Il governo Draghi ha trascinato l’Italia nella guerra della Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti USA-UE e sionisti contro la Federazione Russa. Il primo passo per combattere la guerra imperialista è che gli operai si organizzino e mobilitino in ogni azienda: ne sono un esempio i lavoratori dell’aeroporto di Pisa e quelli del CALP di Genova.
La denuncia, la mobilitazione, lo sciopero sono armi potenti nelle mani di tutti gli operai per ostacolare le manovre di guerra del governo Draghi.
Proprio nel mese di marzo ricorrono gli anniversari degli scioperi operai del 1943 e del 1944 sotto il regime fascista. Con quegli scioperi la classe operaia del nostro paese (con alla testa il PC clandestino) ha affermato con forza che non avrebbe più accettato il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro, la guerra al soldo di Mussolini e l’occupazione dei nazisti.
Oggi, come nel marzo del ‘43 e del ‘44, noi comunisti chiamiamo voi operai a organizzarvi e mobilitarvi. Solo gli operai organizzati possono concretamente boicottare la guerra.
Come fare? La storia può essere maestra di vita!
Ripercorriamo i principali avvenimenti di quel periodo storico perché ricco di insegnamenti:
- per organizzarsi e mobilitarsi nei posti di lavoro non occorre che tutti gli operai siano comunisti, ma occorre che i comunisti si mettano alla testa della loro organizzazione, mobilitazione e coordinamento;
- anche un solo gruppo di operai, ma decisi a lottare con continuità, dà fiducia e apre la strada alla mobilitazione di altri gruppi operai;
- il partito comunista clandestino, con una giusta linea, può mettersi alla testa della classe operaia organizzata;
- ogni forma di governo della borghesia è costretta a concedere se messa alle strette dalla classe operaia organizzata.
Avanti quindi, bando alla paura e alla rassegnazione, organizziamoci e lottiamo fino alla vittoria!
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Tra il 1942 e il 1943 l’Italia era un paese nel baratro della guerra e della dittatura terroristica. In conseguenza della guerra, il costo della vita era aumentato del 50% e i generi alimentari essenziali erano razionati. Le condizioni di lavoro nelle fabbriche, il grosso delle quali produceva direttamente o indirettamente per la guerra, erano massacranti. Quella che doveva essere una “guerra lampo” durava già da tre anni e si contavano un milione tra morti, feriti e prigionieri (le perdite civili superavano le 100 mila persone).
È in queste condizioni, e sulla spinta delle vittorie conseguite dall’Armata rossa in particolare a Stalingrado, che nel marzo ‘43, in pieno regime fascista, scioperarono più di 130 mila operai del nord Italia. Fu il primo esempio continentale di sciopero generale sotto la dominazione nazifascista. “Avanguardia della lotta è la Fiat-Mirafiori, con 21000 operai guidati da 80 comunisti, che inizia l’azione il 5 marzo. Da lì la lotta, nei giorni successivi e per oltre un mese, passerà nelle altre officine torinesi e piemontesi: il 24 marzo raggiungerà Milano e il Nord-Est d’Italia e, con l’aprile, il resto della penisola. In generale si tratta di scioperi attuati sul posto di lavoro, di breve durata, intermittenti e ripetuti continuamente nelle settimane successive per oltre un mese con la tattica dello sciopero “a singhiozzo”. Niente possono ne la repressione fascista, né le blandizie (ndr lusinghe) dei sindacati fascisti”. Le parole d’ordine erano economiche ma anche politiche: pane, pace e libertà. “Le rivendicazioni sono […] il caro-vita, l’aumento delle razioni base; ma insieme si chiede la pace, la fine del fascismo e della guerra e la liberazione dei compagni arrestati.” Alla direzione delle lotte, nella completa clandestinità, era il Partito Comunista, con la diffusione della stampa clandestina (l’Unità), di manifestini e con la comunicazione orale delle parole d’ordine da reparto a reparto.
Il regime fascista reagì ordinando la fucilazione degli operai più combattivi, ma la polizia, in una situazione di generale ingovernabilità, riuscì solo a fare qualche arresto. Così Mussolini il 2 aprile fu costretto ad aumentare stipendi e salari, sotto la spinta della montante lotta operaia che aveva pressoché paralizzato l’intera produzione bellica. Gli scioperi non riuscirono ad andare oltre, ma già si trattò di una vittoria clamorosa: avrebbero infatti segnato l’inizio della fine del regime fascista.
