Assistiamo in queste settimane a una nuova recrudescenza degli scontri in Palestina. Sono 70 anni che il popolo palestinese resiste eroicamente all’aggressione dello stato sionista che, appoggiato senza riserve da i gruppi imperialisti USA e UE, non risparmia nessuna atrocità pur di perpetrare il sistema di apartheid della popolazione araba su cui si fonda l’esistenza e il ruolo dello stato di Israele.
In questo periodo, l’irrompere dei nuovi scontri in Palestina nella cronaca internazionale, oltre a suscitare la solidarietà delle masse popolari di tutto il mondo verso il popolo palestinese e lo sdegno verso le atrocità dei sionisti, rende ancora più evidente a tutti l’ipocrisia degli imperialisti USA e UE. Da un parte cercano di convincere le masse popolari della legittimità dell’invio di miliardi di dollari di armi alla “resistenza” dei nazisti ucraini, del dovere etico di condannare e combattere gli “invasori” russi, mentre dall’altra finanziano e sostengono da sempre gli occupanti sionisti e ne giustificano le atrocità come difesa dalla “aggressione” del popolo palestinese, la cui eroica resistenza è condannata come terrorismo. Un completo ribaltamento della realtà, il trionfo del doppiopesismo e dell’uso della morale secondo la convenienza politica.
Data l’intossicazione e la confusione che i media borghesi promuovo ad arte sull’intricata vicenda palestinese, per fare luce sulla situazione attuale e il percorso storico che l’ha prodotta, abbiamo intervistato Gabriella Grasso, storica attivista del movimento di solidarietà al popolo palestinese.
A partire dalle ultime settimane di aprile lo scontro tra il popolo palestinese e gli oppressori sionisti è nuovamente salito di livello ed è tornato alla ribalta sui giornali di tutto il mondo. Come mai? Cosa sta succedendo?
La recrudescenza degli scontri è fondamentalmente legata all’avvicinarsi della data del 15 maggio: il giorno della Nakba (del disastro) per i palestinesi e il giorno dell’indipendenza per gli israeliani. La data cioè in cui si celebra la nascita di Israele, avvenuta nel 1948 al termine del mandato britannico sulla regione. Un avvenimento che ha causato nell’immediato 700.000 profughi e la distruzione di più di 500 villaggi.
Inoltre, quest’anno tale periodo è coinciso con quello del Ramadan, che è un momento di intensa attività religiosa per gli arabi, con una maggiore frequentazione della moschea al-Aqsa (la più grande moschea di Gerusalemme, che sorge nella spianata delle moschee, ndr.), che negli ultimi anni è sempre più spesso oggetto di attacchi da parte dei coloni israeliani.
Perché gli israeliani attaccano i palestinesi addirittura dentro la moschea e nel periodo per loro più sacro?
Gli israeliani stanno colonizzando quel territorio, vogliono che i palestinesi vadano via, quindi tutto quello che fanno ha l’obiettivo di distruggere la vita dei palestinesi: a livello sociale, religioso, economico. Pensa che la prima cosa che hanno fatto quando hanno cominciato a impossessarsi delle terre, già prima del ‘48 e ancora sotto mandato britannico, è stata quella di prendersi l’acqua, i pozzi. Immagina una popolazione senza acqua che sviluppo può avere. Si parla tanto della capacità degli israeliani di far “rifiorire il deserto”. Bisognerebbe, invece, parlare della capacità dei palestinesi di sopravvivere senza acqua, di resistere a questa feroce oppressione da decenni.
La repressione dei palestinesi si fa oggi più feroce anche a causa di decisioni prese a livello internazionale, in particolare con la scelta fatta da Trump nel 2017 di riconoscere l’annessione da parte dei sionisti della Cisgiordania, il riconoscimento di Gerusalemme come capitale israeliana e il trasferimento dell’ambasciata USA in questa città.
Uno dei fatti più clamorosi di questo nuovo periodo di scontri è stata l’uccisione della giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh da parte dell’esercito israeliano e le successive cariche dei sionisti al corteo funebre. Chi era questa giornalista, cos’è successo, perché hanno caricato il corteo funebre?
Shireen Abu Akleh era un’icona del mondo arabo, perché era la corrispondente di Al Jazeera per la Palestina ed era una palestinese.
