A giugno si sono svolte le elezioni amministrative in 971 Comuni, fra cui 22 capoluoghi di provincia e 4 di regione (quasi 9 milioni di elettori): il 12 giugno si è tenuto il primo turno (si votava anche per i referendum sulla giustizia) e il 26 giugno i ballottaggi.
Poiché si trattava di elezioni amministrative e anche abbastanza circoscritte, secondo qualcuno i risultati non hanno particolare valore a livello nazionale. Tuttavia, stante il contesto politico, alcune riflessioni valide anche per il piano nazionale le possiamo fare.
L’affluenza è stata molto bassa. Circa il 54% al primo turno e circa il 42% al secondo. In particolare, il dato dei ballottaggi si traduce nel fatto che i sindaci, indipendentemente dal loro schieramento politico, sono stati eletti da un’esigua minoranza di aventi diritto al voto. Se formalmente ciò non inficia i risultati, politicamente conferma lo scollamento fra le masse popolari e le istituzioni e autorità borghesi, anche quelle “di prossimità”.
Ha vinto chi ha perso meno. Al di là delle dichiarazioni trionfali, la ridottissima partecipazione ha premiato i partiti che hanno perso meno voti. Il PD esulta e Letta parla di “un risultato che rafforza il governo”, ma il risultato di cui parla – al netto di poche eccezioni, come Verona – viene dal fatto che il PD ha fatto valere la propria rete di potere locale. Cioè “ha vinto” le elezioni valorizzando la cerchia di interessi diretti e indiretti. Dove la cerchia di interessi non è stata messa a frutto, o dove è più estesa e articolata la cerchia dei concorrenti, il PD ha perso.
Il M5S ha perso ovunque. Valgono poco le considerazioni sul fatto che “alle amministrative non è mai andato bene”: il M5S è stato punito per la sottomissione alle Larghe Intese e il sostegno al governo Draghi. Che Di Maio abbia usato il risultato delle amministrative a ulteriore giustificazione della scissione, affermando che il M5S ha pagato l’allontanamento da Draghi, dimostra solo che la scissione è stata una manovra delle Larghe Intese.
Nessuno è stato capace di raccogliere i voti dispersi. Nessuna lista o coalizione che si è presentata in alternativa e in rottura alle Larghe Intese ha ottenuto risultati significativi. Al massimo è stato eletto un consigliere, come a Genova nel caso della lista “Uniti per la Costituzione”.
Degli aspetti evidenziati, quest’ultimo è forse il più importante ai fini del ragionamento sul che fare in vista delle elezioni politiche del 2023. Dimostra che al di là degli sforzi, della “qualità” dei candidati, della buona volontà, ecc. il piano elettorale è insufficiente a rispondere all’esigenza di protagonismo delle masse popolari. Il voto inteso come delega a governare le città, i territori e il paese non è la strada per mettere in moto il cambiamento.