Il principale elemento che emerge dalle elezioni del 25 settembre è che il colpo di mano della cricca Mattarella/Draghi è riuscito solo parzialmente. Avevano indetto le elezioni per costruire un parlamento che fosse più controllabile e assoggettato al programma della classe dominante di quanto lo fosse diventato quello uscito dalle elezioni del 2018.
Le avevano indette in fretta e furia per impedire alle liste anti Larghe Intese di organizzarsi, presentarsi e svolgere pienamente la campagna elettorale.
L’obiettivo di lasciare fuori dal parlamento le liste “antisistema” è stato raggiunto, ma i risultati elettorali dimostrano che hanno fatto i conti senza l’oste: fra le larghe masse popolari prevalgono il malcontento e la sfiducia verso l’agenda Draghi. A dimostrazione di ciò tutti i partiti che hanno sostenuto il governo Draghi hanno perso voti, mentre quelli che – realmente o a beneficio di propaganda – vi si sono opposti li hanno guadagnati.
Questo in un contesto generale di crescita dell’astensione (ha votato solo il 63,9% degli aventi diritto, il dato più basso della storia).
Lista | Risultati 2018 | Risultati 2022 |
Fratelli d’Italia | 1.429.550 (4,35%) | 7.300.628 (25,99%) |
Lega | 5.698.687 (17,35%) | 2.464.176 (8,77%) |
Forza Italia | 4.596.956 (14,00%) | 2.279.130 (8,11%) |
Partito Democratico | 6.161.896 (18,76%) | 5.355.086 (19,07%) |
Movimento 5 Stelle | 10.732.066 (32,68%) | 4.333.748 (15,43%) |
A ben vedere, dunque, per le Larghe Intese i problemi sono solo rimandati.
La maggioranza di Centro-destra si trova già, ma si troverà ancora di più nelle prossime settimane, a dover gestire le contraddizioni interne di un’alleanza che fa acqua da tutte le parti e in cui inizia la resa dei conti (soprattutto in casa della Lega, per il risultato disastroso).
Più pressante delle contraddizioni interne, il fatto che fin da subito il vestito da paladina delle masse popolari indossato da Giorgia Meloni verrà messo alla prova. Il suo governo opererà per dare continuità all’agenda Draghi o per affermare gli interessi delle masse popolari? La domanda appare retorica, ma non lo è per niente.
Se, come si appresta a fare, il governo Meloni sarà lo scendiletto della cricca Mattarella/Draghi, il consenso per Fratelli d’Italia crollerà più velocemente di quanto è cresciuto e FdI non potrà usare a lungo la scusa di essere il partito più votato e rappresentativo per restare in sella.
Se invece, come dice di voler fare, il governo Meloni darà battaglia anche solo su alcune delle “questioni spinose” che ha cavalcato in campagna elettorale (ad esempio la sottomissione del nostro paese alla UE), Fratelli d’Italia sarà scaricato dalla cricca Mattarella/Draghi e dalla Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti più velocemente di quanto è stato accolto nella cerchia “dei partiti che contano”.
Infine, a dimostrazione della riuscita solo parziale dell’operazione Mattarella/Draghi, le Larghe Intese non sono riuscite a liberarsi del M5S, che elegge un cospicuo numero di deputati (51) e senatori (28).
In estrema sintesi, la questione è che l’instabilità politica e l’ingovernabilità dall’alto del paese aumentano, nonostante il fatto che nessuna delle liste apertamente “antisistema” sia riuscita a superare la soglia di sbarramento del 3% ed entrare in parlamento.
La questione politica torna oggi nelle piazze, nelle aziende, nelle scuole. Dobbiamo approfittare dell’ingovernabilità dall’alto e delle difficoltà delle Larghe Intese per imporre il governo che serve al paese, il governo di emergenza delle masse popolari organizzate.
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Un inciso sulla tendenza in atto
Per mettere a fuoco la situazione politica nella sua essenza, per fare un ragionamento aderente alla realtà e di prospettiva, non basta confrontare i risultati delle ultime elezioni politiche con quelli del 2018.
