Esattamente un anno fa, su Resistenza denunciavamo che l’installazione di Draghi era una manovra per portare più a fondo l’attacco ai diritti e alle conquiste delle masse popolari e facevamo appello a mobilitarsi subito per cacciarlo, senza aspettare di metterlo alla prova.
Un anno fa le mobilitazioni furono poche e comunque non sufficienti a creare una situazione di ingovernabilità tale da spingere Draghi alle dimissioni, un obiettivo sì ambizioso, ma del tutto possibile.
I motivi della scarsa mobilitazione furono vari: una martellante propaganda di regime pro Draghi, un diffuso smarrimento per le porcate a cui si è prestato in parlamento il M5S, il sostegno alla manovra da parte dei vertici dei sindacati di regime (con la CGIL di Landini in testa), le titubanze del sindacalismo di base, le paure legate alla pandemia, ecc. Ma il limite principale fu, essenzialmente, la mancanza di un’alternativa politica. “Cacciare Draghi” va bene! Ma per sostituirlo con chi?
A un anno di distanza, il governo Draghi è stato messo ampiamente alla prova e i motivi per cui sarebbe stato necessario impedire la sua installazione sono tutti confermati.
A un anno dal suo insediamento, Draghi ha in qualche modo “consolidato” il suo governo. Tuttavia la principale causa della sua debolezza e instabilità permane: ha sì la maggioranza in parlamento e la fiducia degli imperialisti USA, dei sionisti, degli imperialisti UE, del Vaticano, delle organizzazioni criminali e dei comitati d’affari che si spartiscono il paese, ma non ha né la fiducia né il sostegno dei lavoratori e delle masse popolari. Inoltre anche le contraddizioni interne alla Santa Alleanza che lo sostiene si sono ulteriormente aggravate (vedi l’Editoriale).
Oggi si ripresenta, con maggiore forza rispetto a un anno fa, la questione di una soluzione di governo alternativa a Draghi e alle Larghe Intese. Si fa più stringente la costituzione di un governo di emergenza delle masse popolari organizzate.
Cacciare Draghi, ok. Ma se si lascia alla classe dominante la possibilità di sostituirlo con un altro funzionario del capitale il corso disastroso su cui è avviato il paese non cambierà. Quindi, che fare?
Bisogna creare una situazione tale per cui la classe dominante non riesce più a governare il paese: vuol dire che le aziende, i servizi, la circolazione delle merci funzionano poco e male (secondo il principio per cui tutto quello che funziona, non funziona perché lo dicono i capitalisti, i padroni e le loro autorità, ma perché i lavoratori lo fanno funzionare); vuol dire che si diffondono forme di disobbedienza alle leggi antiproletarie, violazioni dei divieti, insubordinazione alle autorità borghesi; vuol dire che l’iniziativa degli organismi operai e popolari sostituisce l’inerzia delle autorità borghesi verso quelle attività che non vengono più curate perché non generano profitto; vuol dire, ancora, il rifiuto organizzato di sottomettersi ai ricatti economici, alle rapine legalizzate e alle estorsioni del carovita.
“Ma sarebbe il caos!” dice qualcuno. No, sarebbe il disordine organizzato, necessario per riportare un nuovo ordine, basato sugli interessi dei lavoratori e delle masse popolari.
Pur di riportare l’ordine, la classe dominante sarà costretta a ingoiare ciò che gli organismi operai e popolari le impongono, anche un governo composto dagli esponenti in cui le masse ripongono la loro fiducia.
Certo, la classe dominante cederà con l’idea di riprendersi tutto appena “si calmano le acque” e non far calmare le acque è uno specifico lavoro da fare, ma questo è un discorso che non affrontiamo ora.
Qui affrontiamo cosa significa rendere ingovernabile il paese, alimentando e orientando la mobilitazione delle masse popolari. Alcuni esempi.
In un contesto di fermento generale, le mobilitazioni e le proteste si moltiplicano spontaneamente. Il pezzo in più che dobbiamo e possiamo aggiungere, che indichiamo ai comunisti e agli organismi d’avanguardia di aggiungere, è il coordinamento. Bisogna coordinare azioni di disobbedienza alle autorità borghesi, di violazione organizzata di restrizioni e divieti.
Le azioni individuali o di piccoli gruppi hanno il pregio di mostrare che ribellarsi è possibile, ma hanno il limite di tradursi in azioni scarsamente influenti. Coordinare la disobbedienza è più difficile, ma ha tre grandi pregi: costringe chi la promuove a superare il settarismo, consente di condurre in porto azioni più efficaci, educa all’organizzazione.
