[Firenze] Degrado a Rifredi, da dove nasce e quali sono le soluzioni?

[Firenze] Degrado a Rifredi, da dove nasce e quali sono le soluzioni?

Questa mattina, 1 febbraio 2023, il Corriere Fiorentino ha pubblicato un articolo dal roboante titolo: “Droga e alcol il Circolo Arci chiuso per 10 giorni: è un pericolo”.

L’articolo recita: “Stop al circolo Arci Le Panche in via de’ Caccini. Da sabato scorso è infatti scattata per dieci giorni, la sospensione della licenza per il circolo che si trova nella zona di Rifredi, stando a quanto ha deciso il questore della provincia di Firenze, Maurizio Auriemma” e continua: “il provvedimento (…) è stato adottato a seguito di vari episodi per lo più connessi al ritrovamento di stupefacenti nei pressi dell’attività” (quindi non dentro il Circolo!).

L’articolo riporta anche che gli agenti avrebbero: “notato all’interno del locale la presenza di diversi nordafricani in preda ai fumi dell’alcol”.

Intanto, la prima cosa che ci viene da chiedere è come mai la polizia non usa la stessa solerzia nel controllare e sanzionare il “malcostume” dei locali e localini del centro della “Firenze bene”. Altro che nordafricani in preda ai fumi dell’alcol! Turisti, studenti, “professionisti”, magari americani o comunque europei (e quindi bianchi, ben vestiti, e perché no, anche ricchi!) che si ubriacano, pippano e schiamazzano per le vie del centro: quelli vanno bene, sono socialmente accettabili e accettati dalla questura e dalle istituzioni perché “sono una risorsa”…da capire per chi! Di certo non per le masse popolari espulse dal centro storico a causa del lievitare degli affitti e del costo della vita in una città sempre più “a misura dei ricchi”!

Notiamo anche, che la dovizia giornalistica che anima la penna di chi ha scritto il suddetto articolo non l’abbiamo mai riscontrata negli anni di attività che hanno reso il circolo Arci Le Panche un punto di riferimento per le masse popolari di Rifredi. Citiamo, su tutte, l’esperienza del Sostegno alimentare avviata nei mesi duri del lockdown.

Infatti, se da una parte le istituzioni non facevano altro che terrorizzare, reprimere e abbandonare la popolazione, dall’altra c’erano realtà, come quelle organizzate in questa casa del popolo, che si sono prese la briga di intercettare e organizzare chi aveva bisogno di risposte immediate e concrete: una su tutte quella di mettere un pasto caldo in tavola. Questo è stato possibile grazie all’attivismo di decine e decine di volontari organizzati nelle circolo che si sono mossi per reperire cibo e distribuirlo alle famiglie in difficoltà, un intervento che dura tuttora perché, nonostante vengano tolti contributi affitto e reddito di cittadinanza dal governo Meloni, la crisi è tutt’altro che finita!

Ecco, non ci sembra che dalle colonne del Corriere Fiorentino siano fioccati articoli di encomio o che ci sia stata una particolare attenzione nel propagandare (e quindi sostenere) questa attività.

Detto questo analizziamo il problema dall’alto. Degrado, spaccio, chiasso e abbandono esistono, anche a Rifredi, ma sono problemi che hanno origini ben più profonde; sono dovuti alla crescente disoccupazione e precarietà, alla povertà e alla conseguente emarginazione sociale, tutti aspetti che creano le basi per i capannelli di ubriachi, lo spaccio, la prostituzione e altro degrado che tutti conosciamo bene perché viviamo in questi quartieri e qui facciamo anche attività politica e sociale. È evidente che le istituzioni che dovrebbero prendersi cura della città e più nello specifico delle periferie non hanno la volontà politica e nemmeno la serietà di risolvere i problemi e le criticità che si vivono (anzi, quelle istituzioni sono causa e parte integrante dei nostri problemi!).

La verità è che il Comunein primis non attua delle reali politiche di coesione sociale, di integrazione e soprattutto non organizza i lavori che servono per rimettere in piedi i nostri quartieri, per renderli un posto dove poter vivere e lavorare dignitosamente.

Il quartiere di Rifredi negli anni ha subito una vera e propria desertificazione del suo tessuto produttivo: qui si trovavano la Galileo, la Superpila, la Sbisà, il Meccanotessile, i magazzini delle Ferrovie dello Stato… migliaia di posti di lavoro lentamente cancellati per far posto a palazzoni, supermercati e poco altro.

Il lavoro è il principale aspetto su cui intervenire per ricostruire e garantire un tessuto sociale sano, per garantire condizioni di vita dignitose e per arginare il degrado in cui la periferia sta sprofondando. Per fare un esempio banale, lo spazzamento delle strade avviene appena una volta al mese e si parla di un rione abitato da migliaia di persone, attraversato da arterie trafficate come via Reginaldo Giuliani e via delle Panche. E’ ovvio che le strade diventino velocemente sporche e il Comune che fa? Mette i parcheggi a pagamento!

I problemi delle periferie diventano un piatto succulento (e cioè terreno di speculazione politica) per i partiti delle Larghe Intese (dalla destra moderata come il PD fino alla destra più apertamente reazionaria come Lega e Fratelli d’Italia) e per gli scimmiottatori del fascismo (da Forza Nuova a Casa Pound) solo nella misura in cui possono accreditarsi agli occhi delle masse popolari come “i paladini della sicurezza e del decoro”, magari per giustificare più controllo, più repressione o qualche speculazione edilizia e immobiliare, come accade da anni a Rifredi.