Le cariche al corteo funebre non hanno nessuna giustificazione. Se si segue la situazione palestinese da vicino, si vede che un giorno su due c’è un morto: vecchi, donne, disabili, persone che non si sognano neanche di prendere un sasso in mano. Non c’è giustificazione, l’obiettivo è eliminare i palestinesi, fin da piccoli è questa l’educazione degli israeliani.
Fino a due anni fa, ho raccolto sistematicamente le informazioni su tutti gli omicidi dei sionisti, inviando periodicamente questo resoconto ai consiglieri del consiglio comunale di Milano e al sindaco. Quando fai questo lavoro ti rendi conto che sei davanti al crimine organizzato, a una pratica di assassinio sistematico, dove si uccide per uccidere. Gli israeliani non considerano i palestinesi esseri umani e questa non è una cosa di oggi. Se vai a leggere le frasi dei fondatori dello Stato di Israele, queste cose le trovi teorizzate in maniera pacifica.
Com’è possibile che un popolo come quello ebreo che ha vissuto questa stessa discriminazione, che è stato perseguitato e sterminato, ora infligga ad altri questa sorte?
Gli ebrei non sono la stessa cosa degli israeliani. Gli israeliani sono sionisti, sono quella parte di ebrei che ha creato e sostiene questa macchina militare fondata sulla discriminazione.
Israele è una etnocrazia, uno Stato in cui c’è un miscuglio di etnie, ma solo una ha in mano il potere. E tra gli stessi israeliani c’è una gerarchia. Ci sono gli ebrei sefarditi, che storicamente vivevano nel mondo arabo e che prima della fondazione dello Stato di Israele convivevano pacificamente con i musulmani. E ci sono gli ebrei aschenaziti, che provengono storicamente principalmente dall’Europa dell’Est, dalla Russia, Bielorussia, Polonia e Ucraina e sono quelli da cui discende la comunità ebrea negli USA. Quando è stato creato Israele aschenaziti e sefarditi si sono combattuti, perché i secondi erano contro la creazione di questo Stato etnocratico. Hanno però prevalso gli aschenaziti e i sefarditi sono oggi ancora discriminati e messi ai margini.
Quale regime vige in Israele? Qual è la situazione politica? Esiste un’opposizione interna?
Israele formalmente si pone come l’unica democrazia del Medio Oriente. La realtà è molto differente. La popolazione è rigidamente divisa tra israeliani e palestinesi, cioè tra colonizzatori e colonizzati, e i matrimoni misti sono vietati. Esistono poi due differenti sistemi giudiziari: uno per gli israeliani e uno per i palestinesi. Se un bambino israeliano tira una pietra non gli succede niente, se lo fa un bambino palestinese prende 20 anni di galera. Inoltre, esiste per i palestinesi la detenzione amministrativa: i palestinesi possono essere fermati e arrestati senza una motivazione, senza un avvocato, senza nessuna copertura legale, e questo fermo può essere rinnovato all’infinito. Chiunque può essere recluso per anni senza basi giudiziarie.
Questo sistema, tipico dei sistemi coloniali, è stato mutuato da quello vigente sotto il mandato britannico. Gli israeliani abbattono le case dei palestinesi che compiono atti di resistenza, proprio come facevano i britannici all’epoca del protettorato.
Addirittura le strade sono in molto casi separate: ci sono quelle per gli israeliani e quelle per i palestinesi.
Israele è uno Stato a struttura militare, dove la continua colonizzazione, la continua guerra, l’esistenza perpetua di un nemico esterno, sono strumenti di governo e volano dell’economia. L’industria militare e l’industria della “sicurezza” (cioè del controllo) sono il centro della macchina economica israeliana.
A livello politico il succedersi dei diversi governi non ha cambiato la situazione generale, che è in continuo peggioramento. Ci sono a volte delle piccole differenze o variazioni, in particolare in relazione alla politica estera degli USA, quando il governo statunitense spinge in una direzione piuttosto che in un’altra. Ad esempio Trump ha spinto molto sull’annessione della Cisgiordania, Biden si è mostrato invece contrario.
Ma, alla fine, si tratta solo di chiacchiere per noi occidentali, perché i gruppi di coloni, finanziati e sostenuti dallo Stato di Israele, continuano a erodere, incessantemente, il territorio dei palestinesi, con nuovi avamposti, nuovi quartieri. Le leggi, anche quelle più banali, sono in funzione di questo. Ad esempio, nel campo dell’edilizia solo gli israeliani possono costruire sulla sommità di una collina, ai palestinesi è vietato. Ci sono numerosi rapporti, di Human Right Watch, di Amnesty International, che descrivono nei particolari questo sistema di apartheid e oppressione.
