Il 5 dicembre del 1936 venne approvata la nuova Costituzione dell’URSS, dopo un processo di elaborazione lungo quasi due anni, iniziato nel febbraio dell’anno prima.
Chiamata anche “la Costituzione di Stalin”, fu la terza promulgata dal trionfo della Rivoluzione d’Ottobre: la prima fu nel 1918 e la seconda nel 1924. Per lungo tempo fu punto di riferimento per la classe operaia e le masse popolari di tutto il mondo.
Mentre nei paesi imperialisti infuriava la mobilitazione reazionaria (il regime terroristico della borghesia: il nazismo in Germania e il fascismo in Italia) nel primo Stato socialista della storia il diritto al lavoro, il diritto al riposo e alle ferie retribuite, all’istruzione secondaria e all’assistenza medica gratuita per tutti non solo vengono sanciti per legge, ma attuati tramite la mobilitazione della classe operaia organizzata, ad opera del Partito.
Le due precedenti Costituzioni
Sin da subito, il nuovo potere sovietico si pose l’obiettivo di dare forza di legge e valore costituzionale alle posizioni di volta in volta conquistate.
Nel gennaio del 1918, il III Congresso panrusso dei Soviet approvò la Dichiarazione dei diritti del popolo lavoratore e sfruttato cui seguì, nel luglio dello stesso anno, la prima Costituzione della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa.
In essa veniva data forma e forza di legge alla dittatura del proletariato, esercitata dalla classe operaia in alleanza con i contadini attraverso la capillare rete dei Soviet (Consigli), mentre i membri delle vecchie classi dominanti, che sostenuti dai paesi imperialisti si preparavano alla guerra civile con cui dal 1918 al 1922 provarono a rovesciare la Rivoluzione d’Ottobre, venivano invece privati di ogni diritto civile e politico.
Nel 1922, a seguito della sconfitta dei reazionari e della costituzione dell’URSS, la prima Costituzione fu estesa a tutta l’Unione, salvo poi elaborarne una nuova che tenesse conto delle importanti posizioni conquistate. Nel 1924, la seconda Costituzione sovietica ufficializzò l’istituzione dell’URSS e definì quale nuovo organismo dirigente del paese il Congresso dei Soviet dell’URSS, diviso in due rami: il Soviet dell’Unione, in cui venivano eletti i rappresentanti di tutta l’Unione e il Soviet delle nazionalità in cui venivano decise questioni attinenti agli interessi dei singoli Stati dell’Unione.
“Mentre il programma parla di ciò che non esiste ancora, che deve ancora essere ottenuto e conquistato nell’avvenire, la Costituzione, al contrario, deve parlare di ciò che esiste già, che è già stato ottenuto e conquistato, adesso, nel momento presente. Il programma riguarda soprattutto l’avvenire, la Costituzione riguarda il presente (…).
La nostra società sovietica è già arrivata a realizzare, nell’essenziale, il socialismo, ha creato il regime socialista, cioè ha realizzato quello che i marxisti chiamano, con altre parole, la prima fase o fase inferiore del comunismo.
(…) Principio fondamentale di questa fase del comunismo è, com’è noto, la formula: “Da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo il suo lavoro”. Deve, la nostra Costituzione, esprimere questo fatto, il fatto della conquista del socialismo? Deve essa essere basata su questa conquista? Assolutamente, lo deve. Lo deve, perché il socialismo è per l’URSS una cosa già ottenuta e conquistata (…).
Può la nostra Costituzione esser basata sulla fase superiore del comunismo, che non esiste ancora, che deve ancora essere conquistata? No, non lo può, perché la fase superiore del comunismo è per l’URSS una cosa non ancora realizzata, e che dovrà essere realizzata nel futuro. Non lo può, se essa non vuole trasformarsi in un programma o in una dichiarazione sulle conquiste future” (I. Stalin, in Relazione sul progetto di Costituzione dell’URSS, Edizioni Rinascita, Roma 1951).
Il contesto in cui fu approvata la Costituzione del 1936
Il periodo della Nuova Politica Economica (NEP), tra il 1921 e il 1928, aveva consentito la ripresa dell’attività economica del paese, messo a dura prova dalla Prima guerra mondiale e dall’accerchiamento interno ed esterno conseguente alla vittoria della Rivoluzione d’Ottobre.
Tra il 1928 e il 1936 – nel frattempo la guida dell’URSS passò a Stalin – procedeva l’edificazione del socialismo attraverso due piani quinquennali (1928/1932 e 1933/1937): la produzione industriale raggiunse i livelli dei principali paesi imperialisti, l’industria privata, il commercio e la speculazione erano pressoché scomparsi e l’agricoltura era stata interamente collettivizzata.
Il tenore di vita era notevolmente aumentato e una nuova generazione di quadri di estrazione operaia e contadina iniziava a dirigere il Partito, lo Stato e la società. Erano stati eliminati o resi inoffensivi gli esponenti delle vecchie classi dominanti, cosa che si tradusse nell’estensione dei diritti civili e politici a tutti i cittadini sovietici, fermo restando il controllo del potere da parte della classe operaia e del Partito.
