Editoriale

Le elezioni politiche anticipate del 25 settembre, convocate in fretta e furia per il timore di perderne il controllo, sono in tutto e per tutto una manovra delle Larghe Intese per dare una parvenza di investitura democratica a un altro governo servo della NATO e della UE, per riaffermare il programma di Draghi (se non addirittura riconfermare Draghi al governo): un’operazione gattopardesca del tipo “cambiare tutto per non cambiare niente”.

Ma la ciambella è riuscita senza il buco: la manovra presenta diverse incognite per i vertici della Repubblica Pontificia.

Anzitutto, le Larghe Intese non sono riuscite a estromettere dalla competizione le forze d’opposizione. Nonostante tempi strettissimi per la presentazione dei simboli, la formazione delle liste e la raccolta di decine di migliaia di firme, sono presenti sulla scheda – in tutti i collegi – due coalizioni anti Larghe Intese: Unione Popolare e Italia Sovrana e Popolare.

In secondo luogo, il proposito di fare della campagna elettorale una grande manovra di intossicazione e diversione dalla realtà è parzialmente compromesso. Certo, giornali e TV fanno a gara nel sostituire il dibattito politico con il pettegolezzo, nell’alimentare la falsa contrapposizione Letta/Meloni, nel dare visibilità a quelle nullità che sono Renzi e Calenda e al codazzo di vecchi arnesi del teatrino della politica, ma la realtà travolge ogni finzione. Si aggravano gli effetti delle mille emergenze alimentate dalla crisi generale e dalla gestione criminale della società da parte della classe dominante: crisi climatica, crisi energetica, chiusure di aziende, carovita fuori controllo, ecc. E, a chiosa, il coinvolgimento dell’Italia nella guerra contro la Federazione Russa, agli ordini della NATO.

In questo contesto vale più di mille chiacchiere la fotografia dei caporioni delle Larghe Intese che si lisciano il pelo dietro le quinte del meeting di Comunione e Liberazione a Rimini.

Alle Larghe Intese non interessa quanto sarà alta l’astensione. Andassero a votare 10 persone, se i loro partiti avessero la maggioranza anche relativa, parlerebbero di vittoria, rivendicherebbero la legittimità del loro governo, del loro programma, delle loro misure.

Il loro sentiero è tracciato, al punto che Draghi – tutt’altro che defilato – dispensa rassicurazioni e disposizioni: “In nessun caso verrà meno il sostegno dell’Italia all’Ucraina”. Il loro sentiero è il programma comune della classe dominante.

Bisogna essere chiari, le elezioni del 25 settembre non ribalteranno il tavolo: la maggioranza relativa sarà dei partiti delle Larghe Intese che canteranno vittoria (chi più e chi meno), rivendicheranno la legittimità del loro programma e delle loro misure e manovreranno per imporre un altro governo servo della NATO e della UE. Ma al netto della propaganda, dell’intossicazione e della diversione, la verità è che le Larghe Intese dovranno fare i salti mortali per formare un governo stabile. E i salti mortali non basteranno, se le coalizioni “antisistema” avranno raccolto un numero di voti tale da spedire in parlamento un gruppo abbastanza consistente di eletti. E non basteranno neppure le minacce e le preghiere se oltre a ciò, la parte già organizzata dei lavoratori e delle masse popolari scenderà sul terreno della mobilitazione per rendere ingestibile il paese alle Larghe Intese.

Bisogna essere realisti, le elezioni del 25 settembre – pensate e preparate come una manovra di palazzo – possono essere rivoltate contro i manovratori. Per questo vanno considerate – e sono – uno strumento e non un fine. Uno strumento attraverso cui approfittare delle contraddizioni e delle debolezze delle Larghe Intese per sviluppare l’azione comune delle forze anti Draghi fino a imporre il governo di cui il paese ha bisogno.

Facciamo della campagna elettorale una campagna di organizzazione, mobilitazione, lotta, rottura, ingovernabilità (vedi “Vale più un grammo di pratica…” a pag. 1), consapevoli che la partita vera inizia il 26 settembre e il suo esito dipende da come l’abbiamo preparata, da quanto si è disposti a giocarla fino in fondo e da quanto si è decisi a vincerla.

In ballo non ci sono i risultati elettorali. In ballo c’è il futuro governo del paese, che dipende solo in parte dai risultati elettorali. I risultati elettorali influiscono (ad esempio quanti più eletti anti Draghi e anti Larghe Intese saranno spediti in parlamento tanto più le condizioni saranno favorevoli), ma quello che decide tutto è la mobilitazione delle masse popolari per sbarrare la strada all’agenda Draghi e per imporre un governo dell’agenda operaia e popolare, il Governo di Blocco Popolare.

Ogni lettore ha in mente e sotto mano mille esempi di cosa significa avere un governo che fa esclusivamente gli interessi degli speculatori, della NATO, della UE e dei capitalisti: il prezzo del gas piegato al mercato speculativo della borsa olandese; le importazioni di gas determinate dal rapporto di sottomissione agli USA e alla NATO; le aziende svendute a speculatori italiani e stranieri; le grandi opere speculative; lo smantellamento della sanità pubblica; la gestione criminale della pandemia; la privatizzazione e mercificazione dell’acqua; l’impunità per i Benetton e per i padroni della Thyssen Krupp…

E ogni lettore è oggi maggiormente in grado di comprendere che installare un governo che fa gli interessi dei lavoratori e delle masse popolari èuna necessità improrogabile.

A beneficio di sintesi, riassumiamo in sette punti le misure fondamentali dell’agenda operaia e popolare di un governo del genere.

