Fra le mille emergenze che sconvolgono la vita delle masse popolari nel nostro paese, il problema del carovita è sicuramente uno dei più pressanti. È un problema trasversale, nel senso che, pure se a livelli differenti, colpisce tutti i settori delle masse popolari e ne peggiora immediatamente le condizioni di vita.
Nonostante questo, non esiste ad oggi una mobilitazione dispiegata per vari motivi. Non si tratta di una mobilitazione in cui basta rivendicare l’abolizione di questo o quel provvedimento, ma che mette per forza di cose in discussione l’intero modello di gestione del paese. E se è possibile individuare un responsabile diretto, il governo Draghi, è più difficile individuare misure immediate per fare fronte al problema.
È una mobilitazione del tutto politica e per svilupparsi richiede un livello di organizzazione adeguato, impone di avanzare più speditamente nella costruzione di quella rete di organismi operai e popolari attraverso cui le masse possono far valere la propria forza.
In ogni azienda, in ogni quartiere, in ogni caseggiato tutti hanno lo stesso problema – bollette triplicate, carburante alle stelle, prezzo della spesa insostenibile – e per il momento ognuno lo affronta da solo. Per un verso o per l’altro, chi ha difficoltà a fare fronte all’aumento dei prezzi sta già lasciando indietro affitti, bollette e così via.
La parte già organizzata delle masse popolari deve essere, quindi, il motore della riscossa.
Dove esiste una forza politica di rottura, un sindacato, un comitato, un collettivo di compagni, si tratta di andare azienda per azienda e reparto per reparto, o palazzo per palazzo e scala per scala, a cercare chi si vuole organizzare, chi può assumere un ruolo nel mobilitare i colleghi, i vicini, i conoscenti: lavoratori combattivi, elementi con esperienze di organizzazione e lotta, responsabili di scala, animatori delle chat di condominio. Chi si propone di cercare questi elementi avanzati, di certo ne troverà in ogni ambito.
Il carovita non è però una questione locale: è un tema che riguarda direttamente il modello di gestione del paese. Non è possibile prospettare reali soluzioni al problema senza rompere con il sistema di speculazione finanziaria e le manovre di guerra della NATO, poteri a cui l’attuale governo è completamente asservito. Per questo la mobilitazione contro il carovita apre direttamente le porte a quella per cacciare il governo Draghi, per imporre un governo di emergenza popolare che prenda le misure immediate che servono.
Bisogna, quindi, costruire un sistema di organizzazione capillare sui territori. Nessuno può immaginare di risolvere il problema nel piccolo della sua azienda o quartiere o nel ristretto giro degli iscritti a questo o quel sindacato…
Di conseguenza, occorre costruire iniziative capillari, coordinate tra loro, per fare del carovita una questione di ordine pubblico, promuovendo autoriduzioni delle bollette, degli affitti, del trasporto pubblico, scioperi al contrario, espropri, sciopero fiscale, ecc.
Insomma, il carovita è una tragedia per le masse popolari, ma è anche un’occasione per quanti vogliono organizzarne la riscossa. A loro porsi come punto di riferimento per le masse popolari
Le autoriduzioni negli anni Settanta
Stralci dalla mozione sull’autoriduzione approvata dal Consiglio di Fabbrica dell’IBM di Milano nel dicembre 1974:
“A Torino, davanti all’aumento delle tariffe dei trasporti extraurbani, la classe operaia ha messo in campo la forma di lotta dell’autoriduzione organizzata delle tariffe. Con questa forma di lotta il movimento si è rafforzato e ha rafforzato l’organizzazione sindacale, esaltando ed estendendo il ruolo del delegato, insieme alla partecipazione attiva e creativa dei lavoratori.
Con questa forma di lotta il movimento ha vinto, costringendo padroni e “pubbliche autorità” a rimangiarsi l’aumento.
Il sindacato, a Torino, non si è fermato alla prima vittoria: ha deciso unitariamente di estendere l’autoriduzione anche alla lotta contro gli aumenti delle tariffe elettriche (a tutt’oggi sono circa 200.000 le bollette raccolte).
(…) Noi pensiamo che l’autoriduzione sia uno strumento della lotta più generale per le riforme, e si inquadri in pieno nella vertenza generale in corso per la difesa del salario e dei redditi più bassi.
Infatti, se non si pensa ad una falsa articolazione fatta di scioperi generali frantumati a livello di provincia e di regione; se non si vuole tradire la globalità della piattaforma e concentrare tutta la pressione sindacale sulla contingenza e sull’occupazione in chiave difensiva, ma si punta invece a dar vita a un movimento capace di durare per modificare finalmente qualcosa nel senso indicato dal sindacato, allora l’articolazione deve voler dire partecipazione attiva dei lavoratori, iniziativa, coinvolgimento di nuovi strati di popolazione attorno ai nostri obiettivi. Vuol dire un movimento che si autoalimenta con risultati, sia pure parziali, ma tangibili, rispetto ad una linea portata avanti in questi ultimi anni, certamente giusta, ma troppo avara di conseguenze pratiche per essere credibile e mobilitante.
In questo senso l’azione per l’autoriduzione, con i suoi limiti, le sue difficoltà, i suoi inevitabili rischi, ma anche con la sua capacità di presa, di immediatezza, di concretezza, offre un esempio di lotta di notevole efficacia”.