Fra il 26 luglio e l’8 ottobre si svolgono le assemblee territoriali per discutere i documenti congressuali.
La minoranza denuncia che il regolamento congressuale è un atto di forza che limita la democrazia interna.
Fra crisi di rappresentanza e oggettiva perdita di ruolo del principale sindacato italiano, a gennaio 2023 si svolgerà la fase finale del XIX Congresso della CGIL. Vediamo la posta in gioco.
In Italia ci sono tutte le condizioni per “una stagione di dispiegate lotte operaie”, per dirla in sindacalese, ma anche se le condizioni peggiorano, essa tarda a manifestarsi. Anzi, le organizzazioni deputate a promuoverla e dirigerla, i sindacati, arrancano. Perdono iscritti anziché aumentarli, sono guardati con diffidenza (in alcuni casi con vero e proprio disprezzo) dagli stessi lavoratori che dovrebbero rappresentare e organizzare. Per capire meglio la situazione e cosa l’ha determinata bisogna fare un passo indietro.
In nome della concertazione i vertici della CGIL hanno abbandonato da tempo il compito di difendere gli interessi dei lavoratori. O, meglio, li difendono se e quando gli interessi dei lavoratori sono compatibili con quelli dei padroni e del governo di turno. Questa è la “concertazione”. Ma non è tutto.
Padroni e governi hanno più volte offerto ai sindacati di regime la possibilità di entrare direttamente in affari: non solo con lo sviluppo dei CAF (motivo per cui le organizzazioni sindacali si sono sempre più trasformate in “agenzie di servizi”), ma soprattutto con la gestione dei TFR, dei fondi pensionistici (nel frattempo immessi nel circuito della speculazione finanziaria) e dei “servizi integrativi”, come ad esempio l’assicurazione sanitaria privata.
Nel corso del tempo, dunque, i vertici della CGIL si sono messi a difendere gli interessi dei lavoratori se e quando questi erano compatibili con quelli dei padroni e dei governi e se e quando erano compatibili anche con il ruolo che l’apparato ha via via assunto.
Questo “intrigo infernale”, in cui a rimetterci sono sempre i lavoratori, ha prodotto una contraddizione insanabile: da una parte, la CGIL deve mantenere un ruolo verso i lavoratori, perché il numero degli iscritti e la fiducia che raccoglie sono l’unico motivo per cui i padroni e il governo di turno la invitano alla loro tavola (non se ne farebbero nulla di un sindacato che non controlla la grande massa dei lavoratori); dall’altra deve piegare gli interessi dei lavoratori a quelli dei padroni (e delle Larghe Intese) per non essere esclusa dagli affari.
Da qui il suo tenere i piedi in due staffe: a parole incendiari, ma nella pratica pompieri.
Ecco perché, nonostante aumentino le condizioni per “una stagione di lotte dispiegate”, queste non avanzano e non si sviluppano come sarebbe necessario. Ed ecco perché, nonostante le condizioni di vita e di lavoro che peggiorano costantemente, il principale sindacato italiano non aumenta gli iscritti, ma continua a perderne.
Il contenuto del Congresso
Proprio a causa della crisi che avanza, la situazione è destinata a precipitare rapidamente.
Se i vertici della CGIL persistono sulla strada della sottomissione ai padroni e ai governi delle Larghe Intese, la fuga degli iscritti è destinata ad aumentare. Ma di una CGIL ridimensionata, sempre meno rappresentativa e influente, i padroni e le Larghe Intese non sanno cosa farsene.
D’altra parte, se i vertici della CGIL imboccano la via della lotta per affermare gli interessi dei lavoratori, allora i padroni e le Larghe Intese smetteranno di invitarli alla loro tavola per dividere con loro parte del malloppo estorto ai lavoratori.
La contraddizione attorno a cui ruota il XIX Congresso è questa, anche se una sintesi chiara e definita non la troverete nei documenti congressuali che dovranno essere discussi nelle assemblee territoriali.
I documenti sono due: uno presentato dalla maggioranza (che è espressione della Segreteria uscente) e uno presentato dalle tre aree di opposizione (Riconquistiamo Tutto, Democrazia e Lavoro, Le Giornate di Marzo) che si sono unite con il proposito di ottenere un numero di delegati maggiore di quello che otterrebbero presentandosi separatamente.
In termini generali (analisi della situazione, analisi della crisi, soluzioni alla crisi) i documenti sono simili. Entrambi riconoscono la gravità degli effetti della crisi, entrambi parlano della necessità di un “nuovo corso”, entrambi presentano il nuovo corso come una successione di rivendicazioni al governo.
La maggioranza riconosce a parole che serve un “nuovo corso”, ma si rifiuta di promuoverlo e indica di fare come prima, di proseguire con la concertazione.
La minoranza dice che per avviare il “nuovo corso” bisogna promuovere il protagonismo dei lavoratori e la loro organizzazione, bisogna estendere e diffondere le mobilitazioni e le lotte prendendo come modello gli operai GKN.