1. Assegnare a ogni azienda compiti produttivi utili e adatti alla sua natura, secondo un piano nazionale. Nessuna azienda deve essere chiusa.

2. Distribuire i prodotti alle famiglie e agli individui, alle aziende e ad usi collettivi secondo piani e criteri chiari, universalmente noti e democraticamente decisi.

3. Assegnare a ogni individuo un lavoro socialmente utile e garantirgli, in cambio della sua scrupolosa esecuzione, le condizioni necessarie per una vita dignitosa e per la partecipazione alla gestione della società. Nessun lavoratore deve essere licenziato, ad ogni adulto un lavoro utile e dignitoso, nessun individuo deve essere emarginato.

4. Eliminare attività e produzioni inutili o dannose, assegnando alle aziende coinvolte altri compiti.

5. Avviare la riorganizzazione di tutte le altre relazioni sociali in conformità alla nuova base produttiva e al nuovo sistema di distribuzione.

6. Stabilire relazioni di solidarietà e collaborazione o di scambio con gli altri paesi disposti a stabilirle con noi.

7. Epurare gli alti dirigenti della Pubblica Amministrazione che sabotano la trasformazione del paese, conformare le Forze dell’Ordine, le Forze Armate e i Servizi d’Informazione allo spirito democratico della Costituzione del 1948 e ripristinare la partecipazione universale dei cittadini alle attività militari a difesa del paese e a tutela dell’ordine pubblico.

La questione, in conclusione, non è scervellarsi su quali saranno le misure che le Larghe Intese vorranno imporre per fare fronte agli effetti della crisi (in modo che continuino a ricadere sui lavoratori e sulle masse popolari e permettano ai capitalisti di fare profitti): è organizzarsi per scalzare le Larghe Intese dal governo del paese e invertire il corso disastroso delle cose con un governo di emergenza delle masse popolari organizzate.

La domanda “come si costituisce il GBP” spesso sottintende l’idea che bisogna passare per le elezioni e vincerle (…)
Questa idea è frutto di un elettoralismo e un legalitarismo fuori tempo e luogo. Nel nostro paese le elezioni si svolgono secondo leggi che i loro stessi estensori definiscono “una porcata” e che a distanza di anni vengono persino dichiarate anticostituzionali dalla Consulta.
I protagonisti delle elezioni sono partiti che si presentano in campagna elettorale con un programma che è sistematicamente il contrario di quello che attuano quando vanno al governo. Sono diventate prassi corrente condotte che fanno a pugni con qualsiasi legalità costituzionale: dalle liste bloccate alle soglie di sbarramento, dalla compravendita di voti all’aggiramento dell’esito dei referendum, fino ai colpi di mano del Presidente della Repubblica.
C’è stato più di un governo messo su senza passare attraverso le elezioni.
(…) In una situazione come questa e a fronte delle sofferenze crescenti del nostro popolo, della devastazione del nostro paese, della guerra che dilaga, noi dovremmo farci legare le mani e seguire la trafila prescritta da regolamenti che persino chi li ha scritti non rispetta?
Qualcuno obietterà certamente: “ma se non riusciamo a opporci efficacemente, con che forza possiamo cacciare Draghi e compagnia?”. Con la forza che viene dal lottare per un obiettivo difficile, ma di prospettiva: difendersi per prendere tutto è ben diverso dal difendersi per non perdere tutto.
Concretamente, immaginiamo due strade possibili.
1. Pensiamo alle “accampate” promosse negli anni passati dai promotori del No Debito, Eurostop, No Monti Day e simili, ora però organizzate in un contesto in cui a. un certo numero di organismi operai e popolari agiscono da nuove autorità pubbliche e b. i personaggi di loro fiducia (alla De Magistris, Cremaschi e simili) si sono costituiti in un organismo – in passato lo abbiamo chiamato comitato di salvezza nazionale o di liberazione nazionale, ma quello che conta è la sostanza, non il nome – che nega ogni legittimità del governo in carica e il suo diritto a governare, che lotta per affermarsi come governo legittimo del paese in nome degli interessi delle masse popolari che assume di rappresentare e che sono calpestati dal governo in carica: quindi un organismo costituto non per contrattare e rivendicare al governo Draghi o chi per esso, ma con l’obiettivo di cacciare il governo Draghi e di mobilitare le masse popolari a sviluppare su scala crescente tutte le iniziative di cui sono capaci fino alla vittoria. In una situazione del genere, se proprio serve, possiamo anche indurre un parlamento che è ridotto come una prostituta in vendita al miglior offerente ad avallare un governo composto da persone designate dalle organizzazioni operaie e popolari, di loro fiducia.
2. Un’altra strada è quella che hanno fatto il M5S da noi e Syriza in Grecia nel 2015: stante l’avanzare della crisi del sistema politico, una coalizione anti Larghe Intese si afferma alle elezioni e riesce ad andare al governo. Se ha a che fare con organismi come il Collettivo di Fabbrica della GKN, organizzati e con iniziativa, difficilmente potrà prescindere da essi, dalle loro rivendicazioni, dai decreti anti-delocalizzazione e dai piani per la mobilità sostenibile che presentano. Anziché calare le braghe come hanno fatto sia il M5S sia Syriza, dovrà avanzare e da cosa nasce cosa. Vuol dire che al Governo di Blocco Popolare si arriva attraverso le elezioni? No, perché quello che fa la differenza non è la vittoria alle elezioni, ma l’esistenza di un certo numero di organizzazioni operaie e popolari, il loro coordinamento e il loro orientamento a costituire un proprio governo d’emergenza – da “Costituire il Governo di Blocco Popolare”, La Voce del (nuovo)PCI n. 71, luglio 2022.

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