EDITORIALE
Anche se le operazioni militari in Ucraina finissero domani, niente tornerà come prima.
Le operazioni militari iniziate il 24 febbraio come diretta conseguenza delle manovre di accerchiamento della Federazione Russa da parte della NATO, le sanzioni contro la Federazione Russa che hanno sconvolto le relazioni economiche e commerciali di tutto il mondo, le manovre speculative degli USA per legare a sé i paesi dell’Unione Europea per le forniture di gas sono elementi particolari e specifici che fanno compiere un balzo in avanti alla crisi generale che è già in corso e che trascina il mondo nel marasma di cui la guerra imperialista è sbocco.
Nel giro di soli due anni è la seconda volta che l’umanità si trova di fronte a eventi di portata epocale – apparentemente improvvisi o accidentali – che stravolgono il “normale” corso delle cose.
Quando nel marzo 2020 la propaganda borghese raccontava la pandemia, oscillando fra il catastrofismo e la melassa dell’“andrà tutto bene”, siamo stati fra quelli che avevano chiaro che l’aggravamento della crisi generale stava compiendo un balzo e che sperare nel ritorno alla normalità era pura illusione.
La gestione criminale che i governi delle Larghe Intese (Conte 2 e Draghi) hanno fatto dell’emergenza sanitaria ha provocato 160 mila morti, milioni di nuovi poveri, più disoccupati e precari. Politicanti e “imprenditori” hanno usato l’emergenza sanitaria per compiere speculazioni di ogni tipo; Confindustria ne ha approfittato per dare un’ulteriore picconata ai diritti dei lavoratori; sono stati istituiti strumenti di controllo più capillare come il Green Pass; è stata estesa la repressione ed è stata divisa la popolazione in fazioni in guerra fra loro (vedi vaccinati contro non vaccinati). Ecco, dopo tutto questo – e con il Covid ancora fuori controllo, con migliaia di contagi e 140 morti al giorno – il “ritorno alla normalità” è il governo Draghi che trascina il paese nel disastro della guerra per obbedire alla NATO e agli imperialisti USA. Come si dice: di male in peggio.
Tuttavia, chi vuole trarre insegnamento dalla concatenazione di questi eventi, pandemia e guerra, non deve fermarsi alla conclusione che “tutto va peggio”: è una conclusione parziale e disfattista. È più giusto dire che tutto andrà sempre peggio, finché la borghesia imperialista dirigerà la società perché la normalità della classe dominante è il marasma del mondo, la spirale del peggioramento costante delle condizioni di vita e di lavoro per la stragrande maggioranza della popolazione, la devastazione ambientale e la guerra.
“Non può piovere per sempre”: arte o intossicazione?
Il film Il corvo (1994) è passato alla storia per vari motivi: perché è un bel film, perché sul set ha trovato la morte il protagonista, Brandon Lee, ma soprattutto per la frase cult assurta a bandiera di una generazione: “non può piovere per sempre”. Una metafora per dire che il mondo non può andare così male troppo a lungo.
Per questo motivo il film – pur bello – è degno rappresentante delle operazioni di intossicazione delle coscienze su cui si basa ormai quasi per intero l’industria del cinema e dell’intrattenimento. Perché? Perché promuove una concezione fatalista del mondo: l’idea che a un certo punto, inspiegabilmente, in un mondo in cui piove sempre, spunterà il sole.
Nella realtà le cose non stanno affatto così. La realtà è che continua a piovere a dirotto e il livello dell’acqua ci è arrivato alla gola.
Quindi sì, è arte. Ma prima di tutto è intossicazione: sperare che le cose cambino da sole contribuisce a che le cose rimangano le stesse, è una forma di conservatorismo.
Le premesse al marasma
La tendenza catastrofica che la società ha imboccato negli ultimi due anni è il risultato di un percorso avviato da tempo, dall’avvio della crisi generale del capitalismo iniziata a metà degli anni Settanta del secolo scorso. Oggi emerge chiaramente sull’onda di avvenimenti disastrosi, ma per molti anni essa è stata celata dalle apparenze e per vederla serviva la concezione comunista del mondo.
Limitiamoci al nostro paese: il movimento operaio non è più riuscito a strappare nessuna conquista e anzi tutti i miglioramenti economici, normativi e previdenziali che aveva conquistato in precedenza (dal 1945 al 1975) hanno iniziato a essere erosi e smantellati pezzo dopo pezzo (la politica dei sacrifici è iniziata nel 1978 con la svolta dell’Eur).
Sono iniziate le privatizzazioni, è iniziato in modo relativamente lento lo smantellamento della sanità e della scuola pubblica e sono iniziate le manovre per limitare il ruolo delle masse popolari nella lotta politica borghese (elezioni, referendum, ecc.).
Per circa 25 anni siamo stati gli unici a parlare della crisi generale del capitalismo e venivamo presi per matti: perché allora sembrava impossibile che le cose arrivassero al punto in cui sono oggi e perché la classe dominante (con l’aiuto insostituibile della sinistra borghese) ha fatto un’opera capillare per convincere le masse popolari che i sacrifici che venivano imposti erano per risolvere problemi circoscritti e contingenti, passeggeri.