La lotta per la democrazia interna
Anche un osservatore esterno capisce facilmente che la maggioranza ha tutto l’interesse a impedire che la minoranza le pesti i piedi e smascheri “il pompiere travestito da incendiario”. Pertanto ha imposto un regolamento congressuale per il quale solo i dirigenti sindacali possono presentare i documenti nelle assemblee di base e territoriali (nei congressi precedenti qualunque iscritto poteva farlo). Poiché il numero dei dirigenti dell’area di minoranza è estremamente ridotto rispetto a quelli della maggioranza e le assemblee territoriali sono tante e concentrate in poche settimane, il rischio è che a presentare il documento della minoranza sia qualcuno che lo vuole affossare, anziché sostenere.
Conclusioni e prospettive
Lungi dall’aver esaurito i temi alla discussione del Congresso, ci siamo concentrati su una estrema sintesi che tuttavia ci permette di ricavare un orientamento.
I lavoratori e le lavoratrici della minoranza hanno l’occasione di far vivere nel concreto il contenuto del documento che sostengono: anziché limitarsi ai ricorsi alle commissioni interne (giusti e legittimi) devono promuovere l’organizzazione e la mobilitazione degli iscritti per garantire uno svolgimento trasparente delle discussioni durante le assemblee. Imponendosi con la mobilitazione, se occorre, affinché il documento sia presentato adeguatamente.
Quanto più sarà ampia, capillare e continuativa questa azione, tanto più il contenuto del loro documento congressuale vivrà nei fatti, indipendentemente dall’esito del Congresso.
Del resto, quale dirigente della maggioranza potrebbe opporsi? Anche nel documento della Segreteria uscente è scritto che, per arginare la crisi di rappresentanza, la CGIL deve farsi promotrice dell’allargamento dell’organizzazione dei lavoratori delle aziende pubbliche e private a partire da una campagna di elezione delle RSU in tutte le aziende (anche al di sotto dei 15 dipendenti), l’organizzazione di forme di coordinamento intersindacale di RSU, l’elezione di Rappresentati dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS).
Ecco, il Congresso è un buon inizio per dare seguito a quanto scritto!
Voci dalla manifestazione della CGIL del 18 giugno
Il 18 giugno la CGIL ha portato in piazza a Roma circa 20mila persone dietro la parola d’ordine “pace, lavoro, giustizia sociale e democrazia camminano insieme”.
La mobilitazione è stata organizzata come risposta alla situazione economica e politica in cui versa il paese e ha messo bene in evidenza la contraddizione in cui si dibatte la CGIL, incastrata fra l’incudine del governo Draghi, che peggiora le condizioni dei lavoratori e affossa sempre più la concertazione con i sindacati confederali e il martello dello scontento dei lavoratori, della linea di organizzazione e di lotta che il CdF della GKN indica con la sua azione.
Non è stata una delle “scampagnate” della CGIL, partecipate solo da funzionari e pensionati. Erano presenti delegazioni di lavoratori provenienti da diverse parti del paese, in particolare dall’Emilia Romagna, Campania, Puglia, Piemonte e Toscana.
Molti gli studenti presenti e questo è un dato positivo, un passo avanti nell’unità di diversi settori delle masse popolari contro il nemico comune.
Una delegazione del P.CARC è intervenuta alla manifestazione, ha diffuso un volantino e Resistenza, e raccolto il punto di vista sulla situazione dei tanti delegati e semplici iscritti che erano presenti
Fra tutti coloro con cui abbiamo parlato ci è sembrato prevalesse la preoccupazione per la situazione delle aziende, per la guerra e per il carovita. Ma era ben evidente anche la consapevolezza che la situazione attuale ha radici politiche e che le soluzioni possibili vanno ricercate sul piano politico e non solo sindacale.
Dal palco si sono susseguiti interventi di delegati e delegate. Quasi tutti hanno denunciato le manovre dei padroni per approfittare della pandemia e portare più a fondo l’attacco ai diritti e ai salari. Un tema toccato più volte è stato quello della sicurezza sui posti di lavoro: nonostante le chiacchiere di governo e istituzioni la mattanza di lavoratori continua.
Fra i tanti interventi, ne segnaliamo due.
Una compagna della FLAI ha denunciato la speculazione finanziaria in atto sui prezzi del grano e degli altri cereali, solo in parte dovuti al conflitto in Ucraina: la causa principale dei rincari sta nella speculazione finanziaria, nelle manovre delle multinazionali del settore.
Un compagno della GKN ha parlato della loro vertenza, evidenziando l’importanza del presidio operaio e della solidarietà del territorio per impedire la chiusura della fabbrica. Rispetto alla guerra, ha denunciato gli attacchi sionisti al popolo palestinese mettendo in evidenza la differenza di trattamento che i media riservano alla sua resistenza rispetto alla “resistenza ucraina”. Infine, ha denunciato la repressione aziendale che, con il ricatto della precarietà, costringe al silenzio i lavoratori: una forma di violenza, a cui tutti siamo chiamati a rispondere.