Molti compagni, tra i delegati sindacali, lamentano lo svuotamento del loro ruolo, la passività e il distacco dei lavoratori dal sindacato. Spesso vedono nella “poca coscienza politica” la causa di questo allontanamento, ma loro stessi ammettono che di fatto la loro attività è limitata alla “ratifica” e al riversamento delle decisioni prese dal nazionale. È normale dunque che il loro rapporto con i lavoratori sia sfibrato e che si chiedano cosa poter fare. In altri casi invece si concentrano sui limiti delle dirigenze sindacali e non si fanno forza sul legame con lavoratori e lavoratrici per cambiarla.
L’esempio del Collettivo di Fabbrica della GKN in questi mesi ha dato un insegnamento chiaro: per difendere i posti di lavoro e cambiare le condizioni lavorative, per passare all’attacco e cambiare i rapporti di forza il primo passo è che ogni azienda deve diventare una roccaforte di questa battaglia. In ogni azienda bisogna costruire un collettivo di lavoratori. I delegati sindacali possono assumere un ruolo in questo e per farlo devono partire proprio dai lavoratori e dalle lavoratrici nel proprio posto di lavoro. Anche in autonomia dalla dirigenza del proprio sindacato, aderendo a scioperi e manifestazioni, organizzando assemblee sul luogo di lavoro.
L’esperienza di una compagna delegata sindacale CGIL nell’ambito della preparazione delle tappe dell’8 marzo (festa internazionale della donna) e del 26 marzo (manifestazione nazionale indetta dalla GKN):
“Il tema dello sciopero dell’8 marzo per me è una questione molto importante. Da anni mi batto affinchè in quella giornata il sindacato di cui faccio parte aderisca allo sciopero. Negli ultimi anni mi sono adoperata quindi in prima persona per proclamare sciopero nel mio comparto, a livello territoriale, e per coinvolgere in maniera più ampia possibile le lavoratrici e i lavoratori. Quest’anno in vista dell’8 marzo ho organizzato un’assemblea nella mia unità produttiva. L’ho fatto per presentare lo sciopero e le motivazioni per cui scioperare. All’interno di queste assemblee ho inserito anche la discussione sulla partecipazione alla tappa del 26 marzo, la manifestazione nazionale indetta dal Collettivo di fabbrica della GKN. Queste sono due date infatti che sono legate perché vogliamo lavorare in condizioni di parità, ma vogliamo lavorare anche perché sia un lavoro utile per il paese. La risposta alle assemblee che ho fatto francamente non è stata quella che mi sarei aspettata in termini di adesione allo sciopero. L’aspetto positivo che è emerso dalle assemblee è stata però la richiesta da parte di una lavoratrice di tradurre le motivazioni dello sciopero dell’8 marzo all’interno del nostro posto di lavoro. Questo ci ha permesso di declinare, in un documento, la disparità di genere all’interno del nostro comparto e sui luoghi di lavoro. Il documento è stato inoltrato all’azienda nei giorni successivi alla data dello sciopero. È stato un risultato concreto che tocca temi importanti come il part time e lo smart working.Credo che ci sia ancora molto da fare. Affinché l’8 marzo diventi davvero lo sciopero di una marea di donne, bisogna che prendano coscienza le grandi confederazioni, come successo in Spagna. Allora potremo andare dalle lavoratrici e dai lavoratori, portarle in piazza a difendere le nostre idee, perché senza transfemminismo c’è solo la barbarie e perché anche al lavoro non siamo sole, ma a volte non ce ne rendiamo conto.”
Alla compagna e ai tanti compagni sindacalisti, diciamo che la strada delle assemblee e della spinta alla partecipazione dal basso è quella giusta da percorrere e anche per fare in modo che uno sciopero sia un vero sciopero e che possa essere generale. Proprio l’esperienza della GKN sta insegnando che chi può fare in modo che scioperi generali vengano proclamati sono i lavoratori e le lavoratrici organizzati! Non c’è sabotaggio degli organi dirigenti che tenga quando sono loro a muoversi. C’è bisogno che emerga una nuova classe dirigente ed è questa che deve sostituire quella attuale!
Il primo passo deve avvenire dentro ogni azienda. I delegati e le delegate devono mettersi a riunire i propri colleghi e strutturare un gruppo sul modello di quello del Collettivo di Fabbrica. Un gruppo di lavoratori che sa quali sono i problemi dentro l’azienda, li pone e diventa sempre più partecipe nel risolverli.
Come fare?
Anche in questo caso degli insegnamenti vengono da un esponente del Collettivo di fabbrica delegato sindacale:
I sindacalisti dentro un’azienda devono:
1. accettare o meno accordi sindacali in base all’obiettivo di fare l’interesse di tutti i lavoratori e non spaccare il fronte dei lavoratori (no a accordi che aprono a distinzioni ad esempio tra interni ed esternalizzati). È così che acquistano autorevolezza.
2. Non accontentarsi della fiducia passiva degli iscritti o degli altri lavoratori. Devono rompersi la testa dentro il posto di lavoro e battere senza sfiduciarsi per fare assemblee, per creare delegati di raccordo in modo da coinvolgere e allargare, e fuori dal posto di lavoro con iniziative, anche ricreative (ad esempio cene). Questo è il modo per avere un sindacato partecipato e non di delega.
3. Coinvolgere nelle assemblee tutti i lavoratori, chiarendo che “non importa se hai la tessera o non hai la tessera, partecipiamo tutti all’assemblea e capiamo quali sono i problemi della fabbrica”.
4. Per coinvolgere i lavoratori il più possibile, incontrarli fuori dall’azienda: vedere uno, due o tre colleghi per un caffè e chiedergli cosa non va. Bisogna rompere con la figura del sindacalista che pensa di essere rappresentativo solo candidandosi e svolgendo un ruolo burocratico di rappresentanza. Quello non rappresenta nessuno.
La partecipazione o l’adesione alla manifestazione del 26 marzo a Firenze è già un’occasione per iniziare questo lavoro, come dimostra l’esperienza della compagna. È occasione per presentare la manifestazione, ma lo è anche per parlare dei problemi sul proprio posto di lavoro e per chiedere a tutti i lavoratori “voi come state?” e quindi quali sono i loro problemi sul lavoro e perché secondo loro aderire il 26 marzo.
Non importa da quanti si parte. Si parte dal basso e si parte in pochi. È necessariamente così.
Bando alla sfiducia che ci frena! La strada non è semplice ma è del tutto percorribile e dipende solo da noi!