Centinaia di anni di oppressione francese e di repressione delle avanguardie di lotta indipendentiste, la crisi economica che affama le masse popolari (1 corso su 4 vive sotto la soglia di povertà e sono 25mila i disoccupati) e un contesto generale caratterizzato dallo sgretolamento del sistema politico dei paesi imperialisti, fanno della Corsica una polveriera sociale.
A completare l’opera ci si mette Macron che nel tentativo di raccogliere consensi sulla guerra in Ucraina promuove a spron battuto slogan come “sostenere la resistenza e l’indipendenza dei popoli” o “cacciare gli invasori stranieri”…. e così facendo si accende da solo la miccia sotto al culo.
La scintilla scatta il 2 marzo.
Nel carcere di Arles, nel Sud della Francia uno dei prigionieri politici dell’indipendentismo corso, Yvan Colonna, detenuto in regime di alta sorveglianza, viene aggredito e ridotto in fin di vita.
Parte l’ondata di mobilitazioni in tutta l’isola. Nei giorni successivi a Calvi e ad Ajaccio ci sono manifestazioni e scontri e viene incendiato il Palazzo di Giustizia. L’11 marzo, a Porto Vecchio, un reparto della gendarmeria nazionale viene assaltato e sempre ad Ajaccio, i lavoratori del Sindacatu travagliadori corsi (Stc) impediscono l’attracco di un traghetto francese proveniente da Tolone, con a bordo diversi agenti antisommossa. Le università e le scuole vengono occupate e diventano il centro promotore delle rivolte. Viene dato fuoco all’Ufficio delle Entrate e vengono occupati edifici pubblici nelle principali città dell’isola.
Il culmine degli scontri si raggiunge il 13 marzo a Bastia: sono settantasette i feriti tra i gendarmi e altrettanti quelli tra i manifestanti. Dal corteo di diecimila persone, aperto dallo striscione con la foto di Yvan Colonna che reca la scritta Statu francese assasinu, si stacca un gruppo di circa trecento giovani che assalta la Prefettura per cinque ore, lanciando seicentocinquanta bottiglie molotov. Le forze di polizia rispondono con granate, fumogeni e proiettili di gomma, ma le munizioni finiscono e la “gloriosa” Gendarmerie è costretta alla ritirata.
Dopo 10 giorni di tumulti, il governo francese è costretto a cedere. Un fallimento totale.
Il primo ministro francese Jean Castex dispone la revoca delle misure di massima sicurezza per Alain Ferrandi e Pierre Alessandri, indipendentisti condannati all’ergastolo, e il Ministero della Giustizia apre una commissione d’inchiesta sulla morte di Yvan Colonna. Il Ministro degli Interni Gérald Darmanin promette “contrattazioni di portata storica, che potrebbero portare all’autonomia della Corsica” e pochi giorni dopo lo stesso Macron ribadisce un’apertura da parte del governo francese. Niente di strano, considerando che si avvicina la fine del mandato per Macron e che le elezioni di Aprile rendono precaria la posizione del suo governo schierato apertamente per l’intervento in Ucraina al seguito della NATO. La questione corsa entra, quindi, nel teatrino della politica francese e diventa campo di battaglia elettorale. In Corsica intanto, non si festeggia, ma si preannunciano nuove mobilitazioni.
Esprimiamo la massima solidarietà al popolo corso.
Per l’autodeterminazione, avanti fino alla cacciata degli occupanti francesi!
“Per fare la guerra, la classe dominante ha bisogno di mobilitare e intruppare parte delle masse popolari, ha bisogno del loro sostegno e della loro partecipazione attiva, che cerca elargendo promesse di vario tipo (prima fra tutte i benefici della ripartizione delle briciole dei proventi di guerra). Oggi la borghesia imperialista non ha nulla da promettere alle masse popolari e sicuramente non ha nulla da concedere loro. Anzi, è in grande difficoltà di fronte alla mobilitazione che le masse popolari conducono per far fronte agli effetti più devastanti della crisi e alla guerra di sterminio non dichiarata già dispiegata contro di loro.
La classe dominante non ha credito, non gode della fiducia delle ampie masse e non riesce a mobilitarle facilmente sul terreno di una guerra con “non è la loro”. La borghesia imperialista sa quali sono le condizioni in cui un’eventuale guerra imperialista inizia, ma non ha – né può avere – la benché minima certezza rispetto a come finirà (come dimostra tutta la storia del XX secolo e anche la recente, precipitosa, fuga degli USA dall’Afghanistan). La mobilitazione delle masse popolari è per l’azione della classe dominante la principale incognita e il principale deterrente”.
Lo abbiamo scritto sul numero scorso di Resistenza (“Guerra e rivoluzione”) e benché formalmente la rivolta corsa non abbia nessun legame diretto con la guerra in Ucraina, essa è una chiara dimostrazione di questo principio.