Le elezioni politiche si sono concluse.
L’alta astensione e la bastonata a tutte le forze apertamente schierate con l’agenda Draghi sono i principali dati di questa campagna. A questo dato si aggiunge il risultato conseguito dalle liste cosiddette antisistema. Che ruolo hanno avuto queste liste? Quali sono i prossimi passi da fare?
Le 5 liste che si sono presentate apertamente contro l’agenda Draghi e le Larghe Intese hanno raccolto complessivamente più del 5% dei voti (più di 1 milione e mezzo) presentandosi separate, in reciproca concorrenza e conducendo una campagna elettorale per lo più fiacca e lamentosa.
Questo dimostra che esistevano le potenzialità per eleggere numerosi esponenti anti agenda Draghi e rendere ingestibile il Parlamento alle Larghe Intese. Se ciò non è avvenuto è unicamente per l’irresponsabilità dei capi politici.
Se i dirigenti avessero iniziato a trattare apertamente e con senso di responsabilità le cause per cui procedevano separati e deciso di far confluire i voti su un’unica lista avrebbero superato abbondantemente il 3%. Senza contare il fatto che una lista unitaria avrebbe sicuramente portato al voto alcuni dei milioni che invece si sono astenuti, delusi dalla frammentazione, dai personalismi vari e dalla brama di andare in parlamento a ogni costo.
Tutto ciò avrebbe dato linfa agli attivisti che avrebbero guardato agli astenuti con spirito di conquista e propositi di coinvolgimento, anziché con l’indice puntato, come se fossero loro i responsabili della disfatta.
La tara dell’elettoralismo ha annebbiato la capacità di analisi e l’aderenza alla realtà, ma soprattutto ha riversato sui capi politici la responsabilità di aver sprecato l’occasione di rendere ingestibile il parlamento.
Questo è il dato politico su cui poggiare il bilancio della campagna elettorale e dell’esito delle elezioni. Da questo le necessità che le forze politiche antisistema muovano compiano innanzitutto tre passi: bilancio, autocritica e rettifica della condotta, cioè fare adesso quello che si sono rifiutati di fare prima.
È tardi, ma non è troppo tardi. Sembra poco, invece è tanto. Ma soprattutto è giusto, serio e responsabile. Per partire da basi più solide è necessario fare tesoro dell’esperienza. Solo così trasformiamo questa sconfitta in un’occasione.
Cosa fare quindi? I capi politici di Unione Popolare, Italia Sovrana e Popolare, Vita, Italexit e Partito Comunista Italiano devono innanzitutto alimentare un confronto franco e aperto sul bilancio per trattare i motivi della disfatta elettorale, l’analisi della situazione e come rafforzare la lotta che ogni gruppo conduce.
Devono assumersi la responsabilità di costruire il fronte anti Larghe Intese cominciando con l’unirsi sulle questioni su cui è possibile farlo per dare forza e sostegno al movimento delle organizzazioni operaie e popolari che cresce nel nostro paese, e cominciando a trattare apertamente le questioni controverse che invece dividono le varie liste.
Su tali questioni l’aspetto fondamentale non è far scontrare opinioni e idee ma trovare le soluzioni più adeguate agli interessi e alle aspirazioni delle masse popolari.
In ogni caso la questione politica torna oggi nelle piazze, nelle aziende, nelle scuole. È lì che il fronte contro le Larghe Intese deve inserirsi, unirsi, convergere e svilupparsi. Lo spazio per divisioni e interessi di bottega è sempre meno. Dobbiamo approfittare dell’ingovernabilità dall’alto e delle difficoltà delle Larghe Intese e costruire un fronte capace di imporre il governo che serve al paese, il governo di emergenza delle masse popolari organizzate.