Non un uomo, non un soldo, non un metro di terra italiano per la guerra imperialista. Ogni manovra dei gruppi imperialisti USA e dei loro burattini conferma la necessità – e alimenta le condizioni – di avanzare nella liberazione del paese dalla NATO, dalla UE, dal Vaticano e dai capitalisti. 

L’imperialismo non è un “atteggiamento” o “una condotta” di un governo o di un paese: è una specifica fase del capitalismo, quella in cui tutte le contraddizioni proprie del modo di produzione capitalista degenerano. È l’epoca della guerra imperialista, ma è più corretto dire che è l’epoca della rivoluzione socialista poiché o la rivoluzione socialista anticipa e scongiura la guerra imperialista oppure la guerra imperialista sfocia nella rivoluzione socialista.
Conduciamo da anni una lotta contro le posizioni di chi sostiene che “oggi non ci sono le condizioni per la rivoluzione socialista” perché le condizioni oggettive per la rivoluzione socialista sono esattamente le stesse che alimentano la guerra imperialista. 
La guerra imperialista non scoppia. È una tendenza che serpeggia nella società capitalista e assume mille forme, nei conflitti regionali, nella guerra economica, commerciale, monetaria fra le fazioni della classe dominante mondiale, fra gruppi imperialisti. Ma è inevitabile e si sviluppa senza che niente e nessuno possa davvero fermarla. Procede per salti, picchi (le numerose “crisi internazionali”) e brevi periodi di tregua. 
Neanche la rivoluzione socialista scoppia. È anch’essa una tendenza che serpeggia nella società e che può esprimersi e dispiegarsi compiutamente solo quando alle condizioni oggettive corrispondono anche quelle soggettive. La condizione essenziale è che ci sia il partito comunista che la dirige come una guerra, la guerra popolare rivoluzionaria della classe operaia e delle masse popolari contro la borghesia imperialista. 
Pertanto ogni “balzo” verso la guerra imperialista è prima di tutto la manifestazione della possibilità e della necessità di avanzare nella rivoluzione socialista. 

La scintilla che scatena una guerra di portata mondiale, come potenzialmente è quella fra gli imperialisti USA e la Federazione Russa, è per tutta la borghesia imperialista un “salto nel buio” dall’esito e dalle conseguenze incerte. Non solo e non tanto rispetto allo svolgimento del conflitto in sé (che per il ruolo delle parti in causa non può restare circoscritto), ma perché esso farebbe saltare tutti “gli equilibri” e le alleanze internazionali.
Prendete il caso della Germania: i gruppi imperialisti tedeschi hanno sviluppato solide relazioni economiche e commerciali con la Federazione Russa, senza contare che dalle forniture di gas russo dipendono la grande maggioranza dei paesi della UE. Ma, cosa più importante, un simile conflitto aprirebbe in ogni paese imperialista, proprio a partire dagli USA, un fronte interno di guerra: quello delle proteste, delle mobilitazioni e ribellioni delle masse popolari contro i governi dei rispettivi paesi. Approfondiamo.
Per “fare la guerra”, la classe dominante ha bisogno di mobilitare e intruppare parte delle masse popolari, ha bisogno del loro sostegno e della loro partecipazione attiva, che cerca elargendo promesse di vario tipo (prima fra tutte i benefici della ripartizione delle briciole dei proventi di guerra). Oggi la borghesia imperialista non ha nulla da promettere alle masse popolari e sicuramente non ha nulla da concedere loro. Anzi, è in grande difficoltà di fronte alla mobilitazione che le masse popolari conducono per far fronte agli effetti più devastanti della crisi e alla guerra di sterminio non dichiarata già dispiegata contro di loro.
La classe dominante non ha credito, non gode della fiducia delle ampie masse e non riesce a mobilitarle facilmente sul terreno di una guerra con “non è la loro”. 
La borghesia imperialista sa quali sono le condizioni in cui un’eventuale guerra imperialista inizia, ma non ha – né può avere – la benché minima certezza rispetto a come finirà (come dimostra tutta la storia del XX secolo e anche la recente, precipitosa, fuga degli USA dall’Afghanistan). La mobilitazione delle masse popolari è per l’azione della classe dominante la principale incognita e il principale deterrente. 


