Nel disordine deve emergere una nuova classe dirigente

Siamo a Cosenza, dove il 19 febbraio si svolge una tappa dell’Insorgiamo Tour del Collettivo di Fabbrica (CdF) della GKN di Firenze per promuovere la manifestazione nazionale del 26 marzo (vedi articolo a pag. 8). Dice Dario Salvetti del CdF:
“Proprio ora che non siamo più sotto la scure dei licenziamenti, ancora e più di prima, la nostra non è una mobilitazione contro i licenziamenti in tronco, ma contro il sistema che crea le condizioni dei licenziamenti in tronco. Ed è una mobilitazione più complessa, perché abbiamo sconfitto i licenziamenti, ma siamo in una fabbrica ferma a causa delle delocalizzazioni, del disimpegno di Stellantis dalle automotive, falcidiati dal carovita… La nostra fabbrica poteva essere salvata con un progetto di polo pubblico della mobilità sostenibile, invece siamo in una fabbrica ferma, all’interno di un mondo che continua a non piacerci e che negli ultimi sette mesi è ulteriormente peggiorato.
Il 26 marzo è una data che non deriva da nessuna emergenza. L’abbiamo scelta perché il giorno prima ci sarà la mobilitazione generale per il clima: uscirà una dichiarazione congiunta firmata con Friday For Future sul fatto che le mobilitazioni del 25 e del 26 marzo sanciscono la saldatura definitiva fra la questione sociale e la questione ambientale, la fine del ricatto per cui per portare “il Green” si giustifica il massacro sociale (…).

Di fronte alle lettere di licenziamento non abbiamo avuto nessun’altra alternativa alla mobilitazione. Ma non abbiamo detto “la GKN non si tocca” perché sarebbe stato egoista… come se gli altri posti di lavoro si potessero invece toccare. Abbiamo detto “Insorgiamo”!
Lo sappiamo che non ci sono le condizioni tecniche per un’insurrezione. Quello che intendiamo è che per salvare ogni singola fabbrica bisogna ribaltare i rapporti di forza dell’intero paese. Non sappiamo se ce la faremo, ma sappiamo che abbiamo il dovere di dirlo: per vincere bisogna fare questo. (…).

Nel 2018 un fondo finanziario ci ha comprato per chiuderci. Lo sapevamo, ma saperlo e muoversi per tempo sono due cose diverse. Ci chiedevamo “come possiamo giocare d’anticipo?”, perché quando la multinazionale arriva a chiudere è già tutto deciso, è già tutto fatto, quindi bisogna lavorare d’anticipo.
Dal momento del licenziamento iniziano 7 mesi di assemblea permanente in cui abbiamo autogestito la fabbrica. Se avessimo avuto commesse, avremmo autogestito anche la produzione, ma noi lavoriamo su commesse e senza ordinativi non possiamo produrre.
Per 7 mesi abbiamo gestito la fabbrica: ci siamo trasformati in reparti di guardia, reparti mensa, reparti pulizie, reparti propaganda… abbiamo riorganizzato tutta l’attività e abbiamo potuto farlo perché esistevano il Collettivo di Fabbrica e i delegati di raccordo. E nel fare tutto questo è stato importante che tutto il territorio ci sia venuto in soccorso: Misericordia, Protezione Civile, centri sociali, organizzazioni politiche, altri delegati sindacali, lavoratori di altri settori, sindacati di base e confederali. Questo abbraccio del territorio ha reso possibile le manifestazioni e la resistenza, concepita come resistenza di un collettivo territoriale.
Quindi a “Insorgiamo” abbiamo poi abbiamo aggiunto un pezzo: per Insorgere bisogna Convergere. Per convergenza non intendiamo “trovarsi ogni tanto nelle stesse piazze”, intendiamo prendere atto che per vincere io ho bisogno di te e se ho bisogno di te, ho bisogno che tu cresca e sia più forte perché se tu sei più forte allora sono più forte io: è più forte la mia lotta ed è più forte la tua.

(…) Abbiamo avuto bisogno delle reti ambientaliste per sconfiggere l’idea che ci stessero licenziando per l’auto elettrica, abbiamo avuto bisogno di tecnici solidali e ingegneri precari per fare un piano alternativo per la nazionalizzazione dell’azienda, abbiamo avuto bisogno del transfemminismo e della Società della Cura.
Perchè se stai 7 mesi uno di fianco all’altro, l’individualismo è un lusso che non ti puoi permettere, devi costringerti a essere una persona diversa e migliore, perché se no perdi. Non è che lo devi fare per chissà quale vezzo idealistico o ideologico: noi siamo operaiacci, come quelli che avete sul vostro territorio, come lo siamo tutti: sessisti, razzisti, egoisti… non siamo un partito politico o dei quadri, ma abbiamo dovuto essere tutto questo perché altrimenti, semplicemente, non saremmo esistiti.
Avendo poco tempo a disposizione per ribaltare rapporti di forza, ci siamo indirizzati là dove c’era movimento e fermento. Ad esempio sugli studenti, poi il movimento ambientalista, poi in piazza il 30 ottobre per la manifestazione contro il G20, con il movimento di lotta per la casa e per i diritti civili e ambientali.

(…) Abbiamo chiamato la manifestazione del 26 marzo per questo, per altro e per tutto. In che senso?
Per questo nel senso che io so perché mi mobilito: contro il logoramento della mobilitazione. Siamo in cassa integrazione, ma rischiamo di essere logorati, stanno tentando di normalizzarci e quindi so che scendo in piazza contro il logoramento, per il polo pubblico della mobilità sostenibile, per una reindustrializzazione vera e non farlocca come è successo un milione di volte. E poi scendo in piazza perché la partita col governo sulle delocalizzazioni per noi non è finita. Ma non scendo in piazza solo per questo, scendo in piazza anche contro il carovita, il caro bollette, gli scempi ambientali, il precariato.

(…) Stiamo incontrando tante realtà che si mobilitano e stiamo vedendo la contraddizione che c’è tra la classe dirigente del paese, che è di un’incompetenza totale – sanno fare i loro interessi, ma dimostrano di non avere nulla da dire e da fare per il paese – e persone che invece, ad esempio, sanno spiegarci come riorganizzare le città, l’intera rete digitale nel paese; persone come i lavoratori Alitalia che saprebbero come riorganizzare e far funzionare la compagnia di bandiera. Ecco, questa l’abbiamo chiamata classe dirigente. È questa che deve riempire di contenuti la manifestazione del 26 marzo!”.

Ed è questa che deve lottare per dirigere il paese, aggiungiamo noi.


Il testo è un adattamento della trascrizione del video visibile qui

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