Sul numero 10/2022 di Resistenza abbiamo pubblicato un articolo di autocritica rispetto a come avevamo condotto la campagna elettorale per le elezioni politiche del 25 settembre. Abbiamo indicato alcune delle resistenze e dei limiti ideologici che hanno ostacolato l’attuazione della linea che avevamo definito e che hanno influito sul fallimento dell’obiettivo di dare al nostro paese un parlamento ostile all’agenda Draghi, facendo eleggere il più alto numero possibile di candidati anti Larghe Intese.
In quell’articolo abbiamo affermato che avremmo sviluppato a fondo la discussione interna sui limiti individuati, in modo da comprenderli alla luce dell’obiettivo generale del P.CARC: creare le condizioni affinché le masse popolari organizzate impongano un loro governo di emergenza.
La discussione è effettivamente iniziata e ha permesso di mettere a fuoco alcune questioni di concezione rispetto al ruolo dei comunisti in questa specifica fase.
Le elezioni regionali in Lombardia e Lazio sono state l’occasione per andare più a fondo nel ragionamento. Trattiamo l’argomento sinteticamente, a beneficio delle discussioni che arricchiscono il lavoro del VI Congresso e anche a beneficio del confronto fra organizzazioni e partiti comunisti.
Partiamo da un dato oggettivo: non siamo stati capaci di usare le elezioni regionali in Lombardia e Lazio per alimentare l’ingovernabilità del paese. Ciò è reso ben evidente dal fatto che
– l’astensionismo è stato individuato dalla maggioranza degli elettori come principale forma di protesta contro i partiti delle Larghe Intese e il sistema politico dei vertici della Repubblica Pontificia;
– né in Lombardia né nel Lazio le elezioni sono state usate per rafforzare il fronte anti Larghe Intese: in Lombardia, Unione Popolare ha presentato una propria lista (con risultati risibili), mentre nel Lazio Unione Popolare e Pci hanno presentato, addirittura, due liste diverse e in concorrenza (con risultati altrettanto risibili).
Simili risultati sono da imputare ai gruppi dirigenti delle liste, che si sono posti obiettivi identitari e di piccolo cabotaggio, ma non possiamo eludere un ragionamento sui nostri limiti, le nostre resistenze e i nostri errori. Che in definitiva sono l’aspetto principale, considerando il senso comune dei promotori delle liste e anche degli esponenti delle organizzazioni anti Larghe Intese, che neppure si sono cimentati nell’approfittare delle elezioni regionali (per spirito di concorrenza, elettoralismo, sfiducia nelle masse popolari, legalitarismo, ecc.) per rafforzare il fronte delle masse popolari.
Proseguendo su quanto elaborato a bilancio delle elezioni politiche, è emersa la necessità di andare più a fondo nella comprensione del nostro ruolo.
In particolare, è emersa una concezione arretrata: la convinzione che il lavoro del P.CARC sia “altro” dal mobilitare le masse popolari affinché “facciano irruzione” nella lotta politica borghese e che il lavoro elettorale sia una parentesi circoscritta nel complesso delle attività del Partito.
Questa è una manifestazione di astensionismo di principio (che poi sfocia nel suo opposto, nell’elettoralismo, quando si concepisce l’intervento nella lotta politica elettorale solo o soprattutto come indicazione di voto), che porta a contrapporre una presunta “attività di serie A” (il rafforzamento degli organismi operai e popolari, la costruzione di nuovi organismi e il loro coordinamento) e una presunta “attività di serie B” (usare le elezioni per rafforzare il campo delle masse popolari e aumentare l’ingovernabilità del paese). Si tratta di un errore di dialettica che nasce da un’analisi della situazione sbagliata.
Per la classe dominante, le elezioni sono un accidente di cui farebbe volentieri a meno. A ogni tornata elettorale i partiti borghesi escono, in un modo o in un altro, penalizzati e indeboliti: o perché le masse popolari votano per liste antisistema (o che si presentano come tali, vedi il M5S) oppure perché attraverso l’astensione le masse popolari dimostrano la loro avversione per la classe dominante (è avvenuto per le regionali in Lombardia e nel Lazio con il 60% di astensione, ma anche per le politiche di settembre con il 36% di astensione).
