[FIRENZE] Organizzarsi e coordinarsi in ogni Ospedale per far fronte all’emergenza sanitaria e per cacciare il governo Draghi

Di seguito pubblichiamo un’intervista fatta ad un infermiere che lavora nell’ASL Toscana, che ci racconta le problematiche principali che hanno dovuto affrontare durante l’emergenza, le soluzioni che potevano essere attuate fin da subito e la lotta necessaria per far fronte alla situazione. Emergono bene delle soluzioni per condurre questa lotta: come la necessità di sviluppare un coordinamento della sanità per monitorare le mosse dell’azienda e unire le categorie di lavoratori che compongono il Sistema Sanitario Nazionale, o la promozione di interviste anonime (come la medesima, per preservare i lavoratori da eventuali attacchi dell’azienda) per raccontare all’esterno quello che succede dentro la sanità.

Invitando tutti i lettori a promuovere quanto scritto.

1) Dopo due anni di pandemia, le problematiche strutturali della sanità Toscana presenti anche prima sono peggiorate. Quali sono  le problematiche principali alle quali avete dovuto far fronte tu e i tuoi colleghi durante la pandemia, ma anche in questa fase dove avete perso giorni di stipendio per la burocrazia e la schizofrenia delle misure?

Dopo due anni di pandemia si può dire che le problematiche strutturali della sanità sono peggiorate, ma dobbiamo tener presente che la maggior parte di esse erano presenti anche prima dell’arrivo del Covid-19, anzi, la pandemia è stata utilizzata anche come scusa per giustificarle: “E’ una situazione d’emergenza, e quindi…”. 

La principale è che sono state trascurate tante altre malattie che inizialmente potevano essere meno emergenziali del Covid, ma che non curate hanno creato delle vere e proprie emergenze: è incalcolabile per esempio il numero dei malati di tumore che non sono stati curati o di interventi particolari come rivascolarizzazioni o interventi su problematiche croniche rimandati o non fatti per via dell’ “emergenza sanitaria”.  

Tra le varie problematiche, dirò qua solo le principali, ci sono anche le sospensioni dei colleghi a causa della misura del Green Pass. Questa è una misura che non condivido in nessuna maniera perché non è mai stata una misura sanitaria, oltretutto, ora che è finita la quarta ondata, non si capisce perché deve essere mantenuta. L’utilizzo del Green Pass a livello burocratico ha creato dei grossi problemi, perché nella sua attivazione molte persone sono state sospese anche se erano in regola con le vaccinazioni.

La disorganizzazione è stata totale, anche nella presa in carico dei pazienti positivi che dovevano essere seguiti dalle USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale), ma nei passaggi di consegna succedevano sempre dei problemi e molte persone sono rimaste a casa senza cure. Altra problematica, direi quella più classica che è presente oramai in quasi tutti i posti lavoro, è la carenza di personale che ha stressato, tra le altre cose, molti colleghi con turni massacranti e la privazione delle ferie.  

2) Queste problematiche hanno indignato migliaia di medici e infermieri, che sono stati anche licenziati o sospesi (attraverso i vincoli di fedeltà aziendali o misure simili). Quali sono le considerazioni principali che pongono i tuoi colleghi su questo?

La prima considerazione emersa, partendo dall’inizio della pandemia, è stata la preoccupazione dei colleghi, perché ci siamo ritrovati in prima linea con un virus che non si conosceva. Dopodiché, alla fine della prima ondata ma anche nella seconda, quando i Mass media parlavano di “eroi in corsia”, ci siamo sentiti finalmente importanti e considerati da questo sistema. Il problema grosso arriva adesso, un problema che c’è sempre stato: l’infermiere e il medico sanno perfettamente che non sono stati fatti dei reali investimenti nella Sanità e per questo sono molto indignati.

E’ vero che sono stati investiti dei fondi sul territorio, ma il problema è che manca chiarezza: ad esempio nella zona Toscana-Centro è nato il progetto dell’infermiere di famiglia poco prima della pandemia, che ha portato ad oggi ad avere un infermiere ogni 4000 persone, ma rimane il problema che sono state tolte altre risorse per esempio sulle cure palliative domiciliari. Quindi è vero che si è investito sul territorio, ma non è vero che si sono risolti i problemi del Sistema Sanitario.

Purtroppo c’è sempre una discrepanza tra quello che succede dentro alle strutture sanitarie è quello che poi passa al di fuori, questo anche perché sono vigenti i vincoli di fedeltà aziendale (articolo 2105 del codice civile) che rendono molto difficile al lavoratore criticare queste aziende: vieni sanzionato dall’ordine degli infermieri o dall’azienda stessa se provi a denunciare pubblicamente quanto accade, ed è indicativo vedere l’aumento dei richiami disciplinari dall’inizio della pandemia per capire cosa sta succedendo. I vertici aziendali hanno “bastonano” i lavoratori che non sono stati sempre accondiscendenti con le decisioni dell’azienda, nonostante i costanti racconti degli “eroi in corsia”.