Spesso è poi l’arbitrio che regna. Quando un palestinese deve passare il check point, magari con la spesa per una settimana, il militare sionista gli fa aprire le borse e gli dice: “queste non sono cose che puoi consumare a breve” e gliele fa buttare via.
Forze di opposizione in Israele esistono, ma purtroppo sono come da noi: contano come il due di picche, non hanno rappresentanza politica, fanno iniziative e proteste che ad oggi non incidono.
Perché c’è un legame così forte tra USA e Israele?
Per capirlo bisogna capire com’è nato Israele. Il sionismo nasce, assieme agli altri nazionalismi, nel corso dell’Ottocento, attorno all’obiettivo di costruire uno Stato per gli ebrei. In realtà c’erano già dei luoghi che potevano servire allo scopo: ad esempio Stalin aveva creato una regione autonoma per la popolazione ebrea in Estremo Oriente, al confine con la Mongolia.
Gli imperialisti europei avevano però il problema di controllare il canale di Suez e in generale quella porzione di Medio Oriente ricca di risorse (erano i primi periodi in cui si cominciava a cercare fonti di petrolio). Britannici e francesi hanno perciò favorito l’insediamento di un focolaio ebraico nella regione, cioè di un popolo che erano sicuri sarebbe stato dalla parte dei colonizzatori europei. Il loro insediamento era, quindi, funzionale al controllo di una zona così importante.
Con il declino degli imperi coloniali europei, gli USA hanno ereditato questa situazione, sono subentrati alla Francia e alla Gran Bretagna nel controllo dell’area e nel rapporto privilegiato con i sionisti.
Quello tra imperialisti USA e sionisti non è però un rapporto a senso unico, in cui sono solo gli imperialisti statunitensi che usano Israele per i propri scopi. Lo Stato di Israele è, infatti, sostenuto dalla lobby ebraica mondiale, che ha giocato un ruolo fondamentale nella nascita di Israele: è stata la fonte dei finanziamenti che hanno permesso allo Stato sionista di costituirsi ed espandersi. Attraverso questa lobby l’entità sionista è molto influente nel mondo, compra politici negli USA e negli altri paesi, fa pressioni per determinarne le politiche. Ad esempio, adesso la lobby ebraica si sta concentrando sulle elezioni di medio termine negli USA, in particolare attraverso l’AIPAC, associazione dei sionisti USA. Si comprano direttamente i senatori e i deputati, di tutte le parti politiche, perché il sostegno senza riserve ai sionisti è una questione trasversale a democratici e repubblicani.
Col declino degli imperialisti USA, con il nuovo ruolo della Federazione Russa e della Cina, il meccanismo in genere ben oleato tra USA e Israele comincia però a scricchiolare. Lo abbiamo visto quando Israele non si è allineato subito agli USA sulla questione ucraina e, anzi, si è inizialmente posto come mediatore con i russi con cui i sionisti devono fare i conti in Siria.
Qual è, invece, la situazione tra le forze che rappresentano il popolo palestinese?
Prima tutte le fazioni palestinesi erano riunite nell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e attorno all’obiettivo di farla finita con il sionismo. La situazione si è però modificata nel corso degli anni; oggi da una parte c’è la Cisgiordania, governata dall’ANP (Autorità Nazionale Palestinese) guidata da Al-Fatah, dall’altra Gaza, governata da Hamas. Gli israeliani hanno operato questa divisione prima di tutto dividendo la popolazione a livello territoriale: Gaza è recintata e chiusa, come un campo di concentramento, mentre l’ANP è collusa e finanziata da Israele e dagli USA.
Questo processo si è svolto attraverso diverse tappe.
La crescente oppressione del popolo palestinese ha portato nell’87 allo scoppio della prima Intifada, in cui i palestinesi si mobilitarono per rendersi indipendenti dagli occupanti, per produrre in modo autonomo da Israele tutto quello che serviva. La lotta ebbe successo e costrinse i sionisti a cercare una mediazione, che portò agli accordi di Oslo del 1993. Questi prevedevano la fine della colonizzazione dei territori dei palestinesi da parte di Israele, la nascita dell’ANP e in seguito di quello che doveva essere uno Stato palestinese.
