Abbiamo raccolto il contributo del compagno Alberto Fazolo,giornalista, scrittore e militante internazionalista sul contesto e sulle prospettive della campagna elettorale.
I termini sovranità e sovranismo sono distorti e abusati, soprattutto in campagna elettorale. Ma ciò non ci deve deviare dalla questione centrale: chi detiene il potere decisionale nel nostro paese? Chi detiene il potere politico? Se pensiamo che sia il governo, o addirittura il parlamento, ci si sbaglia alla grande! Se si mette a fuoco questo, si approccia in modo diverso anche la questione elettorale.
A quelli che chiamate “partiti delle Larghe Intese” e che sostenevano il governo Draghi, si sono aggiunti i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Tutti insieme compongono un polo ben definito e poiché ciò che li accomuna è la sudditanza agli USA e il sostegno “senza se e senza ma” alla guerra, lo chiamerei Partito Unico della Guerra.
Se poniamo la guerra come spartiacque, togliamo subito di mezzo tanti “imbarazzi” anche per definire cos’è la sinistra: ci sono liste di “sinistra”, ad esempio i Verdi e Sinistra Italiana, con cui magari è possibile condividere parti di analisi e ricette per il futuro, ma che alla prova dei fatti si dimostrano subalterni alla logica dominante e al Partito Unico della Guerra.
Nulla più della guerra ci aiuta a capire la vera natura delle organizzazioni, dei partiti e delle liste.
C’è poi un altro spartiacque, perché l’azione del governo Draghi non si è limitata alla sudditanza agli USA e alla NATO in campo bellico: sulle politiche economiche c’è anche la sudditanza alla UE.
Quindi, sintetizzando: a cosa bisogna porre urgentemente un argine? Credo che vada arginata la “fantomatica”, “misteriosa” e famigerata agenda Draghi, che poi è il programma di un qualsiasi governo del Partito Unico della Guerra.
Il 26 settembre non cambierà nulla sia che venga installato un governo Letta, sia che venga installato un governo Meloni… Tutti si limiteranno ad applicare le ricette imposte dalla UE.
UE che del resto ricatta l’Italia con il denaro: se vogliamo i soldi del PNRR dobbiamo attenerci ai suoi diktat.
Pertanto, questo ragionamento ci riporta alla necessità di interrogarsi sul tema e sul significato di sovranità.
I termini sovranità e sovranismo sono distorti e abusati, soprattutto in campagna elettorale. Ma ciò non ci deve deviare dalla questione centrale: chi detiene il potere decisionale nel nostro paese? Chi detiene il potere politico? Se pensiamo che sia il governo, o addirittura il parlamento, ci si sbaglia alla grande! Se si mette a fuoco questo, si approccia in modo diverso anche la questione elettorale.
Le elezioni non possono essere lo strumento per un vero cambiamento, al massimo possono consentire alcune piccole riforme, ma non un reale cambiamento… Ecco, ragioniamo su questa base sulle liste “antisistema” che si presentano al voto il 25 settembre.
Che peso possono avere? Ammesso, ma non concesso, che arrivino al 50% – cosa impensabile – non riuscirebbero in nessun caso a cambiare le cose per via istituzionale. E, verosimilmente, raccoglieranno fra l’1 e il 2%, non il 50%.
Poniamo che superino il 3% e riescano a eleggere una piccola pattuglia di deputati e senatori… sarebbe completamente ininfluente, anche in ragione della legge elettorale.
Bisogna fare chiarezza su questo: l’attuale legge elettorale, combinata al taglio dei parlamentari, è una legge completamente maggioritaria. Vuol dire che con la maggioranza relativa dei consensi, il centrodestra si porta a casa tre quarti dei seggi in parlamento, che sono sufficienti anche per fare le riforme costituzionali.
Questo è lo scenario che mi sembra più probabile. Tuttavia, quello che intendo dire è che il governo che verrà dopo il 25 settembre avrà un consenso così ampio da squalificare le opposizioni, considerando pure che in ogni caso il PD non si opporrà mai all’agenda Draghi.
Quindi, che si deve fare? Partiamo da quello che NON si deve fare: puntare sulle elezioni come principale strumento di cambiamento politico del paese. L’unico strumento per il cambiamento è la mobilitazione popolare e, certo, va promossa anche sfruttando la campagna elettorale, che tradizionalmente è un momento di particolare attenzione delle masse al dibattito politico.
