Il 2 maggio si è svolta a Napoli l’iniziativa, promossa dalla Direzione Nazionale e dalla Segreteria Federale Campania del P.CARC “Contro la guerra, la propaganda di guerra e la censura. Per la libertà d’informazione”.
Hanno partecipato alcuni importanti esponenti del mondo politico, giornalistico e associativo: Giorgio Bianchi, Luigi De Magistris, Giorgio Cremaschi, il presidente dell’ANPI di Napoli, Pax Christi, Luciano Ferrara, Francesco Santoianni e altri.
Il 17 maggio, la Segreteria Federale Toscana del P.CARC ha organizzato il dibattito “Giornalismo, repressione e libertà d’informazione” con la presenza, fra gli altri, di Sara Reginella e Clara Statello.
Due iniziative diverse per impostazione, ma simili per le questioni che hanno sollevato e trattato.
Non solo una generica denuncia del restringimento degli spazi di libertà di parola e d’informazione, aggravati dallo “stato di emergenza” che il coinvolgimento dell’Italia nella guerra contro la Federazione Russa si porta dietro (il COPASIR indaga sugli ospiti dei dibattiti televisivi!): le iniziative sono state, infatti, occasione per ragionare sulle motivazioni e sui risvolti politici del clima da guerra civile innescato e promosso dalla classe dominante.
La censura, certo. Ma anche lo squadrismo mediatico contro chi non si allinea (sperimentato e perfezionato con la propaganda a senso unico sulla pandemia), la derisione pubblica e la criminalizzazione – che in vari casi hanno aperto le porte alle minacce fisiche e alla persecuzione sui social – di giornalisti, docenti, attivisti e intellettuali.
Non è un problema circoscritto e “settoriale”, è una questione che attiene al regime politico che vige nel paese, alla difesa dei diritti conquistati con la Costituzione – che si difendono solo praticandoli – alla necessità di dotarsi degli strumenti intellettuali e pratici per condurre la “guerra dell’informazione”.
Non possiamo combatterla solo con la contro-informazione, il discorso non si limita a rispondere alle menzogne con la verità, è prima di tutto una guerra tra concezioni del mondo. Nel senso che le menzogne, la censura e la repressione sono strumenti che la classe dominante usa per mantenere il suo dominio sulla società, mentre quello che serve a chi vuole rovesciare il dominio della classe dominante è un’informazione aderente alla realtà, un’analisi coerente con gli interessi delle larghe masse. E, soprattutto, rivoluzionaria.
Questo, in definitiva, è il messaggio su cui abbiamo insistito: non solo contro la censura, la propaganda di guerra e la repressione, ma soprattutto per l’attuazione delle parti progressiste della Costituzione che ripudia la guerra, che prevede il libero accesso alle risorse necessarie alle masse popolari per la propria emancipazione, che consegna la sovranità nazionale alle masse popolari, non alla NATO, alla UE e ai suoi cani da presa.
Se è vero che “il giornalista di regime è il mestiere più antico del mondo”, è vero anche che ci sono tanti giornalisti degni di questo nome che hanno ideali, testa, cuore e coraggio e sono nauseati dai ricatti che li costringono a fare “le marchette per il regime”.
A loro spetta fare un passo avanti: un passo che vada oltre il cercare di “dire la verità”, un passo che li porti a organizzarsi e a emergere per contribuire a rafforzare il campo delle masse popolari nella lotta per imporre un loro governo di emergenza popolare (vedi Editoriale).