Alla fine degli anni ‘60 e all’inizio degli anni ‘70 in Italia come in altri paesi vi fu una grande stagione di lotte (il ‘68 e l’Autunno caldo). La lotta per strappare alla borghesia nuove conquiste di civiltà e di benessere raggiunse il suo culmine e toccò il suo limite: per andare oltre doveva trasformarsi in lotta per la conquista del potere e l’instaurazione del socialismo.
La scintilla del 1969
È con la lotta per il rinnovo del CCNL dei metalmeccanici che la mobilitazione divampa, inaspettata per partecipazione, ampiezza e radicalità. L’ondata di scioperi che anticiparono la “stagione dei rinnovi”, costrinse i sindacati, i partiti della sinistra e lo stesso PCI a rincorrere gli operai e a sostituire le ristrette Commissioni Interne, elette dai vertici sindacali, con i Consigli di Fabbrica, composti da delegati eletti direttamente dagli operai. Benché in soli tre mesi il CCNL fosse chiuso con importanti conquiste, la mobilitazione non si esaurì e anzi contagiò tutti i settori dei lavoratori dipendenti, fino agli insegnanti e agli studenti, fino ad imporre l’approvazione dello Statuto dei Lavoratori, nel 1970. È in questa fase che si inseriscono gli “anni di piombo”, che convenzionalmente iniziano con la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969.
La strategia della tensione
Le bombe, le stragi, il terrorismo, lo squadrismo organizzato, le provocazioni e i tentativi di colpo di stato che costellarono “gli anni di piombo” furono la risposta di quella parte di borghesia italiana e internazionale (USA e Vaticano) che non era disposta a concedere ulteriormente conquiste alla classe operaia ed era tanto terrorizzata dal pericolo del comunismo da scendere sul terreno della promozione della mobilitazione reazionaria aperta e dispiegata, inaugurando la cosiddetta strategia della tensione.
L’evento inaugurale della strategia della tensione fu la strage di piazza fontana del 12 dicembre 1969 di matrice fascista, evento che portò all’omicidio da parte della questura di Milano dell’anarchico Giuseppe Pinelli e all’arresto di Pietro Valpreda, con l’obiettivo di depistare l’opinione pubblica dai reali responsabili dell’attentato e dell’omicidio, lo Stato e la sua manovalanza fascista.
Le stragi fasciste costellarono tutto il decennio. Il 22 luglio 1970 la strage di Gioia Tauro, il 31 maggio 1972 la strage di Peteano Gorizia, il 17 maggio 1973 strage della questura di Milano, 28 maggio 1974 strage di Piazza della Loggia a Brescia, il 4 agosto 1974 strage dell’Italicus e il 2 agosto 1980 strage della Stazione di Bologna.
Questi attentati si inseriscono in una strategia che voleva contrastare l’avanzamento delle lotte delle masse popolari e della forza crescente che le organizzazioni della sinistra extraparlamentare, dei Consigli di Fabbrica, dei Collettivi Studenteschi, ecc. stavano assumendo nel paese. Organizzazioni come il Partito Comunista d’Italia (Nuova Unità), i Gruppi d’Azione Partigiana (GAP), Potere Operaio, Lotta Continua, Autonomia Operaia, i Nuclei Armati Proletari (NAP) e le Brigate Rosse furono protagoniste, insieme al movimento di resistenza delle masse popolari, del punto più alto della lotta delle masse popolari italiane sul terreno della conquista di tutele e diritti.
Tra le principali conquiste strappate alla borghesia in quegli anni ricordiamo: lo Statuto dei Lavoratori (1970), Legge Fortuna-Baslini – il divorzio (1971) la Scala Mobile (1975), il Servizio Sanitario Nazionale (1979), ecc.
In questi anni i partiti di governo – la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista Italiano, il Partito Socialista Democratico Italiano, il Partito Repubblicano Italiano e il Partito Liberale Italiano – rafforzati dal sostegno del PCI elaborarono delle leggi speciali “per far fronte alla situazione di crisi”, leggi che furono usate per reprimere il dissenso e in particolare colpire il movimento comunista. Da qui l’ondata di arresti, torture, perquisizioni ecc. verso i rivoluzionari. Tra le leggi speciali ricordiamo la legge Reale, la legge Cossiga e la formazione di corpi speciali antiterrorismo (GIS, NOCS, SVATPI, ecc.).