Per quanto riguarda il nostro paese, la “situazione ucraina” è solo un’ulteriore conferma della necessità di togliere di mezzo Draghi, il suo governo e il sistema politico delle Larghe Intese, asservito alla UE e alla NATO. Mettono il paese alla mercé della NATO e degli interessi degli imperialisti USA quindi vanno cacciati.
L’ostacolo alla mobilitazione dispiegata della classe operaia e delle masse popolari contro la guerra imperialista, denunciato a più riprese da organismi ed esponenti della sinistra borghese, più che un limite è un’occasione per riflettere, trarre bilancio dall’esperienza e insegnamenti sul che fare oggi.
Nel nostro paese le ultime grandi mobilitazioni contro la guerra si sono svolte nel 2001 (guerra in Afghanistan) e nel 2003 (guerra in Iraq): esse hanno coinvolto milioni di persone. Quelle persone ora sono restie a mobilitarsi. Fra i motivi vi è il fatto che le mobilitazioni del 2001 e del 2003 sono state sconfitte. Non perché fossero sbagliate, ma perché impugnavano parole d’ordine inadeguate rispetto alle contraddizioni e alle sfide dei tempi: non basta “essere per la pace” in un mondo governato dalle leggi del profitto e dalle organizzazioni terroristiche dei capitalisti, bisogna rovesciare il mondo affinché sia governato dalle organizzazioni dei lavoratori associati. E oggi, tornando al discorso iniziale, la sola prospettiva di mobilitazione efficace contro la guerra è quella che pianta le radici nella mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari, che fa sue le parole d’ordine: NO all’imperialismo, Sì al socialismo; trasformare la guerra imperialista in guerra popolare rivoluzionaria. 

L’Italia è un paese in guerra. Le forze occupanti del nostro paese ci trascinano apertamente nella guerra commerciale contro i paesi che non si sottomettono alla Comunità Internazionale degli imperialisti (come nel caso della Repubblica Popolare Cinese) e nelle manovre militari della NATO (come nel caso dell’accerchiamento militare della Federazione Russa). Allo stesso tempo le forze occupanti conducono una guerra di sterminio non dichiarata contro le masse popolari del nostro paese.
Lorenzo Parelli, lo studente di 18 anni morto in una fabbrica in provincia di Udine dove svolgeva l’alternanza scuola-lavoro (manovalanza gratis per i padroni), è una delle tante vittime di questa guerra non dichiarata.
I 4 morti al giorno sui posti di lavoro, le migliaia di feriti e di invalidi, i quasi 150mila morti “per la pandemia”, a cui si sommano i morti per le malattie non curate, le decine di migliaia di morti per inquinamento, le vittime della violenza prodotta dal degrado materiale e morale, dalla miseria dilagante, dall’alcolismo, ecc. sono le vittime di una “guerra di classe” di cui lo Stato, le istituzioni e le autorità borghesi sono direttamente responsabili.
Il nemico ce lo abbiamo in casa e parla la nostra stessa lingua. Non indossa divise militari, ma la giacca e la cravatta dell’“uomo d’affari”. Parla di progresso, civiltà e bene comune, ma si comporta come un esercito occupante che distrugge e saccheggia.
Da “Il compito storico in un paese occupato” – Resistenza n. 2/2022

Non un uomo, non un soldo, non un metro di terra italiano per la guerra imperialista. Soffiano i venti di guerra e verrà la guerra se non sapremo trasformare quei venti di guerra nel vento della rivoluzione socialista. Allora verrà la rivoluzione. I “potenti del mondo” possono fare tutti i piani che vogliono, ma senza la mobilitazione organizzata delle ampie masse non possono nulla. Al contrario, le masse popolari organizzate possono tutto e senza i capitalisti fra i piedi possono farlo anche meglio.
Ogni manovra dei gruppi imperialisti USA e dei loro burattini conferma la necessità – e alimenta le condizioni – per avanzare nella liberazione del paese dalla NATO, dalla UE, dal Vaticano e dai capitalisti. 

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