Procrastinare.
Cioè ritardare volontariamente un’azione, sapendo che ciò produrrà delle conseguenze negative, prediligendo al contempo lo svolgimento di attività secondarie o inutili.
Nel 2008 è iniziata la fase acuta e tumultuosa della crisi generale del capitalismo. Da allora tutto quello che la classe dominante poteva aggredire è stato aggredito. Tutto ciò che poteva essere trasformato in merce o oggetto di speculazione è stato inghiottito, indipendentemente dalla “volontà popolare”, dai referendum, ecc. (nel DDL concorrenza, Draghi ha infine privatizzato anche l’acqua, dando così una veste formale a un arbitrio che andava avanti da tempo, a dispetto del referendum del 2011).
Nel mentre, la sinistra borghese (quello che è rimasto dei suoi partiti) ha autisticamente intrapreso il cammino della speranza per tornare in parlamento, in un momento storico in cui il parlamento è ormai trasformato in ufficio di ratifica delle decisioni prese dalla UE, dagli USA e dal Vaticano. La sinistra borghese, abituata ai seggi in parlamento, ai rimborsi elettorali e alla politica dei compromessi, si è nel tempo autoconvinta che se le cose andavano male era per la sua assenza dal parlamento, per il fatto che non “c’era più un’opposizione reale”.
Questo è stato un primo grande abbaglio (ancora non completamente rientrato…) a cui se ne è affiancato un secondo preso stavolta dai sindacati di base. Questi per anni hanno “fatto la guerra” ai sindacati di regime (in particolare alla CGIL) per strappare loro tessere e quadri più combattivi, salvo poi infilarsi in una spirale di concorrenza che ha impedito di fatto proteste e mobilitazioni unitarie. Inoltre, ancora oggi non è raro trovare funzionari sindacali che appioppano la responsabilità del disastro in corso dal 2008 ai lavoratori “che non si mobilitano”, “che hanno votato Lega e M5S” o che hanno chissà quali altre colpe.
Già queste posizioni hanno danneggiato e danneggiano gravemente la lotta di classe. Ad esse si aggiunge la tendenza “a procrastinare”.
Da quando è iniziata la fase acuta e tumultuosa della crisi, chiunque abbia una qualche familiarità con gli ambienti politici, di movimento, di sindacato, fin da giugno ha sentito dire che “bisogna preparare l’autunno caldo”…
L’autunno caldo però non è mai stato “preparato bene”, anche perché, inevitabilmente, rimandare cose che vanno fatte subito peggiora solo la situazione.
Negli ultimi 3 anni, nel mese di agosto sono caduti 2 governi (il Conte 1 e Draghi). Lo scorso agosto Mattarella ha operato un colpo di mano per estromettere dal parlamento tutte le forze di opposizione! A luglio la procura di Piacenza ha provato a incastrare e mettere fuori gioco sei dirigenti sindacali protagonisti delle lotte nel settore della logistica. A fine luglio è stata privatizzata l’acqua. Ancora oggi il governo Draghi – teoricamente in carica solo per il disbrigo delle questioni correnti – manovra per riaprire le centrali a carbone, costruire rigassificatori, mentre mette in ginocchio decine di migliaia di aziende e centinaia di migliaia di famiglie per le sanzioni contro la Federazione Russa… tutto questo è successo in estate e succede ora… che cosa bisogna aspettare?
Questo autunno non sarà come gli altri. E che fosse così lo preannunciavano già gli eventi dello scorso anno: pandemia, Green Pass, obbligo vaccinale, sospensione di decine di migliaia di lavoratori e cancellazione di diritti, persecuzione dei “no vax”, multe, denunce, arresti, gli idranti sui portuali a Trieste… Che tutto subisse un’accelerazione era evidente già nei mesi addietro!
Oggi c’è pure la guerra contro la Federazione Russa e ci sono le sue conseguenze. Ci sono gli effetti ormai innegabili della crisi ambientale. C’è la povertà dilagante. Ci sono migliaia di aziende già al tracollo che ad autunno neppure riapriranno.
L’abolizione del Reddito di Cittadinanza è uno dei temi caldi della campagna elettorale. L’Istat ha stimato che la misura abbia salvato dalla povertà un milione di persone. Ma evidentemente il rischio indigenza non preoccupa la maggior parte degli esponenti politici. Oggi però Eurostat (l’istituto di statistica dell’Unione Europea) segnala come in Italia il tasso di rischio di povertà, ovvero la percentuale delle persone che hanno un reddito inferiore al 60% di quello medio, è salito passando dal 20% del 2020 al 20,1% del 2021, coinvolgendo 11,84 milioni di persone. Non è difficile immaginare che con i forti rincari, a cominciare dalle bollette, registrati in questi mesi la situazione sia destinata a peggiorare ulteriormente nel 2022. Secondo Eurostat inoltre la percentuale sale al 25,2% (14,83 milioni d persone) se si considerano anche gli individui a rischio di esclusione sociale, ovvero quelli che sono a rischio di povertà o non possono permettersi una serie di beni materiali o attività sociali o vivono in famiglie a bassa intensità lavorativa. Da Il Fatto Quotidiano on line, 24 agosto 2022.
