Il ballottaggio delle elezioni presidenziali del 19 giugno in Colombia ha portato alla vittoria la coalizione di sinistra Pacto Historico e il suo presidente Gustavo Petro.
Il risultato è storico. La Colombia è il principale alleato degli USA al di fuori dalla NATO, ospita un’innumerevole quantità di basi militari statunitensi ed è sempre stata succube del padrone a stelle e strisce.
Uno degli intenti dichiarati di Petro è proprio quello di ridisegnare in senso multilaterale le alleanze estere della Colombia (Russia e Cina) e di ristabilire le relazioni diplomatiche con il vicino Venezuela. Altro punto del programma del futuro governo è la riforma agraria, in un paese ancora dominato da immensi latifondi.
Come detto, il risultato è storico di per sé, anche se è presto per dire come e se le intenzioni si tradurranno in realtà, se Petro si darà i mezzi per fare ciò che promette. Quello che è certo è che il contesto per dare seguito alle riforme annunciate è molto difficile, ma le difficoltà interne e in politica estera degli USA dimostrano che il loro ruolo nel continente americano si indebolisce.
Gli USA abitualmente non vanno per il sottile. L’unico precedente di una possibile vittoria di un fronte progressista in Colombia risale al 1948 e finì tragicamente con l’assassinio del probabile vincitore Jorge Eliècer Gaitán. Quell’evento diede il via al Bogotazo (conosciuto anche come La Violencia), un periodo di proteste duramente represse, che vedrà le masse popolari – organizzate attorno alle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) e altre formazioni armate (fra le quali il Movimento 19 Aprile di cui fece parte proprio il neo presidente) – impegnate nella guerra civile contro lo Stato mafioso colombiano, basato sul latifondo e il narcotraffico.
Questa vittoria mostra la difficoltà della borghesia imperialista nell’arginare la nuova ondata di rinnovamento politico in America Latina, che potrebbe trovare un nuovo sbocco in ottobre con la probabile rielezione di Lula in Brasile. L’attenzione dovrà comunque essere massima a fronte di una borghesia locale criminale, spalleggiata dagli USA, che non abbandonerà pacificamente il potere politico e che è abituata a farsi valere attraverso gli squadroni della morte o con l’impiego diretto dell’esercito.
Nonostante l’accordo di pace del 2016, che vide le FARC deporre le armi, sono proseguiti ininterrotti gli omicidi mirati, le esecuzioni e le scorribande degli squadroni della morte di estrema destra, tanto da spingere parte degli ex guerriglieri a tornare sui loro passi.
Le radici della vittoria di Petro sono in questa decennale guerra civile, nel fallimento del processo di pace e nel peggioramento continuo delle condizioni di vita della popolazione, aggravate anche dalla pandemia da Covid.
Nel campo delle masse è cresciuta in questi anni la forza e l’organizzazione, con la proclamazione del Paro Nacional, un’ampia campagna di mobilitazione avviata nel 2019 contro un’iniqua riforma fiscale, ma proseguita nonostante il ritiro del provvedimento, trasformandosi in una campagna apertamente politica. Nel paese si è sviluppata e rafforzata la creazione di un potere popolare radicatissimo e capillare, che oggi porta a questo risultato che il popolo colombiano dovrà difendere con la lotta.
Per approfondimenti sul contesto colombiano rimandiamo all’articolo di Resistenza n.6/2021 “Colombia. Le proteste incendiano il paese, esercito e polizia contro le masse popolari”.