Editoriale
Quando nel 1991 è arrivato a conclusione il processo di dissoluzione dell’URSS, la borghesia imperialista annunciava sguaiatamente la fine della storia – intesa come fine dell’epoca della lotta di classe – e prometteva pace e prosperità nel mondo “liberato dal pericolo del comunismo”. Bluffava.
Chi oggi ha sessant’anni ha vissuto sulla sua pelle cos’ha significato promuovere e partecipare alla lotta di classe in un contesto in cui il movimento operaio era poderoso perché sospinto da un movimento comunista forte in Italia e nel mondo. In un contesto in cui la classe dominante tremava al rischio concreto della rivoluzione socialista.
A questo va aggiunto che dal 1945 al 1975 il movimento economico della società è stato caratterizzato da una fase di accumulazione del capitale (dopo le distruzioni della Prima e Seconda Guerra Mondiale) e ciò ha voluto dire che “l’economia tirava”. Pertanto, sotto l’incalzo del movimento operaio e popolare e per timore della rivoluzione socialista, i padroni erano “disposti” e costretti a cedere parte dei loro profitti sotto forma di riconoscimento di diritti, tutele, benessere diffuso per le masse popolari.
Chi è nato dopo gli anni Ottanta, al contrario, non ha mai vissuto un’esperienza simile. La conosce solo attraverso la narrazione distorta che di essa fa la classe dominante; vive in un contesto opposto, vive una vita per tanti versi opposta.
Tocca però con mano il decadimento generale della società, le conseguenze del disastro ambientale e climatico, vede il degrado materiale e morale che il capitalismo impone alle masse popolari di tutto il mondo. Riconosce l’ipocrisia dei richiami alla pace, alla democrazia, ai diritti umani sbugiardati dal massacro della popolazione civile nei paesi aggrediti dalla NATO, dalla persecuzione degli immigrati, dallo sfruttamento dei lavoratori degli stessi paesi imperialisti, trattati sempre più come carne da macello in nome del profitto.
Cos’è successo fra gli anni Settanta e gli anni Duemila?
In forme diverse è successo esattamente quello che aveva previsto Stalin nel 1926.
Durante un discorso al Comitato Esecutivo dell’Internazionale Comunista, disse: “Cosa succederebbe se il capitalismo ce la facesse a distruggere la Repubblica dei Soviet? Comincerebbe un’era caratterizzata dalla più nera reazione in tutti i paesi capitalisti e coloniali, la classe lavoratrice e i popoli oppressi sarebbero presi per la gola, le posizioni del comunismo internazionale sarebbero perse”.
Nel 1953 Stalin è morto e alla direzione del movimento comunista sovietico e internazionale si sono installati, dal 1956, i revisionisti moderni capeggiati da Kruscev. Dal 1956 l’URSS non è più la base rossa della rivoluzione proletaria mondiale e, anzi, i revisionisti moderni hanno iniziato una lenta, graduale e pacifica restaurazione del capitalismo. Un processo che si è concluso nel 1991.
Con la dissoluzione dell’URSS è effettivamente iniziata una fase di “nera reazione” a livello mondiale.
In tutti i paesi imperialisti l’attacco ai diritti e alle conquiste dei lavoratori e delle masse popolari è stato progressivamente intensificato, i lavoratori dei paesi imperialisti e i popoli dei paesi oppressi sono stati “presi per la gola” e le posizioni del movimento comunista internazionale “sono state perse”.
Che significa? Significa che la grande maggioranza dei partiti comunisti si sono dissolti e disgregati in tutto il mondo; che molti ex paesi socialisti sono diventati terra di conquista per la Comunità Internazionale degli imperialisti e alcuni di essi (Federazione Russa e Repubblica Popolare Cinese) sono diventati suoi concorrenti, ostacolandone le mire espansionistiche. Vuol dire che non esiste più una base rossa della rivoluzione proletaria mondiale e che la tendenza alle guerre di aggressione imperialista ha fatto un enorme balzo in avanti.
Oggi la storia bussa alle nostre porte e ci porge il riassunto degli ultimi 30 anni. È un bilancio intriso di sangue.
