Accostare la Resistenza al nazifascismo e quanto accade in Ucraina è revisionismo storico funzionale alle manovre di guerra del governo Draghi: non facciamolo passare!
Uno degli argomenti più usati per giustificare le manovre di guerra del governo Draghi, le sanzioni alla Federazione Russa e l’invio di armi al governo di Zelensky, è il paragone tra la Resistenza italiana al nazifascismo e quanto sta accadendo in Ucraina. I giornali borghesi titolano: “Ucraini come i partigiani”. Nei dibattiti pubblici, politici e commentatori asserviti alla classe dominante argomentano: “così come è stato giusto in passato il sostegno degli angloamericani alla Resistenza in Italia, è giusto oggi il sostegno dell’Italia al governo ucraino”. Il corollario è: chi fa propri i valori della Resistenza non può che appoggiare la politica di sostegno del governo Draghi e della NATO alla “lotta del popolo ucraino contro l’invasore”.
La realtà è che questa non è nient’altro che propaganda di guerra, sono ragionamenti faziosi utili ad intorbidire le acque, a fare leva sui sentimenti antifascisti delle masse popolari per guadagnare consenso ai progetti di guerra degli imperialisti USA e UE. Non è possibile nessun paragone tra la lotta di Liberazione dal nazifascismo condotta nel nostro paese e l’attuale conflitto in Ucraina: sono eventi di natura diversa e anzi opposta.
La Resistenza al nazifascismo è stato il punto più alto raggiunto finora nel nostro paese dalla classe operaia nella sua lotta per il potere.
È stata una guerra preparata, promossa, organizzata e diretta dal PCI, che era il centro propulsore della coalizione di partiti antifascisti riuniti nel CLN. Senza i comunisti, senza il legame che essi avevano costruito con la classe operaia e le masse popolari in vent’anni di durissima lotta clandestina contro il regime fascista, senza l’esperienza maturata nella guerra di Spagna del 1936, senza la prospettiva rivoluzionaria che il PCI indicava ai lavoratori e che viveva nell’esempio dell’Unione Sovietica — senza tutto questo non ci sarebbe stata nessuna Resistenza.
La guerra di Liberazione fu il proseguimento della politica dei comunisti nei decenni precedenti. Una politica che non era semplicemente di difesa nazionale, ma rivoluzionaria, che mirava cioè ad abbattere il regime esistente e a condurre la classe operaia a prendere il potere. La Resistenza non fu solo una guerra contro l’invasore, fu lotta per sovvertire il sistema politico e sociale del paese; fu la guerra dei lavoratori italiani contro quella classe dominante che aveva voluto il regime fascista per reprimere nel sangue il movimento operaio, spaventata com’era dalla Rivoluzione d’Ottobre e dal Biennio Rosso degli anni 1919-20.
La stragrande maggioranza dei lavoratori vi ha preso parte convinta che fosse l’occasione per farla finita col fascismo, con i padroni che lo sostenevano, con lo sfruttamento e la miseria. La parte più avanzata vi partecipò con l’intenzione di “fare come in Russia”, di fare cioè la rivoluzione socialista. La Resistenza fu una lotta di massa della classe operaia, che vi contribuì con gli scioperi del ‘43 e ‘44 (gli unici nell’Europa occupata dal nazifascismo), con il sabotaggio sistematico dell’industria bellica, partecipando con i suoi elementi migliori alle brigate partigiane di montagna e di città e alla costruzione della rete di CLN in ogni azienda e rione popolare.
Data la forza della classe operaia in armi diretta dal PCI, gli imperialisti angloamericani non potevano condurre la campagna militare in Italia senza fare i conti con la Resistenza. L’hanno sostenuta militarmente ed economicamente, ma sempre in modo ambiguo, con l’obiettivo di tenerla sotto controllo: la loro preoccupazione principale era impedire che l’influenza dei comunisti si rafforzasse e si estendesse.
Se la Resistenza si concluse con l’occupazione del paese da parte degli USA e non con la rivoluzione socialista, fu per i limiti dei comunisti. La sinistra, la parte più dedita alla causa rivoluzionaria, non seppe elaborare una strategia per avanzare verso la rivoluzione dopo la vittoria sui nazifascisti. Lasciò così campo libero alla linea revisionista capeggiata da Togliatti, che si impose alla guida del partito, portando i comunisti a disperdere nel dopoguerra le posizioni conquistate con la Liberazione.
Al contrario la “resistenza ucraina” è promossa da un regime installato dagli imperialisti USA e dalla NATO nel 2014 con il colpo di Stato di Euromaidan all’interno della strategia di accerchiamento della Federazione Russa. Non ha obiettivi rivoluzionari, non punta a trasformare la società, a farla finita con gli oligarchi che hanno svenduto il paese agli imperialisti, a mobilitare la classe operaia e le masse popolari per la propria emancipazione. Al contrario, è alimentata da forze apertamente naziste e ha l’obiettivo di difendere il regime attuale e la sua politica, i cui punti fondanti sono: adesione dell’Ucraina alla NATO e all’UE; persecuzione delle popolazioni russofone e rifiuto dell’autonomia delle regioni del Donbass; persecuzione dei comunisti, dichiarati fuorilegge fin dal 2015. La vittoria di questa “resistenza” non porterebbe alla vittoria delle masse popolari ucraine, ma solo alla completa svendita del loro paese agli imperialisti USA e UE; si tradurrebbe in un aggravamento ulteriore della politica anticomunista e antipopolare in favore di forze dichiaratamente naziste.
Non esiste quindi alcun paragone possibile fra la Resistenza al nazifascismo nel nostro paese e quella promossa dal governo ucraino contro la Russia e non c’è nessuna legittimità nell’invio di armi italiane. Il sostegno del governo Draghi al governo ucraino è la manifestazione della sottomissione dell’Italia alla NATO e alla UE. L’invio delle armi è partecipazione alla guerra imperialista.
Riprendere il testimone che la Resistenza ci ha consegnato significa liberare il nostro paese proprio dal governo Draghi e dai poteri forti di cui esso è espressione; vuol dire liberarlo da chi alimenta la guerra imperialista e fa delle masse popolari (italiane, russe, ucraine, statunitensi, francesi, ecc.) carne da macello e da cannone.
“Dopo avere collaborato col regime fascista per anni, quando alla fine entrarono in guerra con esso, le loro truppe avanzarono nel nostro paese mettendolo a ferro e a fuoco, radendo al suolo città e paesi, saccheggiando e terrorizzando la popolazione mentre nel contempo lesinarono i rifornimenti ai partigiani, cercarono in ogni modo di mettere le formazioni partigiane l’una contro l’altra, di fomentare divisioni, di creare formazioni di disturbo e in generale di indebolire e liquidare il movimento partigiano, conducendo nei suoi confronti una guerra sorda e non dichiarata che culminò nel disarmo dei partigiani e nella persecuzione individuale di essi portata poi avanti dal regime DC e di tanto in tanto ripresa ancora anche ai giorni nostri”.
Il punto più alto raggiunto finora nel nostro paese dalla classe operaia nella sua lotta per il potere, Edizioni Rapporti Sociali, 1995, Milano