Le manifestazioni contro la guerra del 25 febbraio

Eppur si muove!

Il P.CARC ha aderito e ha chiamato a partecipare alle mobilitazioni contro l guerra e la Nato che di dono svolte il 25 febbraio a Genova, Niscemi e Cagliari. Altre mobilitazioni, promosse a livello internazionale da Europe For Peace, con l’adesione in Italia di organismi come Rete Italiana Pace e Disarmo, Anpi, Cgil, Emergency, Comunità di Sant’Egidio, Sbilanciamoci, Tavola della Pace, Stop The War Now si sono tenute in varie parti del paese dal 24 al 26 febbraio, con la fiaccolata a Roma di sabato 25 febbraio come loro evento centrale.

Qual è la differenza fra queste manifestazioni?

Le manifestazioni di Genova, Niscemi e Cagliari sono state organizzate da organismi operai e popolari che hanno deciso di convergere su una stessa data e sul netto “NO” alla guerra e all’economia di guerra, alla Nato e al suo protettorato sul nostro paese, all’invio di armi che alimenta, come benzina sul fuoco, il conflitto in Ucraina.

Alla base di queste tre mobilitazioni c’è stata la proposta avanzata dal Calp (Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali) di Genova di organizzare una manifestazione nazionale. Su Resistenza n.2/2023 abbiamo già scritto dei convegni contro la guerra e la Nato tenuti fra gennaio e febbraio in Lombardia e in Sardegna e dell’assemblea del 28 gennaio promossa, appunto, dal Calp.

Esse hanno unito parole d’ordine generali a rivendicazioni particolari, mettendo così in luce lo stretto legame fra il rifiuto della guerra e della Nato con la più generale lotta di classe e popolare in corso nel nostro paese. A Genova la parola d’ordine era “Abbassate le armi, alzate i salari”, a Niscemi era il NO al Muos, a Cagliari il NO alle servitù militari imposte sul territorio.

Si è trattato di tre mobilitazioni organizzate quindi in autonomia, ma legate da obiettivi e percorsi comuni, basate sul protagonismo operaio e popolare e sull’assunzione di un ruolo di riferimento a livello territoriale ma, in una certa misura, anche nazionale: un esempio da cui prendere spunto e da sviluppare. Proprio la natura di queste mobilitazioni, i processi da cui sono scaturite e le caratteristiche delle organizzazioni che le hanno promosse sono gli aspetti principali che ne determinano il carattere di punta avanzata, in una giornata caratterizzata anche da altre mobilitazioni. Per queste ragioni il P.CARC ha deciso di sostenerle e aderirvi.

Le altre manifestazioni sono state promosse da una serie di sigle e organismi strutturati a livello nazionale e che, in alcuni casi, potremmo definire di carattere semi istituzionale. Non a caso alla fiaccolata romana di sabato 25 ha partecipato anche il sindaco della città Roberto Gualtieri, del Pd.

Anche queste hanno visto una mobilitazione capillare e partecipata a livello popolare. I promotori sono a grandi linee gli stessi della manifestazione nazionale del 5 novembre 2022: si tratta di organizzazioni e associazioni che raccolgono i loro iscritti tra le masse popolari e la classe operaia (parliamo in particolare della Cgil e dell’Anpi) e che hanno legami più o meno stretti con settori della classe dominante (in particolare attraverso le loro frange più legate al Pd).

Parliamo allora di manifestazioni in contrapposizione fra loro? Con le prime da favorire e le seconde da boicottare? Assolutamente no!

La differenza fra i “due tipi” di manifestazioni sta nella collocazione di classe dei loro promotori e organizzatori. Non è una questione di numeri, ma di qualità. Le mobilitazioni del primo tipo hanno una più coerente adesione alla realtà che le masse popolari vivono, promuovono parole d’ordine più adeguate alla gravità della situazione. In virtù di questo, anche se con una capacità di mobilitazione sicuramente inferiore rispetto alla Cgil o l’Anpi, esse influenzano e spingono in avanti anche chi tende ad attestarsi a un più generico ed ecumenico pacifismo, mettendo in luce la necessità immediata di lottare in maniera coordinata e compatta contro l’invio di armi sugli scenari di guerra.