Se quanto detto fin qui appare (e forse in una certa misura è) scontato, quello che non lo è affatto è una discussione pubblica e collettiva sul tipo di vivibilità, di coesione e di socialità che vogliamo costruire nei quartieri che viviamo e nei posti in cui ci siamo assunti la responsabilità di fare attività politica e sociale. E’ una discussione che attiene, per esempio, a come trattare contraddizioni in seno ai nostri referenti (le masse popolari), che esistono e che non possono essere negate o ignorate. Si tratta di assumere una visione di classe delle problematiche con cui ci confrontiamo e di avere il coraggio di riconoscere apertamente comportamenti antisociali, cioè che ledono gli interessi delle masse popolari che vivono nel quartiere, che frequentano e che lavorano nel circolo, e di agire di conseguenza in autonomia dalle istituzioni e dal suo apparato repressivo. In una parola: tanto più impareremo a occuparci in autonomia dei nostri quartieri, delle nostre sedi, dei nostri spazi, tanto più limiteremo l’inopportuno intervento della polizia (che infatti che fa? Chiude!). Si tratta di guardare chi abbiamo di fronte mettendo al centro il suo ruolo sociale: cioè che cosa rappresenta per la comunità e per i suoi interessi, e solo secondariamente ai rapporti e alle vicissitudini personali. Si tratta di imparare a tenere insieme una visione e delle della pratiche, di lungo corso e di prospettiva, con la necessità di interventi immediati e contingenti.

Si tratta, in ultima istanza, di aprire una discussione, franca e costruttiva, sulla relazione tra vendita di sostanze, militarizzazione del territorio e sottomissione dei nostri quartieri alle logiche del consumo distruttivo, alla rarefazione dei rapporti sociali e alla guerra fra poveri. A questo proposito, come comunisti siamo contrari al dilagare delle sostanze, soprattutto pesanti, nei nostri quartieri e riteniamo che le Case del Popolo, a maggior ragione quelle in cui sono presenti realtà che aspirano (in modo sano e genuino) alla costruzione di rapporti sociali alternativi a quelli vigenti, debbano assumersi l’onore e l’onere di essere un punto di riferimento anche in questa lotta (a partire dalle nostre forze, fin dove arriviamo e imparando a farlo sempre meglio).

Come comunisti, non accettiamo e non tolleriamo la presenza di spaccio e spacciatori e ci diamo i mezzi per poter trattare nel modo meno antagonista possibile queste contraddizioni ma con la determinazione e il rigore di chi ha una precisa idea di vivibilità e socialità, che esclude quelle forme di assoggettamento alle logiche dell’industria dello sballo e dello sfruttamento di cui lo spaccio è, evidentemente, parte integrante.

Che significa darsi i mezzi? Quali mezzi? Tutto ciò che serve a sviluppare socialità, organizzazione, relazioni sociali sane (cioè il più possibile fuori dalle logiche di oppressione, sfruttamento e profitto proprie di questa società) e soprattutto partecipazione alla lotta politica va bene. Detto questo, affinché il mutualismo, il teatro, i balli, le iniziative e le riunioni politiche, siano efficaci e soprattutto realizzabili bisogna imparare a curare i nostri spazi (non solo i circoli o le sedi in cui ci ritroviamo ma possibilmente l’intero quartiere dove i nostri spazi hanno sede, infatti non esistono nicchie in mezzo al deserto) il che vuol dire anche esercitare un controllo, una vigilanza che sia il più autorganizzata possibile, che sia anch’essa espressione del protagonismo popolare che coltiviamo con il resto delle nostre attività e che significa assumersi la responsabilità di dire che cosa è positivo e costruttivo per lo sviluppo virtuoso della nostra comunità e che cosa, invece, non lo è e intervenire di conseguenza: per educare e “correggere” laddove possibile, per allontanare laddove necessario.

La mancata assunzione di questa responsabilità crea un vuoto e in questo vuoto prende piede la narrazione securitaria e le misure propinate dalla polizia, dai fascisti e dagli speculatori alla ricerca di voti: i vari omuncoli di Lega e FdI che animano i consigli di quartiere della nostra città, che marciano sul problema dello spaccio e del degrado magari per un posticino in quell’illibato posto chiamato Montecitorio…

Protagonismo popolare. Lo abbiamo scritto più volte ma è effettivamentequesto è quello che serve a tutelare, proteggere e organizzare la nostra comunità. Una comunità che è fatta di lavoratori, studenti, disoccupati, giovani e anziani, italiani e stranieri. Questi ultimi in modo strumentale e opportunista vengono spesso e volentieri tirati in mezzo facendo di tutta l’erba un fascio, per confondere lo spacciatore con il muratore, il nullafacente con chi si sbatte per cercare di avere una vita dignitosa. Ebbene, a questa propaganda di guerra rispondiamo riprendendoci le periferie e i quartieri popolari. Così si costruisce la mobilitazione rivoluzionaria, da questo terreno fertile, reso tale dall’eredità della prima ondata del movimento comunista, spazzando via il becero razzismo e l’ipocrita buonismo da due soldi.

Si tratta di coordinare quanto è a disposizione, e non è certo poco, con le nuove organizzazioni popolari che si formeranno e che contribuiremo a formare; saranno quelle che metteranno in pratica la parola d’ordine che risuonava nei cortei degli anni ‘70: Droga, fascisti e polizia dai nostri quartieri vi spazzeremo via”.

La nostra non è nostalgia del passato: quegli esempi sono le radici del futuro che vogliamo costruire. Cominciamo da adesso.

Federazione Toscana del Partito dei CARC

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