L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza

Presentiamo, e invitiamo tutti i nostri lettori a studiare, l’opuscolo redatto da Engels nel 1880 L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza, ristampato nel 1993 dalle Edizioni Rapporti Sociali.

Qualcuno si chiederà: “Perché parlare su queste pagine di un opuscolo scritto quasi un secolo e mezzo fa?”

In questa fase storica in cui la crisi del capitalismo avanza e le sue manifestazioni si fanno sempre più distruttive, la necessità di un cambiamento radicale della società diviene questione all’ordine del giorno, evidente a un numero sempre maggiore di persone. Ma su quale sia il cambiamento che serve e come realizzarlo le idee sono le più varie: dal ritorno al capitalismo industriale, allo sviluppo di un mondo multipolare (vedi articolo a pag. 7), fino alla decrescita felice.

In tale contesto questo opuscolo resta attualissimo perché mostra come la soluzione a questo problema sia già stata data più di un secolo e mezzo fa, con l’elaborazione del marxismo.

Descrivendo l’origine e il contenuto di questa concezione, l’opuscolo mostra al contempo la profonda differenza tra il marxismo e tutte le altre teorie che aspirano al cambiamento sociale (in esso si fa, ovviamente, riferimento ai pensatori di quell’epoca o precedenti, ma lo stesso discorso vale per la fase attuale). La differenza sta nel carattere scientifico del marxismo. Questo non immagina una società ideale sulla base di principi astratti, ma individua – attraverso lo studio della storia, della società capitalista e delle leggi dello sviluppo delle società umane – le premesse della società futura in quella esistente: il comunismo non è una geniale pensata di Marx ed Engels, ma lo sbocco inevitabile della lotta tra proletariato e borghesia. Compito dei comunisti è, quindi, spingere in avanti questa lotta, guidata dalla classe operaia riunita attorno al suo partito, fino alla conquista del potere politico e alla costruzione del socialismo.

Questo è il nucleo fondante del marxismo, che resta valido ancora oggi nonostante gli enormi cambiamenti avvenuti dall’epoca di Marx ed Engels; esso è, anzi, la chiave per comprendere tali cambiamenti e come questi hanno determinato la situazione attuale. Il marxismo rimarrà valido fino che vivremo nel capitalismo ed esisteranno classi contrapposte e antagoniste.

“La concezione materialista della storia parte dal principio che la produzione e, con la produzione, lo scambio dei suoi prodotti sono la base di ogni ordinamento sociale; che, in ogni società che si presenta nella storia, la distribuzione dei prodotti, e con essa l’articolazione della società in classi o ceti, si modella su ciò che si produce, sul modo in cui si produce e sul modo in cui si scambia ciò che si produce.

Conseguentemente, le cause ultime di ogni mutamento sociale e di ogni rivolgimento politico vanno ricercate non nella testa degli uomini, non nella loro crescente coscienza della verità eterna e dell’eterna giustizia, ma nei mutamenti del modo di produzione e di scambio; esse vanno ricercate non nella filosofia ma nell’economia dell’epoca che si considera. Il sorgere della coscienza che le istituzioni sociali vigenti sono irrazionali e ingiuste (…) è solo un segno del fatto che nei metodi di produzione e nelle forme di scambio si sono inavvertitamente verificati mutamenti per i quali non è più adeguato quell’ordinamento sociale che invece si attagliava alle condizioni precedenti.

Con ciò è detto nello stesso tempo che i mezzi per eliminare gli inconvenienti che sono stati scoperti devono anch’essi esistere, più o meno sviluppati, negli stessi mutati metodi di produzione. Questi mezzi non devono, diciamo, essere inventati dal cervello, ma essere scoperti per mezzo del cervello nei fatti materiali già esistenti della produzione.

Su queste basi, quale è dunque la posizione del socialismo moderno?

L’ordinamento sociale vigente, ed è questo un fatto ammesso ora quasi generalmente, è stato creato dalla classe oggi dominante, la borghesia. Il modo di produzione peculiare della borghesia, da Marx in poi designato col nome di modo di produzione capitalista, era incompatibile con i privilegi locali e di ceto e con i vincoli personali reciproci dell’ordinamento feudale; la borghesia infranse l’ordinamento feudale e sulle sue rovine instaurò l’ordinamento sociale borghese, il regno della libera concorrenza, della libertà di domicilio, dell’eguaglianza dei diritti dei possessori di merci, insomma tutte quelle che si chiamano delizie borghesi. Il modo di produzione capitalista si poté da quel momento sviluppare liberamente.