Nell’ultimo periodo c’è stato un grosso cambio nelle dinamiche interne al pubblico e al privato. Prima del Covid, il pubblico era considerato un posto migliore per lavorare rispetto al privato, mentre ad oggi nel privato, più sguarnito di personale ma con più soldi stante tutti gli aiuti che gli ha versato lo Stato, si possono trovare delle situazioni migliori per lavorare, a differenza del pubblico che ha grosse carenze di fondi. Molti lo hanno capito e c’è in corso una vera e propria, anche se ancora piccola, migrazione al privato.

3) Come vi state organizzando sul posto di lavoro per invertire la rotta impressa dalla Regione e dal governo Draghi? Abbiamo visto che avete mandato una lettera all’ordine degli infermieri, ma avete fatto altre iniziative? Volantini per smuovere dal basso e dell’alto la situazione, interventi sui sindacati, altro?

Io faccio parte di USB e abbiamo scritto e mandato molti comunicati alla direzione che però non ci ha mai risposto, anche perché, essendo noi un sindacato di base e non confederale, non è tenuta a farlo.

Dal basso in verità non è stato fatto granché, anche se ora in vista delle elezioni delle RSU organizzeremo dei volantinaggi. Ho provato a far mettere uno striscione in solidarietà ai lavoratori della GKN nel posto dove lavoro ma senza riuscirci, e nel provare a farlo mi scontrato con un sentimento diffuso tra i lavoratori: la paura. Questo è un problema, nel momento in cui vogliamo parlare di organizzazione dal basso, perché dobbiamo considerare che la paura dei colleghi proviene principalmente dal trattamento che hanno dai vertici aziendali (come detto prima), i quali l’ultima cosa che vogliono è l’organizzazione dal basso dei lavoratori. Bisogna sfatare il mito che nel pubblico il lavoratore ha più voce in capitolo rispetto al privato, perché il pubblico negli anni si è trasformato in una vera e propria azienda, lo dice lo stesso nome della ASL (Azienda Sanitaria Locale).

Nelle lotte che conduciamo in azienda, mi sono accorto però che i colleghi non pongono particolari considerazioni su una visione generale del problema della sanità, sono molto legati a quanto dicono giornali, televisioni e le sigle sindacali di categoria: le rimostranze sindacali e le azioni dei singoli lavoratori sono principalmente atte a risolvere il loro piccolo problema. Questo è un momento in cui la coscienza di classe ancora non appartiene agli infermieri e ai medici, forse quest’ultimi di più degli infermieri, ma il livello è ancora molto basso. Noi proviamo a portare negli ospedali una narrazione generale di quello che succede, facciamo dei comunicati con il sindacato, ma sono ritagliati ancora a pochi lavoratori.

Nonostante tutto questo qualcosa si sta muovendo, soprattutto sul livello vertenziale. Abbiamo mandato una lettera all’ordine degli infermieri, in quanto ci avevano sospeso per cavilli burocratici:  tutti i lavoratori che non avevano fatto la terza dose sono stati sospesi, quando però la maggior parte di loro avevano avuto il covid e quindi non dovevano vaccinarsi nuovamente. Su questo c’è stato un ottimo movimento, però tendenzialmente, se non c’è la cosa grave, il casus belli, i lavoratori non protestano. Un dato però indicativo dell’indignazione dei lavoratori rispetto alla situazione, oltre a quello dei richiami disciplinari, c’è quello della richiesta di malattia, che secondo me è una forma di protesta che stanno utilizzando in tanti. Invece, la forma di protesta come lo sciopero, non si è mai radicata tra i lavoratori del sanitario, anche perché la nostra categoria non può fare gli scioperi, siamo precettati. Dobbiamo però dire che l’ultimo sciopero degli infermieri promosso dal sindacalismo di base e da quelli di categoria che si è tenuto il 28 gennaio di quest’anno, è stato uno dei più riusciti negli ultimi venti anni: i numeri sono bassi, solo 1% ha fatto sciopero, però è indicativo del movimento in corso.

4) Secondo il tuo punto di vista cosa doveva essere fatto dalle istituzioni per occuparsi realmente dell’emergenza sanitaria e perché non è stato fatto?

Partiamo dal presupposto che secondo me il punto di forza dei luoghi di lavoro sono proprio i lavoratori. Penso che doveva essere promossa la prassi assembleare, come si utilizza nei collettivi o nelle occupazione per prendere delle decisioni. E’ fondamentale per un posto come l’ospedale rendere più partecipi i lavoratori: alla fine loro sanno cosa è necessario fare. E’ vero anche, che in alcuni momenti è necessario avere degli ordini nazionali decisi dall’alto, ma la prassi assembleare come momento di discussione dal basso, poteva e doveva essere il metodo giusto da utilizzare per affrontare la situazione.

Altro aspetto, di cui giornali e telegiornali parlavano spesso, era la necessità di requisire la sanità privata per far fronte all’emergenza: c’è stata una grossa discussione durante la prima ondata, di quanto il privato avesse distrutto il Sistema Sanitario Nazionale che però nei fatti è rimasto solo a parola e niente nei fatti. Ad esempio, quando hanno mandato i lavoratori del pubblico a lavorare nelle RSA, l’ASL teoricamente doveva requisire la struttura per diventarne la coordinatrice.