Israele di fatto non ha mai rispettato quegli accordi. Questo provocò la reazione violenta dei palestinesi: la seconda Intifada, iniziata nel 2000. Per fare fronte a questa nuova ondata di proteste i sionisti perseguirono una politica di divisione del popolo palestinese.
Ritirarono i coloni da Gaza e la recintarono come un campo di concentramento: da allora è il principale bersaglio dei sionisti, il capro espiatorio. Là è rinchiusa la parte della popolazione palestinese vittima dei bombardamenti.
In Cisgiordania, Israele si comprò invece l’ANP. Arafat (capo storico di Al Fatah, dell’ OLP e primo presidente del ANP, ndr) venne ucciso dai sionisti e alla guida di Al-Fatah e dell’ANP subentrò Abu Mazen, che avviò una politica di collaborazionismo.
Nel 2006 si tennero nuove elezioni politiche per la guida dell’ANP. Queste elezioni furono vinte da Hamas su tutto il territorio palestinese, sia in Cisgiordania che a Gaza. Ma come sempre, quando vince la fazione non gradita al potere, la vittoria di Hamas non venne riconosciuta. Ci furono allora scontri tra le diverse fazioni: a Gaza vinse infine Hamas, ponendo il territorio sotto il suo controllo. Da quell’epoca non ci sono più state elezioni politiche. L’ANP guidato da Abu Mazen non le convoca, perché sa che se lo facesse ne uscirebbe nuovamente sconfitto: il popolo palestinese conosce benissimo il suo ruolo di collaboratore dei sionisti. Lo dimostrano le ultime elezioni amministrative tenutesi in Palestina, che hanno visto un forte arretramento di Al-Fatah e la vittoria del fronte delle sinistre.
L’anno scorso si è però verificato un fatto importante. Ai consueti assalti sionisti alla moschea di al-Aqsa durante il periodo del Ramadan, si è sommato l’attacco al quartiere Sheik Jarrah di Gerusalemme, che i sionisti vogliono prendersi, cacciando circa 200 famiglie residenti. In occasione delle proteste originate da questa situazione, si è data la prima spallata al sistema di divisione del popolo palestinese. Hamas ha lanciato razzi su Israele: Gaza si è mossa per una questione che riguardava la Cisgiordania (dove è Gerusalemme). Questo ha rotto la bolla! L’unificazione della popolazione palestinese, dopo tutti questi anni in cui sembrava sepolta sotto la coltre di menzogne, di discorsi fasulli, di trattati che non sono serviti a niente ed erano solo sabbia negli occhi per il mondo intero, è risorta. Sull’onda di questi avvenimenti si sono attivati anche gli arabi israeliani, cioè i palestinesi che vivono in Israele, che sono il 20%.
Israele, a fronte dell’attuale ondata di proteste, progetta di fare fronte alla situazione attaccando Hamas. Il Mossad ha minacciato di eliminarne tutti i principali esponenti. Ma non capiscono che questa situazione deriva dalla ritrovata unità dei palestinesi, e questa è frutto della volontà di un intero popolo, non di una manovra di Hamas.
In questi mesi gli occhi del mondo “occidentale” sono puntati sul conflitto in Ucraina: giornalisti, commentatori e politici si stracciano le vesti nel condannare l’invasione russa e l’atrocità della guerra, nel proclamare il diritto dell’Ucraina alla resistenza. Al contrario, la lotta del popolo palestinese è trattata da media e politici dell’“Occidente” con indifferenza, quando non si condanna la resistenza palestinese come terrorismo. Che pensi a riguardo?
Se fai il rapporto inverso hai la risposta. Nel senso: perché dobbiamo parlare di Ucraina invece di Donestk e Lugansk? L’Ucraina è un’area con popolazioni diverse, una parte russofona e una non russofona. Questa situazione si è sviluppata perché ci sono state discriminazioni rispetto alla parte russofona, cominciate con il colpo di stato di Maidan, con la strage nella Casa dei sindacati di Odessa, con i bombardamenti sulle popolazioni del Donbass, che in 8 anni hanno fatto 14.000 morti. Perché non parliamo di questo? Come si può pensare che la Federazione Russa possa accettare la discriminazione e il bombardamento delle popolazioni russofone senza fare una piega? Ormai viviamo nella fabbrica delle falsità! Quando si affronta un argomento è necessario sempre andare all’origine delle questioni e capire cosa non è stato detto, cosa è stato distorto.