Lettera del Direttore

Si combatte o si subisce. Il processo alla P38 Gang è un paradigma

Già in precedenza abbiamo parlato su Resistenza della P38 Gang, un gruppo trap che ai cliché del genere musicale ha affiancato (“per parlare ai giovani”, sostengono i membri) temi e simbologia del movimento comunista e rivoluzionario.

Ne abbiamo trattato come spunto per argomentare la tesi che la rivoluzione socialista non scoppia (vedi il numero 4/2022), ma anche perché sul gruppo si è abbattuta la censura e la repressione per i testi delle canzoni e le scenografie dei concerti.

Torniamo a parlarne oggi perché censura e repressione hanno raggiunto un livello difficilmente immaginabile agli occhi dei “sinceri democratici” e persino inquietante con gli occhi del “buon senso”.

A maggio 2022 la Procura di Reggio Emilia ha aperto un procedimento per istigazione a delinquere con l’aggravante del terrorismo dopo il concerto della band al circolo Arci Tunnel (vedi Resistenza n. 6/2022). In breve il procedimento è stato trasferito alla Procura di Torino. La motivazione ufficiale è che quella Procura aveva già aperto un procedimento contro la band per una canzone in solidarietà a Dana Lauriola (esponente del movimento No Tav incarcerata per aver fatto un comizio durante un presidio!), ma la verità è che la portata dell’attacco alle libertà democratiche che bolliva in pentola richiedeva la maestria di una Procura spregiudicata, animata da solido spirito antidemocratico e persecutorio, esperta in trame e montature giudiziarie e disposta a metterci la faccia.

Nelle mani della Procura di Torino il caso si trasforma da poco più che un “fenomeno di costume” a “questione di sicurezza nazionale”. Se il procedimento aperto a Reggio Emilia aveva dato visibilità al gruppo, i giudici di Torino, forti della decennale esperienza in materia di persecuzione, operano per tagliare “ali e radici”: il 25 novembre scattano le perquisizioni domiciliari ai componenti del gruppo, il sequestro della strumentazione tecnica e informatica, oltre a “pericolosi reperti” fra cui adesivi di Stalin, poster, manifesti e bandiere. La P38 Gang annuncia lo scioglimento.

Si scoprirà solo alcune settimane dopo, analizzando un faldone di 1.600 pagine, che il Tribunale aveva chiesto gli arresti domiciliari con divieto di comunicare con gli esterni per tutti i componenti del gruppo. Una richiesta inizialmente respinta dal GIP, ma che sarà discussa in apposita udienza l’8 marzo (nel momento in cui scriviamo non si è ancora svolta, ndr).

Fin qui i fatti, sommariamente ricostruiti. Ora tre considerazioni.

La prima è che nonostante i tentativi di annacquare le cose, la P38 Gang è sotto processo solo e soltanto per il contenuto politico delle sue opere.
C’è un filo nero che lega tra loro la risoluzione del parlamento europeo che equipara nazismo e comunismo, i reiterati tentativi di mettere fuori legge i comunisti nel nostro paese, i tentativi di svuotare la Resistenza di ogni riferimento alla lotta di classe e alla lotta per il socialismo, il revisionismo storico e la continua criminalizzazione delle organizzazioni comuniste combattenti degli anni Settanta.
Poteva forse la classe dominante lasciarsi scappare l’occasione per intessere ancor più questa tela? Poteva non approfittare di un gruppo musicale che “inneggia a Stalin a Pol Pot e alle Brigate Rosse”?

Seconda considerazione. No, la P38 Gang non se l’è cercata. Viviamo in una società gestita da criminali, dominata da una classe di parassiti, che lascia ai ricchi la libertà di fare tutto quello che vogliono. Viviamo in un paese schiacciato moralmente, culturalmente e intellettualmente dalla concezione e dalla mentalità clericale imposte dal Vaticano, un potere superato dalla storia e tenuto in vita artificialmente in ragione dell’enorme peso economico e finanziario che mantiene per essersi eretto a baluardo mondiale contro la rivoluzione socialista.
In questo contesto, dove i gesti estremi consentiti sono al massimo
– ringraziare il padrone che ti permette di lavorare;
– perdonare il padrone che per “andare più veloce” manomette il sistema di sicurezza del macchinario che fa a pezzi tua figlia;
– pregare per la redenzione del prete pedofilo;
– fare un cavilloso esposto, pieno di sdegno, alla Procura della Repubblica per la strage sui posti di lavoro, la strage nelle carceri, la strage nel Mediterraneo, la strage nei Cpr…

ecco, in questo contesto la P38 Gang la rogna non se l’è cercata, ma ha offerto la possibilità di ragionare – per quanto in modo disordinato, se volete – sul fatto che si può stare fieramente, orgogliosamente e senza pentimenti, dall’altra parte.

Terza considerazione. Ci sono cose più gravi e importanti di questo procedimento giudiziario? Si e no.
Ci sono cose più importanti su cui mettere la testa: le conseguenze quotidiane della guerra di sterminio non dichiarata che la borghesia conduce contro le masse popolari e la resistenza che le masse popolari vi oppongono. In questo senso, anche l’arte è guerra: serve una o l’altra delle parti in lotta.
Qualcuno legittimamente può ritenere che quella della P38 non sia arte, ma di certo è parte della guerra.
Quindi sì, ci sono cose più importanti e cose meno importanti, ma la questione decisiva è qual è la parte della barricata dietro cui stanno.
Il processo alla P38 Gang, come la condanna a morte per Alfredo Cospito, l’assoluzione per i responsabili del disastro dell’hotel Rigopiano, l’assoluzione per i responsabili della strage alla stazione di Viareggio, quella della Thyssen Krupp di Torino… sono tutte manifestazioni del fatto che la barricata esiste, che chi sta di là non può stare di qua, che la legge non è uguale per tutti, che non esiste né “lo Stato al di sopra delle classi” né il “bene comune”. E infine, soprattutto e ancora, dimostrano che la guerra che non si combatte è una guerra che si continua a subire.

Ai comunisti il compito e la responsabilità di usare tutti i mezzi per organizzare le masse popolari a combattere la loro guerra di liberazione, la rivoluzione socialista, facendo valere la loro inesauribile forza fino a vincere.

Pablo Bonuccelli

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