In un contesto di generale difficoltà dovuta al carovita il malcontento cresce. Questo è inevitabile. Il pezzo in più da mettere è portare il malcontento sul piano della protesta organizzata. Manifestazioni e presidi sono un primo traguardo. Si può aggiungere ancora un pezzo: organizzare l’autoriduzione delle bollette. Sembra una strada impervia, ma il movimento popolare del nostro paese l’ha già percorsa in passato, con il risultato che gli organismi che hanno promosso l’autoriduzione sono diventati punto di riferimento per le masse popolari, più autorevoli delle autorità borghesi.
In un contesto di diffuso e crescente disagio occupazionale (per i licenziamenti, il ricorso alla cassa integrazione, per le sospensioni a causa del Green Pass, per l’aumento della disoccupazione) molti lavoratori vengono staccati dal loro collettivo naturale di riferimento e spesso sono abbandonati a loro stessi dalle organizzazioni sindacali. Questi lavoratori vanno organizzati non solo nelle proteste, ma anche in iniziative come gli scioperi al contrario per:
– svolgere lavori socialmente utili di cui gli enti e le autorità borghesi si disinteressano e lottare perché vengano riconosciuti e pagati;
– organizzare il reperimento e la distribuzione di alimenti e generi di prima necessità (sull’esempio delle brigate volontarie per l’emergenza che hanno operato durante il lockdown);
– coordinarsi con altri organismi operai e popolari e diventare un ingranaggio della rete di organizzazioni che promuovono la mobilitazione contro gli effetti della crisi (occupazioni di case e di spazi, resistenza agli sgomberi, ecc.).
Ogni lettore che si pone l’obiettivo di contribuire a questo movimento, troverà altre mille forme e modi per alimentare l’ingovernabilità del basso a partire dal suo contesto, dalla sua zona, dalle caratteristiche degli organismi operai e popolari con cui è in relazione. Il fulcro del discorso è fare della protesta uno strumento per l’organizzazione e una scuola di organizzazione.
Dopo un anno di “ricetta della Troika” e di effetti del programma comune della borghesia imperialista, le masse popolari sono spinte a mobilitarsi. Sono costrette a farlo, mandando a quel paese tutti quelli che le hanno convinte a starsene buone in casa in attesa di un ritorno alla normalità che non arriva mai.
Quando arrivano le bollette del gas e dell’energia elettrica raddoppiate o triplicate, quando campi con uno stipendio di mille euro – se va bene –, quando vivi con l’angoscia di perdere il lavoro da un momento all’altro, quando sei costretto a mostrare un documento illegale per entrare in fabbrica o in biblioteca, quando “devi” fare le scarpe a chi è sulla tua stessa barca per cercare di non perdere il poco che hai (ecco cosa succede quando i diritti diventano privilegi) la tua vita e quella di chi sta come te diventa un inferno peggiore di quello che era già.
La normalità è che tutto va peggio, è l’abitudine a centinaia di morti al giorno per una pandemia che in altri paesi è ampiamente sotto controllo, è la rassegnazione di fronte ai morti sul lavoro e adesso anche al fatto che a morire nelle aziende siano dei ragazzini di soli 16 o 18 anni mandati al macello con la scusa di insegnar loro un mestiere.
Le masse popolari non hanno nessun interesse a tornare a questa normalità perché questa normalità è assuefazione agli effetti di quella guerra di sterminio non dichiarata che la classe dominante conduce ogni giorno contro le masse popolari.
La campagna del PRC contro il carovita
Da inizio febbraio il PRC sta promuovendo una mobilitazione nazionale contro il carovita attraverso presidi e una raccolta firme.
È un’iniziativa positiva, che crea condizioni favorevoli all’unità d’azione dei comunisti e favorisce la costruzione di legami più solidi e ampi con le masse popolari.
L’aumento delle bollette e dei prezzi è un problema che si somma a tutti gli altri già esistenti e li aggrava, spinge le masse popolari a mobilitarsi. I comunisti devono porsi alla testa di questa mobilitazione e incanalarla nel solco della rivoluzione socialista.
Proteste, banchetti, presidi e raccolta firme sono un ottimo inizio, ma da soli non bastano a respingere l’attacco di Draghi e del suo governo asservito alla NATO, alla UE e al Vaticano.
Una strada per rafforzare e sviluppare quello che i compagni e le compagne del PRC hanno iniziato è mettere assieme i contatti raccolti ai presidi e organizzare comitati contro il carovita, che promuovono manifestazioni, organizzano autoriduzioni e scioperi delle bollette, impongono alle amministrazioni locali di calmierare i prezzi del gas, della luce, della benzina.