Le Brigate Rosse e la lotta armata
Esse raccoglievano e davano espressione politica alla necessità di conquistare il potere e di trasformare la società che le stesse lotte rivendicative alimentavano nella classe operaia e nelle masse popolari. Da qui il sostegno, l’adesione e il favore delle masse popolari nei confronti delle Brigate Rosse, testimoniati dal loro radicamento in fabbriche importanti (FIAT, Alfaromeo, Siemens, Pirelli, Petrolchimico, ecc.), ma più ancora dalle misure che la borghesia dovette adottare per contrastarne l’influenza e isolarle dalle masse e dalla persistenza della loro influenza anche dopo la loro sconfitta.
Con la loro iniziativa le Brigate Rosse ruppero con la concezione della forma della rivoluzione socialista che aveva predominato tra i partiti comunisti dei paesi imperialisti (la via pacifica al comunismo). Esse tuttavia non riuscirono a liberarsi dall’influenza della cultura borghese di sinistra, in particolare nella versione datane dalla Scuola di Francoforte, non riuscirono a correggere gli errori di analisi della fase che avevano in quella cultura il loro fondamento. In definitiva scambiarono la fase culminante della lotta delle masse per strappare conquiste nell’ambito della società borghese con l’inizio della rivoluzione.
Le BR hanno lasciato un segno profondo nella lotta di classe presente e passata e a questa molti compagni, giovani e meno giovani, guardano con ammirazione stante il ruolo principalmente positivo che esse hanno avuto nel ridare fiducia nelle possibilità di vincere e di fare la rivoluzione socialista nel nostro paese e nell’incarnare una chiara risposta alla deriva revisionista del primo PCI. Un esperimento dirompente, questo delle BR, che ha scardinato le illusioni revisioniste ponendo nuovamente all’ordine del giorno (nella lotta di classe dell’epoca) l’obiettivo della costruzione della rivoluzione socialista.
Fine degli anni ‘70
I limiti ideologici del movimento rivoluzionario degli anni ’70 crearono le condizioni perché l’attacco repressivo della borghesia imperialista avesse successo. Tale attacco si combinò con l’inizio della seconda crisi generale del sistema capitalista. Già all’inizio degli anni ’80 a livello internazionale e a livello nazionale prese avvio una stagione di attacco alle conquiste che le masse popolari avevano strappato negli anni precedenti (in particolare con le politiche varate da Margaret Thatcher in Inghilterra e da Ronald Reagan negli USA; si era esaurita la prima ondata delle rivoluzioni proletarie che dal 1917 aveva sconvolto il mondo.
In Italia la Democrazia Cristiana con l’appoggio di tutte le forze politiche dell’arco costituzionale, compreso il PCI, tentarono di dividere e sgominare il movimento rivoluzionario attraverso retate, perquisizioni di massa, sequestri di persona, arresti e torture. Il pentitismo e la dissociazione dalla lotta di classe furono uno degli strumenti di questo attacco. Ma anche la lotta alla repressione e la lotta contro dissociazione e pentitismo in solidarietà ai rivoluzionari prigionieri si svilupparono e diede vita a un gran numero di comitati contro la repressione contribuendo alla futura rinascita del movimento comunista in Italia.
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Solidarietà ai rivoluzionari prigionieri ancora nelle mani del nemico!
La solidarietà dei compagni e delle masse popolari con i rivoluzionari prigionieri è una questione politica: l’invio di lettere ai detenuti politici e ai compagni prigionieri, come forma di sostegno e rottura dell’isolamento indotto dalla reclusione. Chiunque volesse sostenere i rivoluzionari prigionieri ancora detenuti scrivendo messaggi di solidarietà, può mettersi in contatto con noi via mail scrivendo a carc@riseup.net. Forniremo gli indirizzi dei luoghi di detenzione e, per chi volesse, metteremo a disposizione le cartoline.