Imparare a fare cose straordinarie

La situazione generale è straordinariamente grave. Non ripetiamo qui il lungo elenco di avvenimenti che lo dimostrano: ogni lettore ha molti elementi per vederlo e comprenderlo.

Di fronte a una situazione straordinariamente grave bisogna fare cose straordinarie. Su cosa significa questo, invece, è utile chiarirsi.

Le cose straordinarie che bisogna fare non sono affatto cose fuori dalla comune portata, non sono gesti estremi o che richiedono un particolare coraggio. Fare cose straordinarie vuol dire pensare in modo coerente con la gravità della situazione e assumere comportamenti conseguenti.

In un’epoca in cui la classe dominante fa sfoggio della sua ipocrisia (la contraddizione fra ciò che dice e ciò che fa), eleva l’incoerenza a valore (la chiama “libertà”), educa le masse popolari a seguire le suggestioni e le apparenze con cui intossica l’opinione pubblica, le cose straordinarie a cui mi riferisco sono essenzialmente tre:

– pensare in modo coerente con gli interessi delle masse popolari, cioè liberarsi dal senso comune corrente, dalle consuetudini (“si è sempre fatto così”) e dai pregiudizi imposti o ereditati;

– sostenere tutte le spinte, le tendenze e le iniziative che vanno nella direzione di affermare (perseguire, soddisfare) gli interessi delle masse popolari;

– imparare a legare la teoria alla pratica, i discorsi alle azioni, le parole ai fatti.

Se davvero si è convinti che è urgente e necessario cambiare la rotta che conduce il paese e l’umanità al disastro, allora bisogna fare cose che rendono possibile il cambiamento, che lo realizzano.

Se davvero si è convinti che l’attuale classe dominante non può (e non vuole) avere un ruolo positivo nel cambiamento, allora bisogna alimentare il movimento pratico attraverso cui le attuali classi oppresse diventano la nuova classe dirigente della società. Come?

Ad esempio usando le campagne elettorali e le elezioni. Non per “eleggere un rappresentante delle masse popolari”, “dare voce alle lotte”, “avere una sponda politica”: tutto questo appartiene ai luoghi comuni e alle consuetudini di cui è urgente liberarsi! Le campagne elettorali e le elezioni sono un’occasione per promuovere su ampia scala l’organizzazione delle masse popolari e la loro mobilitazione. Anche perché, altrimenti, raccogliere voti serve a ben poco (guardate che fine ha fatto il M5S!).

Un altro esempio è considerare gli scioperi non come un “rituale”, una scadenza o, peggio, una gara fra organizzazioni sindacali per dimostrare “ chi ha più iscritti” o “lo spezzone più numeroso alla manifestazione”, ma come occasione per costruire in ogni azienda comitati di sciopero unitari, organismi operai che agiscono prima, durante e dopo lo sciopero e le manifestazioni.

Un ultimo esempio è non fermarsi a “giudicare” chi è il promotore delle mobilitazioni: se una mobilitazione è partecipata significa che raccoglie delle aspettative e dà voce a una parte importante delle masse popolari. Per ogni mobilitazione occorre ragionare su come rafforzare e sviluppare gli aspetti positivi (quelli che affermano, difendono, perseguono gli interessi delle masse popolari) e indebolire quelli negativi (che alimentano la guerra fra poveri e affermano gli interessi dell’attuale classe dominante).

Queste cose sono normali, nel senso che sono alla portata di tutti. Ma sono anche straordinarie, nel senso che non sono affatto prassi comune.

Fra chi si propone di cambiare il paese e la società, e in particolare nel movimento comunista cosciente e organizzato del nostro paese, lo spirito di concorrenza, il settarismo, l’incapacità o indisponibilità a confrontarsi seriamente e apertamente e anche, in certi casi, i meri “interessi di bottega” sono molto diffusi.

Sono tutte manifestazioni di sfiducia: sfiducia nella possibilità che la classe operaia e le masse popolari possano diventare la nuova classe dirigente del paese e sfiducia nel fatto che, organizzate, possano fare addirittura meglio di quanto fa l’attuale classe dominante.

Ma, in definitiva, sono anche manifestazione di sfiducia in sé stessi, perché la classe operaia e le masse popolari non diventeranno spontaneamente la nuova classe dirigente della società. Perché questo accada è necessario che i comunisti, i rivoluzionari, le organizzino, le mobilitino e le portino ad assumere quel ruolo. Perché, per dirla con le parole di Marx: “La classe operaia possiede un elemento del successo, il numero; ma i numeri pesano sulla bilancia solo quando sono uniti dall’organizzazione e guidati dalla conoscenza”.

Da qui una conclusione – generale, ma anche concreta – quali che siano il contesto, la battaglia o l’occasione, il compito dei comunisti è promuovere la mobilitazione delle masse popolari, ma soprattutto promuoverne l’organizzazione: fare in modo che ogni mobilitazione concorra a sedimentare organizzazione.

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