La guerra “nel cuore dell’Europa” – che oggi scandalizza i finti pacifisti filo NATO – è iniziata nel 1991, quando la Comunità Internazionale degli imperialisti si è spartita a forza di bombardamenti ed eccidi la Jugoslavia. È proseguita nel 1999, quando la NATO ha raso al suolo la Serbia e ha avvelenato il territorio con l’uranio impoverito. Torna oggi in modo dispiegato in Ucraina, per le mire espansionistiche della NATO, ma nel frattempo ha fatto “il giro del mondo”: ha devastato l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia, la Siria, il Libano, lo Yemen, vari paesi africani.
In ogni paese imperialista, compreso il nostro, assistiamo da anni a una vera e propria “guerra di sterminio non dichiarata” contro le masse popolari che provoca decine di migliaia di vittime: incidenti e morti sul lavoro, malasanità, inquinamento, il dilagare della droga e delle violenze sessuali, la pedofilia del Vaticano, gli sfratti, il carovita, ecc.
Trent’anni senza l’URSS sono stati pessimi. La borghesia imperialista bluffava.
Se per chi ha più di sessant’anni gli effetti della “perdita” dell’URSS spingono alla nostalgia e al rimpianto dei bei tempi in cui il movimento comunista era forte, per chi ha meno di quarant’anni “l’assenza” dell’URSS, di una base rossa della rivoluzione proletaria mondiale e la debolezza del movimento comunista, spingono allo smarrimento.
Eppure questo mondo va cambiato. La storia bussa alla porta. Non dobbiamo aver paura di aprire. Il movimento comunista è ancora debole, ma sta rinascendo. Gli ultimi trent’anni non sono stati segnati solo da distruzione, sangue e nostalgia di un passato che non può tornare…
C’è un bilancio. Abbiamo fatto un bilancio della prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale per ricavarne insegnamenti necessari a promuovere la seconda. C’è voluto parecchio tempo (più di trent’anni) per renderlo organico, per individuare i limiti e gli errori che hanno portato il vecchio movimento comunista ad esaurirsi, in modo da non ripeterli, e per elaborare una strategia e una tattica adeguate alla fase. Mettiamo questo bilancio a disposizione di tutti coloro – settantenni, quarantenni o quindicenni che siano – che vogliono conoscerlo e usarlo per trasformare il mondo.
C’è una spinta. Indipendentemente dal fatto che essa sia più o meno evidente, milioni di persone premono per dare soluzione al corso disastroso che la classe dominante impone al mondo, ai suoi effetti e alle sue cause. Ci sono milioni di persone che hanno perso ogni fiducia nella classe dominante, nelle sue istituzioni e nelle sue autorità, ma non sanno ancora cosa fare e come fare, cercano direzione. I comunisti devono diventare interpreti di questa spinta, devono alimentarla, amplificarla, ma soprattutto orientarla e dirigerla.
Ci sono le forze. Il movimento comunista è debole, è stato il convitato di pietra al tavolo del progresso e dell’emancipazione umana degli ultimi trent’anni, ma è altrettanto vero che la lotta di classe non è mai finita e non può finire finche il modo è diviso in classi di sfruttati e sfruttatori.
Diceva Mao “avere una qualche esperienza di lotta di classe è quello che io chiamo università”. Ebbene, la crisi generale ha spinto molti settori delle masse popolari, molti lavoratori, molti operai a diventare studenti di questa università. Altri lo faranno. Alcuni sono di più lungo corso, altri sono appena arrivati, ma tutti sono spinti a imparare e a insegnare; hanno voglia e necessità di avanzare. Verso cosa?
C’è un obiettivo. Avanzare nella la rivoluzione socialista. Il fatto è che mentre rovesciamo il mondo dei padroni, nello stesso tempo dobbiamo costruire la società diretta dai lavoratori e dalle masse popolari organizzate che ne saranno la nuova classe dirigente. Dobbiamo fare dell’Italia un nuovo paese socialista.
Quando la storia bussa alla tua porta non annuncia la rivoluzione che scoppia, ti avverte che devi metterti in moto per farla, ti chiama, ti vuole.
Unisciti al movimento comunista che rinasce, unisciti alla Carovana del (nuovo)PCI, aderisci al P.CARC.