Nel caos generale, il re e una fronda dei capi fascisti organizzano un colpo di stato, il governo viene assunto dal generale Badoglio, che prende contatti con gli angloamericani per negoziare la resa. Badoglio resterà in carica per 45 giorni, dal 25 luglio all’8 settembre del ’43. Già a fine luglio e nell’ agosto ripresero gli scioperi. Ovunque c’era fermento. Gli operai chiedevano che venissero allontanati dai reparti aguzzini, spie e “compagni di lavoro” che fino al giorno prima avevano reso il regime di fabbrica un inferno in nome della loro “fede” fascista. Chiedevano inoltre la ricostituzione delle Commissioni interne (ndr forme di organizzazioni operaie ) e la liberazione dei prigionieri politici del regime. La risposta del governo Badoglio vide una durissima repressione (in 45 giorni 93 morti, 536 feriti e 2.276 arrestati), ma le vittime sarebbero state molte di più se grossa parte dei soldati non si fosse rifiutata di sparare sugli operai.
Nel settembre del ‘43 l’Italia firma l’armistizio con gli alleati. Il Re e Badoglio fuggono da Roma e si rifugiano a Brindisi. In ottobre il governo Badoglio dichiara guerra alla Germania. Il PCI – su direttiva arrivata da Mosca – inizia la Resistenza antifascista. Si costituisce il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) formato da PCI, PSIUP (solo più tardi diventerà PSI), Partito d’azione, DC, liberali e repubblicani. I nazisti occupano l’Italia settentrionale e Roma, gli angloamericani controllano l’Italia meridionale e le isole. Mussolini forma a Salò la Repubblica Sociale Italiana, Stato fantoccio del Reich nazista.
In questo contesto, gli scioperi operai riprendono dai primi di novembre del ‘43 e raggiungono l’apice nella primavera del ‘44.L’agitazione del marzo ‘44 non nacque improvvisa, ma fu costruita con due mesi di preparazione dai Comitati segreti d’agitazione (ndr forme di organizzazioni operaie segrete), quasi tutti promossi da comunisti, in stretta unione ai CLN. Dal 1° all’8 marzo 1944, esattamente un anno dopo i grandi scioperi del ’43 che avevano concorso alla caduta del fascismo, scendono in sciopero gli operai dell’Italia occupata. Secondo i dati degli organizzatori già il 1 marzo si hanno 100mila astensioni, con epicentro a Milano e Torino, che salgono a 200mila il secondo giorno. Il 3 marzo gli scioperanti sono ormai 150mila in Piemonte, 350mila in Lombardia e ed un altro centinaio di migliaia nel Veneto, Emilia e Toscana. Si trattò di uno sciopero generale economico e politico: pane, salario, liberazione dei prigionieri politici, fine delle deportazioni in Germania, no alla produzione bellica per i tedeschi (“Né un operaio, né un giovane, né una macchina devono andare in Germania!”), sostegno alle bande partigiane in formazione. Né fascisti, né SS furono in grado di fronteggiare questo ammutinamento operaio: sarebbero stati necessari per la repressione nelle retrovie interi Corpi d’Armata tedeschi che i nazisti non erano in grado di distogliere dal fronte. Lo sciopero si allarga dalle fabbriche, ai mezzadri e ai braccianti, ai servizi pubblici (tramvieri e ferrovieri), a grandi masse di donne e agli universitari. Ma soprattutto si salda con il movimento partigiano che, con brigate di montagna, GAP e SAP in città, interviene in appoggio militare agli scioperanti, sabotando le ferrovie e le strade e difendendo le fabbriche. Quando l’8 marzo i Comitati segreti di agitazione dispongono la ripresa del lavoro, gli scioperanti sono ormai a 1.200.000 e la fine dello sciopero segna l’inizio della mobilitazione operaia per la guerriglia e il sabotaggio di massa delle fabbriche: “la cessazione dello sciopero deve segnare l’inizio di una guerriglia partigiana con l’intervento di tutte le masse lavoratrici dentro e fuori dalla fabbrica…Alle forze brutali del nemico dobbiamo contrapporre le numerose e solide forze dei lavoratori. Il sabotaggio nelle fabbriche deve essere l’azione quotidiana e crescente che i lavoratori dovranno sviluppare”.
Tutte le citazioni riportate nel testo sono prese da “Proletari senza rivoluzione” di Renzo Del Carria, Edizioni FIP