5) Sarebbe importante secondo te costituire un coordinamento cittadino o regionale di medici e infermieri che monitorino e si occupino di quello che succede nella Sanità, che in prospettiva si organizzino con utenti, studenti di Medicina e con il resto delle masse popolari per farsi carico della lotta contro lo smantellamento dei servizi, per un lavoro utile e dignitoso (ad esempio lotta contro appalti) e prevenire nuovi disastri come quello visto con la pandemia?

Certo, sarebbe importante avere un coordinamento di lavoratori per creare dei momenti d’incontro reale tra i professionisti della Sanità. Ci viene detto fin dall’università e ripetuto continuamente, che il lavoro negli ospedali è multidisciplinare, un lavoro formato da equipe di professionisti che collaborano tra loro, e nei fatti è così: ci sono molte figure professionali che devono confrontarsi costantemente per capire come curare un paziente. Il problema è che c’è una chiara strategia dall’alto per dividerci. Questo si vede bene nella divisione fatta negli anni tra i contratti: i medici trent’anni fa sono usciti dal comparto con il loro contratto specifico, ed è quello che vorrebbero fare i sindacati di categoria anche con gli infermieri. Invece, secondo me, ci dovrebbe essere un grande contratto collettivo di tutti i lavoratori della Sanità, con poi una suddivisione in livelli.  Il coordinamento sarebbe importante per rendere vero questo lavoro di equipe che ci paventano all’università e che è osteggiato dai nostri datori di lavoro.

Secondo di poi è molto interessante promuovere un coordinamento che vada al di fuori dei posti di lavoro, perché c’è una grossa paura di dire la propria opinione a lavorare: per me è emblematico il fatto che sono riuscito a trovare più firme per il sindacato durante l’ora di pranzo alla mensa che durante l’orario di lavoro nei reparti (“A lavoro c’è il capo, mentre a mensa ci si sente più liberi”). Quindi unirsi ha senso anche per trovare la forza di dire le cose.

6) Il 26 marzo a Firenze il CdF GKN lancia una manifestazione nazionale per “insorgere e convergere” contro lo smantellamento dell’apparato produttivo del paese ma anche contro lo sfascio della società generato dal sistema capitalista: che cosa ne pensi?

La lotta della GKN è emblematica, perché fin da subito hanno detto che la loro lotta, deve essere la lotta di tutti, la lotta del lavoro in Italia. Beh, questo tipo di discorso all’interno delle strutture sanitarie è abbastanza complicato da fare. Parlando con i colleghi sembra quasi che la lotta della GKN sia differente dalla nostra lotta. Questo è determinato in grossa misura dai sindacati di categoria presenti nel comparto sanitario che puntano a dividerci, ma soprattutto dalla difficoltà per noi di portare fuori dai posti di lavoro le problematiche della sanità per renderle così una lotta di tutti.   

Tutte le grandi lotte, anche quelle degli studenti, sono state forti e hanno portato a delle conquiste nel momento in cui si muovevano altre categorie: “studenti e operai uniti nella lotta” penso sia la frase giusta da usare. Sono convinto che senza un’attenzione esterna a quello che succede negli ospedali sia davvero difficile promuovere un movimento allargato nella Sanità.

Il coordinamento in questo può dare una mano, oltre che per monitorare i finanziamenti alla sanità o controllare che vengano dati i dispositivi di sicurezza. E’ sicuramente un ottimo strumento, ma anche le interviste anonime come questa possono servire per raccontare quello che succede dentro gli ospedali.

Una nostra problematica è che non ci sono, come nel caso delle fabbriche, licenziamenti di massa, cioè dei casi emblematici dove dover intervenire uniti e organizzati. Quando questo è successo c’è stata un’ottima mobilitazione, come quando volevano chiudere il presidio sanitario di Santa Rosa a Firenze.

Nel sanitario siamo davvero un infinità tra infermieri, medici e Operatori Socio Sanitari, basterebbe trovare un punto di convergenza da portare fuori. Secondo me questo punto, ma lo pensa anche USB, è la riduzione dell’orario di lavoro, perché stare in reparto è davvero un lavoro stancante: devi stare molto attento a quello che fai onde evitare di fare dei danni ai pazienti. Inoltre, l’utilizzo del sindacato nella lotta è sicuramente un appoggio fondamentale, perché ti tutela di fronte all’azienda. E’ anche vero che nel momento in cui c’è un’organizzazione allargata dei lavoratori, a prescindere dal sindacato, è possibile fare molte cose. Secondo me dobbiamo ricordare ai lavoratori cosa è il sindacato, perché il sindacato non sono i vertici, il sindacato lo fanno i lavoratori dal basso.   

Ricordiamo la partecipazione alla mobilitazione nazionale chiamata dal collettivo di Fabbrica GKN che terrà a Firenze il 26 marzo. La lotta del collettivo di fabbrica ci insegna molte cose, tra cui la necessità di organizzarci dal basso, partendo anche in pochi, per far fronte alle problematiche immediate e a quelle future.

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