I punti fondamentali della Costituzione di Stalin
Fu in questo contesto che, nel febbraio del 1935, una specifica Commissione viene incaricata di stendere il testo di una nuova Costituzione che riflettesse i profondi cambiamenti avvenuti nel paese.
La redazione della nuova Costituzione fu un gigantesco esercizio – senza precedenti e senza imitazioni successive – di partecipazione delle masse popolari alla vita politica di un paese.
“Stampata in 60 milioni di copie, essa [la Costituzione del 1936-ndr] fu oggetto di dibattito in 527 mila riunioni che elaborarono oltre 150 mila emendamenti. Si trattò di una gigantesca consultazione di massa cui presero parte circa 36 milioni di persone” ha ricostruito la scrittrice americana Anne Louise Strong nel libro L’era di Stalin.
Le conquiste realizzate con l’edificazione del socialismo in ogni campo dell’organizzazione economica politica e sociale del paese furono certificate e diventarono pilastri portanti dello Stato sovietico.
Venne sancita la proprietà statale dei principali mezzi di produzione (terra, acqua, sottosuolo, foreste, banche, reti di comunicazione, fabbriche, grandi aziende agricole, ecc.) e la proprietà collettiva delle aziende cooperative e dei loro beni (artt. 4, 5, 6, 7). La proprietà privata venne ammessa solo per le ditte individuali e senza sfruttamento di lavoro altrui, mentre venne assicurata la tutela della proprietà individuale sul reddito del proprio lavoro, sulle case di abitazione, sugli effetti personali (artt. 9, 10).
Per quanto concerne l’organizzazione dello Stato, la Costituzione confermò i Soviet quali organismi di esercizio del potere da parte della classe operaia e delle masse popolari organizzate, sostituì al Congresso dei Soviet dell’URSS, introdotto con la seconda Costituzione, il Soviet Supremo, diviso in due rami come l’organismo precedente (artt. 30 – 56) e riconobbe formalmente l’autonomia delle repubbliche sovietiche (artt. 13 – 29).
Infine, per quanto concerne la partecipazione delle masse popolari alla gestione della società: suffragio universale e diretto, diritto (e obbligo sociale) al lavoro (artt. 12 e 118), all’istruzione (art. 121), alla salute (art. 120), al riposo (art. 119), inviolabilità della persona (art. 127) e del domicilio (art. 128), uguaglianza dei sessi, diritto di parola, stampa, riunione e, entro certi limiti, di associazione (art. 125).
Quella del 1936 fu la Costituzione che rimase in vigore per più tempo: fu sostituita quarantun anni dopo, nel 1977 quando i revisionisti moderni svuotarono anche formalmente l’assetto dell’URSS e ne ufficializzarono la trasformazione da Stato della classe operaia a Stato di tutto il popolo, svuotandolo del contenuto essenziale della dittatura del proletariato.
Perché parlare oggi della Costituzione sovietica del 1936?
Se pensate che non ha senso parlare oggi di un argomento che sembra lontano nel tempo e soprattutto lontano dall’attualità politica, vi sbagliate. Benché riassunto in estrema sintesi e per sommi capi, il discorso sulla Costituzione sovietica del 1936 è assolutamente attuale per almeno due ragioni.
La prima ragione riguarda la lotta che i comunisti italiani devono condurre oggi per liberarsi dalle tare della sinistra del vecchio movimento comunista e dai vizi ereditati dai revisionisti moderni (la destra) che hanno guidato il PCI dal 1945 fino alla sua dissoluzione. Un discorso particolare, a questo proposito, riguarda la “fedeltà alla Costituzione” come se essa fosse il punto politico più alto raggiungibile nella lotta della classe operaia contro la borghesia imperialista.
La verità è che in ogni paese, la Costituzione NON determina affatto il potere politico, ma ne è conseguenza ed espressione; cioè cambia – deve cambiare – al cambiamento dei rapporti di forza fra le classi, come è cambiata in Unione Sovietica!
Oggi, in Italia, “tornare alla Costituzione” non è un obiettivo rivoluzionario, è più che altro la manifestazione dell’idealismo di poter eludere la lotta di classe in nome di quello che nella Costituzione del 1948 è cristallizzato… anche se poi è dal 1948 che la classe dominante elude e viola le parti progressiste della Costituzione che fu costretta a ingoiare.
La seconda ragione discende dal ragionamento appena fatto: la classe dominante italiana è all’attacco, vuole cambiare la Costituzione e vuole farlo da molto tempo! Dai propositi di “Grande Riforma” di Craxi negli anni Ottanta, al referendum di Renzi nel 2016, arrivando a Giorgia Meloni che sogna di picconarla a colpi di maggioranza parlamentare.
Tutto ciò riflette il movimento oggettivo che spinge al cambiamento del potere politico.
Se il potere politico resterà nelle mani della classe dominante, allora essa continuerà a smantellare i diritti conquistati e con essi la Costituzione che li sancisce. Se, al contrario, il potere politico passerà nelle mani delle masse popolari organizzate – attraverso l’imposizione di un governo di emergenza popolare – allora non solo si potrà dare attuazione alle parti progressiste della Costituzione del 1948, ma si determinerà anche la possibilità concreta di migliorarla e superarla.