Se potessero farne a meno, i vertici della Repubblica Pontificia eviterebbero le elezioni. Ma devono dare al loro operato almeno una parvenza di democrazia: ecco perché – lungi dall’essere uno strumento decisivo per imporre un nuovo corso politico al paese – le elezioni sono un’occasione per sviluppare il ruolo delle masse popolari nell’ingovernabilità del paese.
Pertanto l’attività di tipo A deve essere legata e concatenata all’attività di tipo B. Ciò non significa affatto “fregarsene delle elezioni” o rincorrerne le scadenze. Fregarsene delle elezioni porta a precludersi un terreno di battaglia sul quale la classe dominante ha in mano le regole dello scontro, ma non riesce a uscire davvero vincitrice. Rincorrere le scadenze porta all’elettoralismo.
In sintesi, solo il mancato intervento dei comunisti, combinato con il senso comune dei promotori delle liste anti Larghe Intese, permette alla classe dominante di fare buon viso a cattivo gioco: sia in Lombardia che nel Lazio i “vincitori” hanno raccolto un’esigua minoranza di voti!
Come si sono tradotti questi errori di analisi e di dialettica nella mobilitazione per le elezioni regionali?
Se prendiamo l’esempio della Lombardia, l’errore principale è stato iniziare un intervento per coalizzare tutte le forze anti Larghe Intese, ma non portarlo a termine a causa dei “bastoni fra le ruote” posti dai gruppi dirigenti dei partiti e delle forze anti Larghe Intese. Ci siamo posti al loro carro, anziché far valere la forza della nostra concezione e della nostra linea e dare battaglia. Giustamente, scrive la Segreteria Federale Lombardia: “La proposta di costruire un fronte anti Larghe Intese ha sempre riscosso grande favore tra tanti compagni e compagne, attivisti dei comitati di lotta, associazioni e organizzazioni progressiste e antifasciste, noi non abbiamo valorizzato abbastanza quella spinta, ci siamo fatti condizionare dal disfattismo e dall’attendismo di pochi, facendoli prevalere sulla disponibilità di molti. Ci sono imprese che non affrontiamo perché ci sembrano impossibili, ma in realtà ci sembrano impossibili solo perché non osiamo affrontarle. Ecco, per quanto ci riguarda non abbiamo osato abbastanza”.
Se prendiamo l’esempio del Lazio, l’errore principale è aver accettato la presentazione di due liste anti Larghe Intese distinte e in reciproco antagonismo. D’accordo: non possiamo unire a forza ciò che vuole rimanere diviso, ma possiamo – anzi dobbiamo – indicare subito cosa comporta una scelta sbagliata, denunciarla come sbagliata, agire affinché sia rifiutata dagli stessi a cui è rivolta (“l’elettorato di sinistra”) per portarli a rifiutarla o quantomeno a limitarne i danni. Era difficile? Sì. Ma sarebbe stato educativo e formativo. Così come dare subito (all’inizio della campagna elettorale, non alla fine) indicazione di voto per una delle due liste e chiamare tutti gli elettori di sinistra a far confluire il loro voto su quella, anziché dare indicazione di voto per l’una e per l’altra.
Abbiamo fatto due piccoli esempi. Certamente sono parziali, certamente il discorso è più ricco e va comunque contestualizzato alle realtà particolari (Lombardia e Lazio). Tuttavia emerge bene la questione di fondo: anche la lotta politica borghese è terreno della lotta di classe; anche su questo terreno i comunisti devono stare alla testa della mobilitazione delle masse popolari; anche su questo terreno la forza delle masse popolari sposta gli equilibri sia nel campo “amico” (il fronte anti Larghe Intese) sia fra il campo amico e il campo nemico.
Il 60% di astensione alle elezioni di Lombardia e Lazio, in questo senso, è prima di tutto la manifestazione dell’occasione che i comunisti e le forze anti Larghe Intese hanno perso per portare le masse popolari a fare irruzione nel teatrino della politica borghese, facendo una vera campagna di rottura con il sistema delle Larghe Intese.