Fra giugno e luglio si è sentito parlare di uno sciopero promosso dai sindacati di base da svolgersi nel mese di ottobre. Al momento non ne abbiamo conferma. Sarebbe positivo, certo, ma la sensazione è che si chiuda la stalla dopo che la vacca è scappata. Gli scioperi vanno fatti ora. Le manifestazioni e le proteste vanno fatte ora.
Ci sono esempi positivi, in questo senso. Il movimento Disoccupati 7 novembre di Napoli ha davvero tracciato un sentiero con una miriade di mobilitazioni durante tutta l’estate: altro che “aspettare l’autunno caldo!” (vedi articolo a pag. 10).
Tuttavia, anche fra sindacalisti combattivi, a proposito di cattive abitudini, si sente dire che nelle settimane di campagna elettorale bisogna “tenere un profilo basso per non essere strumentalizzati dai partiti”.
Compagni e compagne, guardate che è il contrario! È proprio in campagna elettorale che bisogna fare irruzione con i contenuti che i politicanti stanno ben attenti a eludere nelle loro passerelle! È in campagna elettorale che i contenuti degli organismi operai e popolari vanno imposti con ogni mezzo e con ogni strumento: si moltiplicano le occasioni di iniziativa e di lotta! È in campagna elettorale che si ottiene la massima visibilità, che si possono occupare i comitati elettorali, che si possono bloccare le merci e i flussi, che si possono fare scioperi, autoriduzioni, spese proletarie…
Chi si nasconde dietro al pericolo di “essere strumentalizzati dai partiti, dai candidati, dalla politica” deve subito darsi una svegliata e riconnettersi con la realtà oppure inevitabilmente, consapevolmente o meno, farà il gioco del nemico!
Questo articolo non è solo “uno sfogo” e una denuncia delle cattive abitudini che le concezioni della sinistra borghese continuano a produrre e riprodurre nel movimento politico, sindacale, rivendicativo e popolare del nostro paese.
La denuncia serve a individuare un problema, ma poi servono le soluzioni.
Per liberarsi dalle vecchie e cattive abitudini, il primo passo è sostituirle con nuove e positive abitudini.
Anzitutto coltivando le condizioni per vincere le battaglie che abbiamo di fronte.
1. In ogni battaglia, gli elementi decisi a vincere si devono coalizzare e prendere in mano la direzione della mobilitazione. No alla linea del meno peggio, sì alla linea del combattere per vincere.
2. Non farsi legare le mani dalle leggi e dalle regole della classe dominante e dal senso comune (“si è sempre fatto così”). Decidere in piena autonomia quali sono, caso per caso, i metodi di lotta più efficaci e sostenibili, a prescindere dal fatto che siano legali o meno. L’unico principio valido è che è legittimo tutto quello che serve agli interessi dei lavoratori, anche se è vietato dalle leggi dei padroni e delle loro autorità.
3. Tenere in mano l’iniziativa senza lasciare tregua al nemico (non attestarsi sulla difensiva; bando all’attendismo). Rispondere colpo su colpo agli attacchi della classe dominante e delle sue autorità non basta! Si tratta di organizzarsi autonomamente per prevenire e anticipare le sue mosse e continuare a mobilitarsi con costanza e determinazione a prescindere da quello che il nemico fa o non fa.
4. Costruire attorno a ogni mobilitazione una fitta e ampia rete di alleanze. Ogni lotta se esce dal proprio particolare ambito può fungere da catalizzatore del malcontento generale e alimentare la mobilitazione. In questo modo può raccogliere (e dare) sostegno e solidarietà su vasta scala. Quanto più la solidarietà è estesa e collegata, tanto più diventa un’arma potente per la vittoria.
5. Usare ogni appiglio per isolare il nemico (“metterne dieci contro uno”). La classe dominante non può governare il paese senza un certo grado di consenso o almeno di indifferenza delle masse popolari. Sono loro il suo tallone d’Achille! Bisogna fare leva su questo aspetto, spingendo personaggi pubblici, esponenti politici, dirigenti sindacali, amministratori locali, ecc. a sostenere concretamente la lotta, anche mettendoli in competizione l’uno con l’altro.
La conclusione del ragionamento è la seguente: la classe dominante è all’attacco su tutti i fronti, per resistere bisogna contrattaccare e contrattaccare vuol dire dotarsi di idee, metodi e strumenti adeguati. Fra le più urgenti rettifiche c’è il fatto di non procrastinare il momento della lotta e della mobilitazione perché evitare la lotta equivale a dichiararsi sconfitti prima ancora di dare battaglia.
Altro che autunno caldo! Movimenti, organizzazioni sindacali, organizzazioni politiche, organismi operai e popolari, usiamo la campagna elettorale per rendere il paese ingestibile alla classe dominante!