Le forze produttive elaborate sotto la direzione della borghesia si svilupparono con celerità e proporzioni fino allora inaudite da quando il vapore e le nuove macchine utensili trasformarono la vecchia manifattura nella grande industria. Ma come a suo tempo la manifattura e l’artigianato nel loro sviluppo erano venuti in conflitto con i vincoli feudali delle corporazioni, così la grande industria, arrivata al suo pieno sviluppo, viene in conflitto con i limiti entro i quali la confina il modo di produzione capitalista. Le nuove forze produttive hanno oramai superato la forma borghese del loro impiego.

Questo conflitto tra forze produttive e modo di produzione non è un conflitto sorto nella testa degli uomini (…); esso esiste al contrario nei fatti, obiettivamente, fuori di noi, indipendentemente dalla volontà e condotta stessa di quegli uomini che lo hanno determinato.

Il socialismo moderno non è altro che il riflesso ideale di questo conflitto reale, non è altro che il suo ideale rispecchiarsi, in primo luogo, nella testa della classe che sotto di esso direttamente soffre, la classe operaia. (…)

Rivoluzione proletaria, soluzione delle contraddizioni: il proletariato si impadronisce del potere pubblico e in virtù di questo trasforma i mezzi di produzione sociale, che sfuggono dalle mani della borghesia, in proprietà pubblica. Con questo atto il proletariato libera i mezzi di produzione dal carattere di capitale che sinora essi avevano e dà al loro carattere sociale piena libertà di esplicarsi. Oramai diviene possibile una produzione sociale conforme ad un piano prestabilito. Lo sviluppo della produzione rende anacronistica l’ulteriore esistenza di classi sociali distinte. Nella misura in cui scompare l’anarchia della produzione sociale, viene meno anche l’autorità dello Stato. Gli uomini finalmente padroni della forma loro propria di organizzazione sociale, diventano perciò ad un tempo padroni della natura, padroni di se stessi, liberi.

Compiere quest’azione di liberazione universale è la missione storica del proletariato moderno. Studiarne a fondo le condizioni storiche e conseguentemente la natura stessa e dare così alla classe, oggi oppressa e chiamata all’azione, la coscienza delle condizioni e della natura della sua propria azione è il compito del socialismo scientifico, espressione teorica del movimento proletario.”

L’opuscolo di Engels è quindi importante perché, oltre ad esporre il contenuto della concezione marxista, mostra come questa non sia semplicemente un’idea politica tra le altre, da scegliere o meno in base a come si accorda alle nostre idee; da valutare in base ai principi astratti di uguaglianza, giustizia, libertà. È invece una scienza: la scienza delle attività con cui gli uomini fanno la loro storia, capace di spiegare e descrivere le forze che producono i mutamenti sociali, strumento per comprendere il movimento oggettivo della società e quindi intervenire per trasformarla secondo le leggi del suo sviluppo. Una scienza che in 150 anni si è arricchita con l’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria e del suo esaurimento; che come ogni scienza si è sviluppata facendo fronte ai propri limiti e fallimenti, fino ad assumere la forma attuale del marxismo-leninismo-maoismo.

Chi vuole cambiare questa società non può prescindere da tale scienza, deve farla propria e applicarla alla trasformazione della società, deve cioè diventare comunista, così come chi vuole combinare le molecole deve studiare la chimica, pena muoversi alla cieca, per tentativi, senza risultati. Insomma, essere comunisti non è una questione identitaria, non significa semplicemente aderire ad un ideale, ma assimilare e usare la concezione comunista per trasformare il mondo. Non facciamo appello a diventare comunisti perché preferiamo la rivoluzione socialista alle altre idee di rivoluzione sociale. Lo facciamo perché quella socialista è la sola rivoluzione possibile e il marxismo è la sola concezione capace di guidarci nella sua costruzione: per chi vuole farla finita con la crisi del capitalismo diventare comunisti non è una scelta, è la condizione necessaria per essere promotori del cambiamento.

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