Organizziamoci contro la repressione sui luoghi di lavoro! – Intervista a Simone Casella

Intervistiamo Simone Casella, lavoratore e delegato Filcams-CGIL licenziato dalla ditta di vigilanza WORSP e membro del Partito dei CARC. Il licenziamento politico punta a colpire il lavoro organizzativo in difesa dei diritti dei lavoratori che Simone stava svolgendo da mesi presso l’ospedale di Cisanello a Pisa, dove la WORSP ha in appalto il servizio di portineria (vedi l’articolo “Per il reintegro di Simone Casella! Colpiscono uno, colpiscono tutti! Si allarga la solidarietà” su Resistenza n.2/2022).

Il clima da caserma, l’assenza di diritti e la paura di esporsi sono cosa comune oggi nei luoghi di lavoro. Oltre a ciò i lavoratori del settore della vigilanza, nell’immaginario di molti, vengono identificati come persone di destra o fasciste, facilmente ricattabili per i salari da fame, ecc. In questo contesto come hai sviluppato la lotta per il tuo reintegro?

Innanzitutto, bisogna partire dal fatto che i contratti del settore vigilanza sono ai minimi storici: noi avevamo un CCNL dove la paga base era di 797 euro, equivalente a 3,60 euro l’ora. Quindi il ricatto, il clima da caserma che si crea, la mancanza di diritti derivavano anche dal tipo di contratto a cui i lavoratori erano sottoposti. Nell’azienda ospedaliera dove lavoravo il clima da caserma e la mancanza di diritti erano particolarmente sentiti dai lavoratori. Siamo stati utilizzati come carne da macello, costretti a lavorare in condizioni indegne, senza DPI, senza un bagno nelle postazioni o addirittura senza le postazioni stesse. Questa mancanza di diritti originava proprio dal fatto che i lavoratori della vigilanza erano usati dal committente per sopperire a tutta una serie di mancanze dovuta anche ai tagli alla sanità pubblica.


E a seguito del tuo lavoro organizzativo e sindacale è arrivato il licenziamento…

Sì, proprio in risposta a questo lavoro di organizzazione e mobilitazione dei lavoratori o più semplicemente di alfabetizzazione sui loro diritti. Abbiamo lavorato per creare un gruppo di lavoratori, indipendentemente dal fatto che fossero iscritti o meno al sindacato, per coinvolgerli nelle riunioni e nelle assemblee, per parlargli di quello che stavamo facendo noi e che stava facendo l’azienda. Questo ha portato l’azienda a reprimere i lavoratori sindacalizzati. Persino chi si limitava a girare attorno a questo gruppo di lavoratori veniva messo alle strette dai filo-aziendalisti e dai responsabili del padrone. Tutto questo in un settore come quello della vigilanza, dove già di per sé i lavoratori sono sottoposti a stress per i turni di lavoro massacranti, per la mancanza di diritti, per i soldi che sono pochi.

Tutte contraddizioni che i lavoratori sono spinti a trattare nell’ottica della guerra fra poveri, se nessuno li organizza.

La lotta per il mio reintegro è partita come lotta contro i licenziamenti politici in generale. Perciò abbiamo dato la solidarietà ad altri delegati licenziati in Toscana.

La mobilitazione è nata attorno a una questione centrale, la solidarietà di classe, e si è estesa alla cittadinanza, oltre che ai lavoratori di altri settori.


State costruendo un coordinamento nazionale del settore della vigilanza non armata. Come sta andando?

Parto dal fatto che noi eravamo presenti il 2 maggio a Roma allo sciopero nazionale del settore della vigilanza privata insieme ad altri 20mila vigilantes. C’è fermento in tutta Italia, anche perché il CCNL della vigilanza non viene rinnovato dal 2015. Il vecchio CCNL è una vergogna per quanto riguarda i diritti dei lavoratori. Ci sono contratti che partono da 3,60 euro l’ora, ci sono contratti par-time, ci sono contratti verticali, ecc. Tutti tipi di contratti che per i vigilantes sono assurdi perché vogliono dire stress, accumulo di lavoro e tutta una serie di cose che, anche per il solo fatto di avere un’arma in tasca, non sono il massimo, non sono condizioni che favoriscono la serenità sul lavoro.

Detto questo, dopo il mio licenziamento si sono avvicinate un sacco di realtà, soprattutto di Roma, che hanno preso contatto con noi e con queste abbiamo iniziato un percorso condiviso per creare una rete nazionale dei vigilantes. Ci siamo riuniti per parlare di quali erano i problemi nei vari luoghi di lavoro, di come si stava sviluppando la lotta per il CCNL, di come organizzarsi. Insomma abbiamo iniziato a fare quello che la struttura sindacale che abbiamo alle spalle non ha fatto negli ultimi anni, cioè formare i lavoratori, alfabetizzarli sui loro diritti e fare corsi di formazione sindacale, formare nuovi delegati. Con questa rete, con questo coordinamento, in pratica siamo andati a sopperire ai limiti del sindacato che ormai da anni non fa più nulla.

A fine maggio sarai presente a tre iniziative a Milano, Bergamo, Brescia. Spiegaci perché vengono promosse e come si inseriscono nella tua battaglia.

Sicuramente queste iniziative servono per fare rete anche con altri organismi operai e sindacali, per intessere legami e coordinarci con altre realtà.

La resistenza contro i licenziamenti politici, contro la repressione aziendale e l’arroganza dei padroni va allargata, promossa in tutti i settori in modo che rafforzi il movimento di classe in generale. Questo è il senso delle tre iniziative in Lombardia.

Il paese sta andando in una direzione per cui la repressione aziendale, i licenziamenti politici e tutto ciò che il padrone usa contro i lavoratori sono all’ordine del giorno. Bisogna trovare la strada per ribaltare contro i padroni e i loro lacchè tutto questo accanimento contro chi si organizza per i propri diritti.

La lotta della GKN ci insegna che nessuno si salva da solo e che ogni lotta può essere di insegnamento ad altri che si vogliono organizzare. In che modo hai attinto da quella esperienza?

Dalla lotta GKN abbiamo preso tanti aspetti. Prima di tutto l’importanza di organizzarsi e creare un collettivo di lavoratori, indipendentemente dalle sigle sindacali e dalle varie rappresentanze.

Poi, appunto, che nessuno si salva da solo: in questo la GKN ha dato un esempio importante. Nella mia vertenza, subito dopo il licenziamento, ci sono state un sacco di realtà e organismi di lavoratori che mi hanno dato solidarietà, che sono venuti ai vari presidi (tra questi la stessa GKN). Questo sicuramente fa vedere che se la classe operaia si mobilita è in grado di legarsi al territorio, alle altre esperienze operaie, ai movimenti ambientalisti, agli studenti.

Detto ciò, la mia vertenza proseguirà, ma è di particolare importanza lo sviluppo del comitato cittadino per il mio reintegro che abbiamo costruito a Pisa. Con il comitato cittadino abbiamo intenzione di proseguire la battaglia, continuando a volantinare sotto l’azienda ospedaliera e sotto la sede WORSP. Stiamo anche pensando di fare un’irruzione in Consiglio comunale per la mia vertenza; abbiamo contatti con Ciccio Auletta della lista Una Città in Comune, che ha promosso in questa sede anche una mozione in mio sostegno.

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