O meglio, quel tipo di confronto è utile per ragionare sulla contingenza, ma per inquadrare la contingenza in un contesto più ampio bisogna individuare il sommovimento politico in atto. Esso dipende direttamente dalla crisi generale del capitalismo (ha quindi un valore a livello nazionale e internazionale) e ha subito un’accelerazione dal 2008, cioè da quando è iniziata la sua fase acuta e terminale.
In Italia nel 2008 si svolsero le elezioni politiche: furono vinte dal Centro-destra mentre i partiti della sinistra borghese tradizionale (che avevano un legame con il disciolto PCI) furono estromessi dal parlamento e non vi sono più rientrati. Ecco i dati essenziali di quelle elezioni: votanti 36.452.305, l’80,4% degli aventi diritto. Il Popolo delle Libertà raccolse 13.629.464 voti, la Lega 3.024.543 e il PD 12.095.306.
Il paragone con i risultati del 2022 è illuminante: in 14 anni l’astensione è aumentata di circa il 17%; il PD, che vanta il primato del maggior tempo passato al governo, in questo lasso di tempo ha perso 7 milioni di voti; il Centro-destra ha vinto le elezioni del 2022 con 4.610.073 di voti in meno rispetto al 2008.
Se è vero che “i numeri non mentono”, cosa ci dicono?
Dicono che man mano che la crisi generale si aggrava, aumenta lo scollamento fra le masse popolari e le istituzioni, le autorità e i partiti della classe dominante e verso tutto il suo sistema politico.
Dicono che per la classe dominante crescono le difficoltà a governare il paese attraverso i riti e le liturgie della lotta politica borghese (dal 2008 si sono succeduti 8 governi in tre legislature: Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte 1, Conte 2 e Draghi, ora tocca a Giorgia Meloni), ma allo stesso tempo la classe dominante non può (ancora) permettersi di installare un governo senza una investitura “democratica”, che non passi cioè per le elezioni.
Dicono che l’astensionismo non è una scelta di prospettiva: anche se è aumentato costantemente non ha impedito alle Larghe Intese di fare il bello e il cattivo tempo, ma soprattutto non le ha fatte desistere dal manovrare per rendere sempre più ininfluente la residua partecipazione delle masse popolari al voto (sistema elettorale, liste bloccate, soglie di sbarramento, ecc.).
Dicono, infine, che l’elettoralismo della sinistra borghese di vecchio e nuovo tipo (quella del PRC e dei suoi frammenti e quella del M5S e di quanti mettono al centro la lotta per la legalità borghese e la questione morale), i personalismi e lo spirito di concorrenza sono la strada migliore per rimanere spettatori, per subire ulteriori sconfitte, come è stato in questa occasione per le diverse liste anti Larghe Intese.
Fratelli d’Italia vince aumentando di quasi 6 milioni i propri voti. Presentandosi come “unica opposizione al governo Draghi”, ha sottratto gran parte dei voti agli alleati che invece partecipavano al governo. Lega e Forza Italia infatti dimezzano i voti raccolti.
Il PD, che aumenta in termini percentuali solo in ragione dell’alta astensione, ha perso quasi un milione di voti.
I promotori della linea “Draghi per sempre” sono stati seppelliti: il caso più eclatante è quello di Di Maio che non raccoglie voti oltre la cerchia dei parenti stretti.
+Europa non supera il 3%.
Unica eccezione è il risultato della coppia Calenda/Renzi: raccolgono poco più di 2 milioni di voti (7,79%) sottraendoli a Forza Italia e PD.
Il M5S, consumato dall’abbraccio mortale con il PD e dalla partecipazione al governo Draghi, ha recuperato terreno rispetto alle previsioni grazie a una campagna elettorale condotta (in particolare da Conte) all’attacco dell’agenda Draghi e in difesa del Reddito di Cittadinanza, unica conquista del governo Conte 1 rimasta in piedi, benché malconcia e sotto assedio.