La fase in cui siamo immersi è in parte drammatica, ma è anche molto favorevole all’azione dei comunisti e di tutti i rivoluzionari. Siamo in situazione di guerra e di profonda crisi economica, le due cose si alimentano e sono interdipendenti. Dobbiamo, quindi, porci l’obiettivo di mobilitare le più ampie masse proprio partendo dalle condizioni imposte dalla guerra e dal carovita.
Dobbiamo mettere in crisi il potere e ciò non avverrà tramite una sfiducia parlamentare, ma attraverso scioperi, mobilitazioni, proteste, campagne di autoriduzione delle bollette, ecc. Dobbiamo intervenire NOI – far intervenire direttamente le masse popolari – su quell’economia che il governo NON vuole mettere in discussione perché deve attuare i diktat della UE.
Alberto, la tua posizione è abbastanza chiara. Rimangono due questioni che sarebbe utile chiarire. La prima è: oggi chi ha l’autorevolezza di suscitare e promuovere una mobilitazione come quella che hai tratteggiato?
Partiamo da chi non ha e non avrà quell’autorevolezza: coloro che inseguono il politicantismo e si perdono nell’elettoralismo.
Ma chi ce l’ha, questa autorevolezza? Il discorso è complicato, ma in estrema sintesi la questione è che noi comunisti dobbiamo iniziare a porci in modo più aperto e risoluto come promotori della mobilitazione delle masse popolari.
Dato che sono decenni che questa cosa non succede, oggi bisogna sperimentare – con il rischio di sbagliare, ottenere risultati parziali, ecc. – bisogna imparare. E cimentarci tutti quanti, insieme.
Abbiamo le capacità di aggregare settori delle masse popolari e dirigere processi di mobilitazione?
Penso che dobbiamo porci l’obiettivo di imparare, superando il settarismo: unire le forze e colpire l’obiettivo, anche marciando divisi, cioè facendo ognuno il suo percorso… “marciare divisi, ma colpire uniti”.
C’è una seconda questione. È vero che non è la piccola pattuglia di parlamentari che può cambiare le cose. Però il tuo ragionamento può sfociare nell’astensionismo, mentre per le masse popolari sarebbe invece positivo riuscire a mandare in parlamento, in questa fase, il più alto numero di elementi anti Draghi e anti Larghe Intese…
Un inciso sul fatto che la legge elettorale non prevede le preferenze e quindi l’eventuale pattuglia di eletti è già stata ben selezionata dai vertici dei partiti in coalizione… Ma detto questo, per chiarezza: NO, non sostengo l’astensione… credo che valga la pena di provarci sempre e cercare di creare le condizioni più favorevoli allo sviluppo della mobilitazione.
Dico che non ci sono particolari motivi per guardare con fiducia ed entusiasmo ai risultati elettorali, perché il nodo da sciogliere è fuori dal parlamento.
Se poi si vuole fare un discorso di confronto politico/istituzionale, la prima battaglia è già stata persa.
O meglio, si è perso di vista chi è il vero artefice della situazione che si è creata con le firme da raccogliere in un mese, ecc. Perché qualcuno ha tramato e quel qualcuno è Mattarella. Non ha sciolto le camere in due momenti in cui il governo in carica non aveva più la maggioranza parlamentare, ma le ha sciolte in un momento in cui Draghi continuava ad avere una larghissima maggioranza. Ecco, anche solo per questo bisognava mobilitarsi subito sotto il Quirinale e smascherare il castello di ipocrisia su cui si regge questa campagna elettorale.
Infine, un’ultima considerazione. Negli anni Novanta il PRC era un partito da 10%. Oggi, pur mettendo insieme tutta la sua diaspora, non supera il 3%. È chiaro che era necessario fare un bilancio e questo non è avvenuto.
Ecco perché, al di là dei risultati elettorali, mi convincono poco le coalizioni che si presentano il 25 settembre: perché sono il prodotto di operazioni dei vertici, in chiave elettorale. Sempre lo stesso meccanismo. Lo dico a malincuore, ma non è con le elezioni che si accumulano forze, è attraverso un progetto politico che si accumulano forze, e poi si possono usare anche le elezioni.
Confido ancora che non sia troppo tardi per ragionare sul bilancio di questa esperienza, reiterata negli ultimi 30 anni, e cambiare strada.