Questo è esattamente quanto è accaduto: è stato il Calp che, avanzando la proposta di una manifestazione nazionale per il 25 febbraio, ha costretto anche la Cgil e l’Anpi alla mobilitazione.

Oltre a questo ha spinto ad elevare le loro parole d’ordine.

Il risultato finale è che, in un modo o nell’altro, sono scese in piazza centinaia di migliaia di persone in tutta Italia per la pace e contro l’invio di armi all’Ucraina.

L’intervento nelle manifestazioni promosse da Cgil e Anpi è lotta per non lasciare settori di classe operaia e di masse popolari sotto la direzione di forze legate alla borghesia imperialista. Non intervenire in questo tipo di mobilitazioni vuol dire, per i comunisti, lasciare campo libero ai “pacifisti” con le bandiere della Nato e delle formazioni neonaziste al governo in Ucraina.

Il risultato ottenuto approfondisce le contraddizioni in seno alla classe dominante del nostro paese e favorisce l’apertura e allargamento di un “fronte interno” contro la guerra, contro gli imperialisti Usa e Ue, la Nato e i governi a loro asserviti.

“Ogni forma di protesta e di lotta contro la guerra, il carovita e l’economia da guerra è giusta e legittima: l’unico criterio è che abbiamo la forza per farla. Una diffusa attività contro la guerra condotta in Italia dalle masse popolari e dalla truppa inciderà sulla guerra che Usa, Nato, Ue conducono sotto la direzione del complesso militare – industriale – finanziario Usa per conto dei gruppi imperialisti Usa, sionisti ed europei e sarà un’altra via attraverso la quale la rivoluzione socialista avanza nel nostro paese” (dalla Risoluzione n. 1 del VI Congresso del P.CARC).

Il segnale che viene da Genova

L’informazione mainstream si è ben guardata dal dare spazio e visibilità alla manifestazione contro la guerra di Genova.
è ovvio che, a prima vista “non è successo niente”. In verità è successa una cosa importante. Non solo per i numeri della partecipazione, o comunque non soprattutto per quello, ma perché è stata la prima manifestazione contro la guerra e l’economia di guerra lanciata da un colletto di lavoratori, il Calp.
Ed è successo a Genova quello che succede ogni volta che i lavoratori si pongono alla testa della mobilitazione, rispondono tutti (e chi non risponde perde la faccia!): organismi sindacali e politici, associazioni movimenti.
A ben guardare l’informazione manistream non ha dato spazio neppure alle manifestazioni promosse da Anpi, Cgil e Europe for peace (decine in tutto il paese). Evidentemente il fatto che ponessero nella piattaforma la ferma opposizione all’invio di armi italiane in Ucraina ha impedito che la mobilitazione fosse presentata come un sostegno alla Nato. Ciò che non è allineato con la propaganda di guerra viene censurato. Questa è la dimostrazione del “pessimo stato di salute” della libertà di informazione in Italia, ma è un ottimo segnale riguardo la debolezza del governo Meloni e dei suoi azionisti di maggioranza, Nato in testa.
In definitiva le piazze del 25 febbraio hanno posto due questioni di primaria importanza per lo sviluppo della mobilitazione popolare.
La prima attiene al fatto che sì, si può e si deve discutere sulle posizioni di principio e allo stesso tempo mobilitarsi in modo unitario.
La seconda attiene al fatto che se la mobilitazione promossa dal Calp ha rotto il rituale delle mobilitazioni “convocate dall’alto”, adesso bisogna sostenere e rafforzare il processo delle mobilitazioni dal basso: è una questione di orientamento e di direzione, si tratta di rafforzare la direzione dei lavoratori sulla mobilitazione delle ampie masse popolari.

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