A tre anni dalla strage e per avanzare nella lotta per la verità e la giustizia, la Federazione del P.CARC dell’Emilia Romagna aderisce e chiama tutte e tutti a partecipare alla mobilitazione promossa per le giornate dell’11 e 12 marzo a Modena da Consiglio Popolare e Comitato verità e giustizia per le vittime della strage del carcere Sant’Anna.
Il divieto dei colloqui in presenza per i detenuti, sommato all’ulteriore aggravamento della già inaccettabili condizioni dei carcerati (sovraffollamento, scarsa igiene eccetera) dovute alle restrizioni introdotte per la pandemia, fu all’origine delle rivolte nelle carceri italiane. Al termine, tredici furono i detenuti ammazzati, di cui nove morti nel solo carcere modenese.
Nove morti seguite alla dura repressione della rivolta ma derubricate dai giudici a suicidio collettivo, con una sentenza di archiviazione che ha messo in chiaro ancora una volta che nelle aule dei tribunali borghesi, così come nelle carceri, la giustizia non è di casa.
Nove proletari e sottoproletari vittime delle conseguenze di un corso delle cose imposto dalla classe dominante che conduce le masse popolari all’abbrutimento o le costringe a infrangere la legge anche solo per poter sopravvivere, per poi rinchiuderli in condizioni disumane (con abusi psico-fisici e terapeutici quotidiani: le torture a Santa Maria Capua Vetere non sono un’eccezione…) all’interno di carceri nelle quali nessun ricco ha mai messo piede, a prescindere dalla gravità dei reati a danno della collettività che ha commesso – che siano stragi sul lavoro come quella della Thyssen Krupp, disastri ambientali come quelli causati dall’ILVA di Taranto o stragi come quella del Ponte Morandi – neanche nei rari casi in cui questi siano stati oggetto di una condanna penale (o se ci sono finiti è stato solo per poco, giusto il tempo di fargli capire l’antifona nella guerra tra bande).
A ciò si somma l’utilizzo, sempre più dispiegato man a mano che il procedere della crisi alimenta la resistenza delle masse popolari, della repressione giudiziaria delle lotte politiche e sociali finalizzate a difendere ciò che resta dei propri diritti a fronte del progressivo restringimento degli spazi di libertà di parola, di iniziativa e di organizzazione.
Dai daspo urbani o fogli di via contro chi manifesta alle accuse di associazione per delinquere mosse contro il movimento No Tav e il movimento per la casa del Giambellino (Milano), dalle accuse di estorsione contro sindacati di base come il SI COBAS colpevoli soltanto di aver rivendicato diritti per i lavoratori fino all’utilizzo del 41bis per seppellire vivi i militanti rivoluzionari prigionieri (come la condanna a morte per Alfredo Cospito), il filo conduttore è lo stesso: la classe dominante non si fa alcuno scrupolo a sovvertire gli stessi principi che proclama e a piegare le sue stesse leggi allo scopo di colpire chi si organizza per lottare per cambiare questo sistema.
In una società criminale e criminogena come quella capitalista, fondata su una diseguaglianza di classe sempre più evidente, l’unico principio di giustizia che possiamo accettare è che è legittimo tutto quello che va negli interessi delle masse popolari, anche se è illegale, che si tratti di condotte di vita o di forme di protesta.
La lotta per la verità e la giustizia per i morti del Sant’Anna (e non solo) deve continuare ed estendersi perché è una lotta di civiltà. È parte della lotta di classe contro il sistema di guerra, miseria e oppressione della borghesia.
L’esperienza del Comitato, già di per sé un esempio di solidarietà di classe e di opposizione alla falsa giustizia delle istituzioni, è frutto della mobilitazione del Consiglio Popolare, organismo sorto dalla battaglia della classe operaia (le lavoratrici e i lavoratori Italpizza).
La mobilitazione e la solidarietà sono l’unica strada che può ribaltare l’attacco del nemico: dalla repressione contro la classe operaia (basti pensare all’avvio di procedimenti penali contro più di 500 lavoratori a causa della loro attività sindacale), alla promozione di una gestione dal basso degli interessi delle masse popolari (come il Consiglio Popolare) fino a generare nuovi organismi popolari (come il Comitato verità e giustizia e il recente sportello AntiCarcerario che sostiene detenuti e familiari), coordinandosi con altri (come con il Collettivo di Fabbrica della GKN).
Questa è la strada che Modena ha intrapreso e su cui deve continuare. Questa è la strada da intraprende in ogni dove e in ogni città per invertire la rotta e realizzare gli interessi delle masse popolari, dalle fabbriche alle scuole fino alle carceri.
L’esperienza modenese in materia di lotta alla repressione e di lotta anticarceraria è un modello da replicare altrove!
Per questo domenica 12 marzo scenderemo in piazza a Modena con partenza alla 14:00 da Piazzale Primo Maggio.
Per chiedere verità e giustizia sulle morti in carcere, delle rivolte e non solo;
Per denunciare le condizioni delle carceri;
Per l’abolizione dell’ergastolo e del 41 Bis;
Per fermare l’uso della legge per punire il dissenso e le lotte sociali;
Per estendere e far valere la solidarietà di classe;
Per sostenere l’organizzazione e convergenza dal basso in ogni dove.