Da qualche settimana è in corso la scissione tra il gruppo “Insieme per il futuro” guidato da Luigi Di Maio (al momento circa 50 deputati e 11 senatori) e quello che resta del M5S guidato da Giuseppe Conte. L’ennesima scissione, in questo caso più pesante e organizzata delle precedenti, ha scatenato l’indignazione di tanti dentro e fuori dal M5S, che gridano all’ennesimo tradimento. Quella del “tradimento dei capi” è una delle principali fonti di rabbia tra i tanti esuli del M5S, centinaia di migliaia di attivisti, eletti e candidati che hanno vissuto gli anni esaltanti dell’ascesa di un progetto politico popolare, sociale e alternativo alla casta politica per poi vederlo via via accartocciarsi durante le prime due esperienze di governo del paese (governi Conte 1 e Conte 2) e ulteriormente sgretolarsi nel governo Draghi.
La rabbia, l’indignazione e l’apatia che questa parabola suscita sono comprensibili, ma vanno combattute e va fatto un passo avanti. Per compierlo è necessario anzitutto sgombrare il campo da un errore: il M5S non è ridotto così perché “i capi hanno tradito” o perché “una volta eletto chiunque si affeziona alla poltrona e si vende il sedere a quelli che il giorno prima diceva di voler combattere”. Queste cose non sono false ma sono conseguenze, non cause.
La causa dello stato in cui si trova oggi il M5S ha ragioni politiche e ideologiche. Tali ragioni vanno comprese anzitutto da chi è scontento della parabola del M5S e si sta chiedendo come invertire la rotta; vanno comprese da quegli attivisti che non vogliono ritirarsi a vita privata, ma neanche vogliono più fare da porta-voti a politicanti e parassiti; vanno comprese da tutti quelli che non hanno mai sostenuto il M5S, ma sono stati incapaci di costruire un’alternativa sociale e di classe a questo movimento sorto su spinta della rabbia, dell’indignazione e della volontà di cambiare il governo del paese.
Quali sono le ragioni del declino del M5S? Il M5S è naufragato perché ha anteposto il funzionamento delle istituzioni (in gran parte occupate da funzionari selezionati e formati dalle Larghe Intese nei governi susseguitisi per decenni) al cambiamento del paese negli interessi delle masse popolari. In questo modo ha progressivamente perso il ruolo di principale beneficiario del malcontento delle masse popolari e di centro autorevole della loro mobilitazione, fino a dismettere la rete di meet up che rappresentava la forza creativa e propulsiva del M5S. I motivi sono, quindi, tutti di carattere politico e riguardano la concezione (il modo di pensare da cui discende l’azione pratica) e la linea politica (conciliazione con le Larghe Intese) che hanno guidato il M5S. I limiti principali della concezione del M5S sono:
- legalitarismo, cioè la convinzione che i motivi per cui il paese è allo sfascio risiedono nel mancato rispetto delle regole e delle leggi da parte di chi governa e che per cambiare le cose sia sufficiente rispettare le leggi “giuste” che già ci sono e abrogare/impedire quelle sbagliate, fatte a tutela degli interessi della casta;
- conciliatorismo, cioè cercare di tenere insieme interessi che per natura sono contrapposti e antagonisti: quelli dei capitalisti e quelli dei lavoratori, quelli di chi devasta l’ambiente e quelli delle popolazioni avvelenate dall’inquinamento, quelli degli speculatori e quelli delle masse popolari;
- sfiducia nelle masse popolari che si è manifestata nel progressivo restringimento degli spazi di discussione, decisione, trasparenza e protagonismo dal basso (declamati a parole), in favore del politicantismo tipico dei vecchi tromboni della politica borghese.
Se pure si esaurisce il ruolo del M5S non si esaurisce la necessità di cambiamento! Tutti i bisogni, le battaglie e le misure necessarie su cui il M5S aveva costruito il proprio ruolo e consenso non sono svanite, anzi tanto più avanza la crisi generale del capitalismo tanto più queste sono all’ordine del giorno.
Saranno all’ordine del giorno perché hanno un carattere oggettivo e sono dovute all’approfondirsi della crisi generale.
Per questo ci sarà sempre spazio per chi vorrà assumere un ruolo positivo per le masse popolari che si mobilitano contro gli effetti della crisi. Ruolo che dovrà esercitare al servizio delle masse se non vorrà essere travolto dall’indignazione, dalla rabbia o dall’indifferenza delle masse (questa la vera fine che farà Di Maio e chi lo seguirà, altroché poltrone calde e sederi comodi!). Un esempio? Tutti gli ex attivisti, eletti fuoriusciti o quelli scontenti che fanno ancora parte del M5S mettano da parte astio e rancori e comincino da subito a fare pressioni (pubbliche e private) sugli eletti con cui hanno relazioni perché tolgano la fiducia a Draghi il prima possibile!
Il punto, quindi, non è limitarsi ad incazzarsi per com’è andata, né lamentarsi di quanto Grillo, Di Maio e soci abbiano tradito ideali, mandato e fiducia. Il punto è assumere il ruolo di rottura con le liturgie e i teatrini della politica borghese, mettersi a sostenere gli organismi esistenti che promuovono lotte e mobilitazioni per cambiare le cose e farsi promotori della nascita di nuovi (favorire l’organizzazione delle masse in modo autonomo e indipendente da partiti, istituzioni e autorità). Infine, mettersi all’opera per la costruzione del fronte per cacciare Draghi e qualsiasi governo delle Larghe Intese. Un fronte che imporrà il governo che serve alle masse popolari, un governo che sia espressione delle forze popolari, sociali, sindacali e politiche del paese, che abbia come suo programma le misure che il movimento di resistenza delle masse popolari propone. Un governo di emergenza popolare.
Il declino del M5S non è solo la fine di un percorso, è l’inizio di una nuova fase politica ancora più esaltante e importante per il futuro del paese. Bando alla rassegnazione e al disfattismo, quindi, passiamo all’attacco!