Non faremo qui un elenco infinito, ma prima degli eventi epocali degli ultimi 2 anni c’è stata una lunga lista di eventi “meno impattanti” (apparentemente meno tragici) che hanno creato le condizioni per arrivare a dove siamo oggi: taglio (1984) e abolizione (1992) della Scala mobile, il “divorzio” fra Ministero del Tesoro e Banca d’Italia (1981), il Trattato di Maastricht (1992), l’introduzione del precariato nei contratti di lavoro (1997), la partecipazione ai bombardamenti sulla Serbia (1999), l’adozione dell’Euro (2000), la partecipazione alla distruzione dell’Afghanistan (2001) e Iraq (2003), le guerre in Africa, ecc.
Chi prometteva che le cose sarebbero andate meglio (qualcuno ricorda Prodi che spacciava l’Euro come lo strumento attraverso cui “lavorare un giorno di meno per guadagnare come se si fosse lavorato un giorno di più”?) si è dimostrato per ciò che era: un infame bugiardo. Perché dargli ascolto oggi?
Il tallone d’Achille della borghesia
Per mantenere la sua posizione di dominio, la borghesia imperialista ha bisogno della collaborazione delle masse popolari, o almeno della rassegnata obbedienza della maggioranza di esse. Se le masse popolari si ribellano e disobbediscono, per la classe dominante diventa impossibile governare in modo ordinario la società. Da qui discendono tre aspetti.
Il primo è che chi si fa promotore della linea di tirare la cinghia e aspettare “che il peggio passi”, confidando nel ritorno alla normalità, non è solo uno sprovveduto o un illuso, ma un collaborazionista! È proprio nel momento in cui la classe dominante annaspa che va bastonata fino a farla affogare!
Il secondo aspetto riguarda il fatto che per evitare – o rimandare il più possibile – che le masse popolari si ribellino e si organizzino, la classe dominante fa largo uso dell’intossicazione delle coscienze (inculcare idee sbagliate, opposte ai loro interessi: ne è esempio il film Il corvo), della diversione dalla lotta di classe con mille “passatempi”, “passioni” e “interessi” che distolgono dal comprendere la realtà e dal lottare per trasformarla.
Il terzo aspetto è che, nonostante la propaganda del “buon senso” (aspetta che passa, aspetta che torni la normalità), l’intossicazione e la diversione, l’adesione delle masse popolari alle manovre della classe dominante è sempre minore e persino la rassegnata obbedienza è traballante. Crescono ribellione e disobbedienza – anche se in forme contraddittorie e disordinate – cresce la mobilitazione e inevitabilmente la classe dominante cerca di mantenere l’ordine promuovendo la guerra tra poveri (masse contro masse) e la repressione sempre più dispiegata. Repressione che, però, a sua volta alimenta ribellione e organizzazione.
Rivoluzione socialista!
La situazione di emergenza, di straordinaria gravità, in cui siamo immersi è soprattutto un’opportunità. Non quella di “scendere a patti” con i capitalisti, conciliare gli interessi dei lavoratori e delle masse popolari con quelli dei criminali che sono responsabili della situazione. Non si può contare sul loro buon senso, non si può contare sulla loro lungimiranza (“un domani saremo tutti morti” è uno dei loro cavalli di battaglia), né sul buon cuore del capitalista “più illuminato”.
Siamo in un’epoca di stravolgimenti. Siamo nell’epoca in cui l’unica cosa normale da fare, l’unica sensata, è cogliere l’opportunità di dare una prospettiva positiva alla necessità storica di cambiare tutto; cogliere l’opportunità di organizzarsi e mobilitarsi per instaurare al più presto un governo di emergenza popolare che rompa con le imposizioni della Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti USA, europei e sionisti, per avanzare verso il socialismo.
Come il criceto nella ruota
L’elettoralismo è la concezione secondo la quale l’unica strada che le masse popolari hanno per “fare politica” è quella determinata dalla classe dominante: partecipare alle elezioni borghesi (con le leggi imposte dalla classe dominante, con gli imbrogli, i raggiri, ecc.).
Un fulgido esempio di elettoralismo lo abbiamo avuto quando, durante i picchi dell’emergenza sanitaria, i partiti della sinistra borghese hanno chiamato le masse popolari a rispettare le regole imposte dal governo, quelle stesse regole che andavano a braccetto con le speculazioni, la repressione, le discriminazioni, perché il ritorno alla normalità avrebbe permesso di andare alle elezioni e “punire con il voto” i responsabili della gestione criminale della pandemia.
Un tragico esempio di elettoralismo lo abbiamo oggi, con i partiti della sinistra borghese che si illudono di riportare il paese nel solco della normalità attraverso le elezioni politiche previste per il 2023.
Gli elettoralisti sono come il criceto nella ruota: torniamo alla normalità per andare alle elezioni, andiamo alle elezioni per tornare alla normalità…