire i campi di intervento, le forze su cui intervenire, con cui promuovere unità d’azione, gli uomini e le donne su cui puntare per far marciare tale progetto.
Lottare all’interno degli organismi dirigenti del Partito per superare i limiti del vecchio movimento comunista è un pezzo fondamentale della nostra opera. La rivoluzione socialista avanzerà più rapidamente se i dirigenti faranno di tutto per evitare di comportarsi intellettualmente e nella pratica come l’esperienza della prima ondata ha mostrato che i promotori della rivoluzione socialista devono comportarsi. Bisogna usare la nostra scienza come guida per l’azione e non come formulario da ripetere per sentirsi i più comunisti di tutti. Senza teoria rivoluzionaria non c’è movimento rivoluzionario!
Intervento dei comunisti nella lotta politica borghese
La Dichiarazione Generale indica tra le condizioni del GBP l’ingovernabilità del paese ai vertici della Repubblica Pontificia. Di questa ingovernabilità viene individuata più volte quella tra amministrazioni locali e governo centrale. Una contraddizione oggettiva che si allarga e che richiede a noi comunisti di occuparcene di più e meglio di quanto non abbiamo fatto finora.
Sono tante le tematiche su cui oggi si consuma lo scontro tra amministrazioni locali e governo centrale (una su tutte è l’autonomia differenziata) e sono destinate ad esserne sempre di più. Questo perché man mano che avanza la crisi, ogni amministrazione locale, quale che sia “il colore” della Giunta, si trova per sua natura fra l’incudine e il martello: l’incudine del governo centrale che pretende di farne un ufficio di riscossione tasse e un tentacolo locale del potere nazionale e il martello delle masse popolari che invece si mobilitano contro il taglio ai servizi pubblici, contro il degrado materiale e morale che le politiche di austerità hanno imposto.
Ragionare di questo per la Segreteria Federale Campania del Partito dei CARC è servito a mettere a fuoco meglio un proprio limite, che ha a che fare sia con l’elettoralismo che l’astensionismo di principio. Si tratta di due deviazioni all’apparenza opposte ma che rappresentano uno speculare dello stesso limite ideologico, la subalternità alla borghesia. L’unione di queste due, in sostanza, si esprime da una parte nella tendenza a non occuparsi (astensionismo) o occuparsi burocraticamente dell’intervento nella lotta politica borghese – seguendo i lavori dei consigli comunali e regionali, intervenendo nelle campagne elettorali, curando con ordinarietà i rapporti con amministratori locali e nazionali, prendendo parola sulle principali questioni politiche del dibattito pubblico, ecc. – dall’altra a occuparsi della lotta politica borghese solo quando e se ci sono le elezioni (elettoralismo).
Il discorso fin qui fatto va arricchito con altre indicazioni che sono emerse dallo studio della Dichiarazione Generale. Una di queste riguarda uno dei punti indicati dalla Carovana del (n)PCI ai promotori e capi delle liste anti Larghe Intese durante la campagna elettorale delle politiche del 2022: “condurre una campagna elettorale fatta non solo di comizi su programmi radicali, ma prima di tutto di azioni radicali contro il carovita, lo smantellamento delle aziende, la partecipazione alla guerra USA-NATO, la devastazione dell’ambiente e il riscaldamento climatico, lo sfascio e la privatizzazione della sanità e della scuola, le grandi opere inutili e dannose, gli sfratti, il maltrattamento degli immigrati, la repressione”.
In questo ragionamento ci è stata utile l’esperienza dei dieci anni della giunta De Magistris a Napoli, un’esperienza di amministrazione che si è posta in rotta con il governo centrale, la più longeva delle cosiddette giunte arancioni che si diffusero in alcune città italiane, fra cui Napoli e Milano, nel 2011-2012. Si trattava di esperienze costruite attorno a programmi radicali ma che non sono riuscite, per limiti di concezione dei loro promotori, ad attuarli fino in fondo, schiacciate tra la volontà di fare gli interessi delle masse popolari e quella di non rompere fino in fondo con le autorità e il governo centrale.
In riferimento a questo un compagno ha riportato uno scambio che ha avuto con un ex assessore della giunta De Magistris. L’assessore diceva che non sono riusciti a portare in fondo il proprio programma radicale perché sulle amministrazioni locali pesa il ricatto del governo centrale e della Corte Conti. Il ricatto consiste nel fatto che da un momento all’altro questi enti possono chiudere i rubinetti dell’erogazione di fondi alla città, bloccare i conti e perseguire penalmente gli amministratori “ribelli”.
Il punto però non sono i programmi radicali e i cattivi governi borghesi non ne permettono l’attuazione. Quella che serve è un’Amministrazione Locale d’Emergenza, un’amministrazione che rompe con l’asservimento al governo centrale e con il ruolo di esattori e aguzzini a cui è relegata e inizia ad agire su spinta di una rete diffusa di organizzazioni operaie e popolari che le indicano, caso per caso, i provvedimenti da prendere e che si mobilitano per la loro attuazione.
Senza la spinta e la pressione di questa diffusa rete di organismi di base, le amministrazioni locali, anche le più progressiste e “di rottura”, finiscono per restare asservite al capitale finanziario, al governo centrale e agli interessi dei gruppi imperialisti.
Se il governo decide di chiudere i trasferimenti all’amministrazione locale, un sindaco di un’Amministrazione Locale d’Emergenza può decidere di fare lo stesso nei confronti del governo sospendendo i milioni e milioni di euro di tasse riscosse, versamenti, interessi e imposte che i comuni devono versare ordinariamente al governo centrale. A sostegno di una tale misura la giunta può dichiarare lo stato d’emergenza, mobilitare i propri dipendenti, i sindacati e tutte le forze sociali della città. Tale mobilitazione può essere ulteriormente alimentata attraverso l’uso di questi fondi per attuare misure favorevoli alle masse popolari per fare fronte alla crisi.
Una tale combinazione di iniziative, mobilitazioni e azioni radicali avrebbe sicuramente l’effetto di stimolare l’emulazione e la solidarietà di altre amministrazioni, costringendo il governo centrale in un limbo: abbassare il livello di scontro ma dimostrando che ribellarsi è possibile, portare fino in fondo l’attacco a queste esperienze alimentando lo scollamento delle masse popolari dalla borghesia imperialista e il suo sistema politico.
Questo approfondimento sul ruolo delle amministrazioni Locali ci ha permesso di mettere meglio a fuoco il nesso fra lotta politica borghese (cioè promossa dalla classe dominante) e lotta politica rivoluzionaria e, in particolare, i motivi per cui è necessario correggere tutte le tendenze elettoraliste e astensioniste di principio. I comunisti non devono partecipare alle elezioni (solo) per “dire la loro”, devono fare della lotta politica borghese uno strumento del protagonismo delle masse popolari.
Marco Coppola