La classe dominante governa la società grazie a un piano studiato a tavolino e le sue manovre economiche e politiche rispondono a quel piano. Questa convinzione è molto diffusa, ma è sbagliata. Il problema non si limita al fatto che è sbagliata: chi è convinto dell’esistenza del piano del capitale si fa un’idea distorta – e la diffonde – di come è la realtà e di come può essere cambiata.
La borghesia imperialista, i capitalisti, i padroni hanno la proprietà dei mezzi di produzione, hanno i soldi, controllano l’informazione, ricattano le masse popolari in mille modi…. Se davvero avessero anche un piano studiato a tavolino e riuscissero ad attuarlo non ci sarebbe nessuna prospettiva di vittoria per le masse popolari, in nessun modo e in nessun campo. Invece non solo è possibile per le masse popolari vincere singole lotte approfittando delle contraddizioni del nemico, ma anche rovesciare la borghesia imperialista, farla finita con il suo sistema di sfruttamento e devastazione e instaurare il socialismo.
La classe dominante, nella sua essenza, è composta dai capitalisti. Gli interessi dei capitalisti sono eretti a interessi di tutta la società. Ogni capitalista ha l’obiettivo di accrescere continuamente il suo capitale. Se l’accrescimento del capitale rallenta, l’intera società va in crisi e si disgrega. È ciò che accade oggi e il marasma in cui siamo immersi dipende da questo.
Nelle attività attraverso cui ogni capitalista accresce il suo capitale, egli è naturalmente e costantemente contrapposto alla classe operaia e alle masse popolari. Rispetto ad altri capitalisti, ogni capitalista opera nel contesto della “libera concorrenza”, finché il capitale complessivo, accumulato da tutti, è talmente grande da non poter essere più valorizzato per intero. A quel punto la “libera concorrenza” fra i capitalisti si trasforma in guerra: ogni capitalista ha l’esigenza di eliminare i concorrenti, distruggere i loro capitali, conquistare i loro mercati, occupare il loro spazio nel sistema produttivo.
Questo meccanismo – qui semplificato all’estremo – non riguarda più solo i singoli capitalisti, ma i gruppi imperialisti che nel corso dello sviluppo della società capitalista hanno preso il loro posto (i monopoli). Hanno il controllo degli Stati e dei governi (capitalismo monopolistico di Stato); piegano ai loro interessi le istituzioni, la politica nazionale ed estera, le leggi, gli eserciti. Li “piegano ai loro interessi”, ma di quali interessi parliamo?
I gruppi imperialisti hanno il comune interesse a tenere la classe operaia e le masse popolari in una condizione di sottomissione. La fame di profitto li spinge ad unirsi per smantellare i diritti e le tutele delle masse popolari e cancellare tutto ciò che è per loro “un costo”, ma la crisi economica che si aggrava li mette anche – e sempre di più – uno contro l’altro.
La classe dominante non può avere un piano comune, dunque, perché la crisi generale impone che un gruppo imperialista sia “fatto fuori” da un altro. Ma nessuno accetta di essere fatto fuori!
Un esempio. Il modello di sviluppo energetico basato sui combustibili fossili è stato per decenni un ostacolo per gli investimenti nella produzione di energia alternativa; il potere delle “sette sorelle” (come vennero ribattezzate le sette più grandi multinazionali del petrolio) ha tagliato le gambe a tali investimenti. Oggi sono le sette sorelle ad essere messe in discussione in nome della transizione ecologica. Non è una disputa che riguarda “le leggi”, la tutela dell’ambiente e i regolamenti nazionali e internazionali, è una guerra fra frazioni di capitale.
Attenzione, il meccanismo qui riassunto non nega affatto che la classe dominante promuova intrighi, complotti e metta in campo manovre per trovare accordi che evitino – o almeno leniscano – gli effetti della concorrenza imposta dal libero mercato nella fase di crisi generale del capitalismo.
Al contrario, la classe dominante complotta continuamente per cercare di attenuare i contrasti, forma associazioni (al modo del Club Bilderberg, ma è solo uno tra tanti) e istituzioni per soffocare la lotta delle classi oppresse, traccia indirizzi culturali per formare il senso comune della massa della popolazione e distoglierla dalla lotta di classe. Ma quali che siano i suoi sforzi, non può eludere il nucleo fondante della sua società, la ricerca costante del profitto. E questo anche a costo di fare tabula rasa dei concorrenti, che magari fino a ieri erano alleati e, ieri l’altro, persino parenti.
Portiamo il discorso in campo politico. Le decisioni di un governo, la politica di un paese, sono di norma definite sulla base degli interessi del gruppo imperialista dominante in un dato momento. I gruppi imperialisti più deboli si accodano, ma tramano per sostituire il gruppo imperialista dominante al governo del paese, per avere condizioni più favorevoli nella valorizzazione della loro frazione di capitale.
Anche quando i partiti che sono espressione dei principali gruppi imperialisti operanti nel paese sono costretti ad allearsi per fare fronte alla crisi politica (la Santa Alleanza che sostiene il governo Draghi è un ottimo esempio), dietro le quinte del teatrino della politica la lotta infuria: inchieste giudiziarie, scandali, colpi di mano, guerra per bande.
Questa è la base materiale della crisi politica nel nostro paese e della debolezza dei governi della classe dominante.
Se è vero che la classe dominante non può dotarsi di un piano per governare la società, è altrettanto vero che la classe operaia e le masse popolari possono lottare efficacemente e combattere vittoriosamente solo se hanno un loro piano perché con la loro mobilitazione devono rovesciare la classe dominante, e nel contempo creare le basi per il funzionamento della società in cui sono classe dirigente, il socialismo. Senza un piano, procedendo a vista, ciò è impossibile.
Questa “conclusione” vale come chiusura di questo articolo che critica la tesi dell’esistenza del piano del capitale e vale come introduzione alla linea del Governo di Blocco Popolare che trattiamo anche su questo numero di Resistenza.
La lotta per imporre un proprio governo di emergenza incarna il piano che la parte organizzata della classe operaia e delle masse popolari deve darsi in questa fase.
Un conto è affermare che esiste un piano del capitale, un altro è affermare che esiste un programma comune di tutta la borghesia imperialista. Quest’ultimo è determinato dal movimento economico della società (crisi generale del capitalismo), non dalle scelte e dalle decisioni di questo o quel politicante borghese. Esso consiste
1. nell’eliminazione delle conquiste di civiltà e benessere che le masse popolari dei paesi imperialisti hanno strappato alla borghesia nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria (1917-1976);
2. nello smantellamento del settore pubblico dell’economia;
3. nella reintegrazione nel sistema imperialista mondiale dei primi paesi socialisti, nella ricolonizzazione delle ex colonie, nella spartizione dei profitti estorti ai lavoratori e ai popoli oppressi; nella lotta accanita tra i gruppi imperialisti per conquistare un ruolo di primo piano negli affari mondiali e nella spartizione dei profitti estorti ai lavoratori e ai popoli oppressi;
4. nella repressione del movimento di resistenza delle masse popolari.
I sostenitori dell’esistenza del piano del capitale trovano mille conferme alla loro tesi. Ma chiunque può trovare mille conferme a qualunque tesi se prende in considerazione solo le caratteristiche superficiali dei fenomeni. I sostenitori del piano del capitale non danno – e non possono dare – una lettura organica del movimento della società e i loro affanni nel capire come va il mondo producono lo stesso risultato di un orologio fermo: due volte al giorno ci azzecca, per il resto no.
Non è possibile nessuna analisi seria che prescinda dal movimento economico della società, dal metodo marxista (materialista dialettico) e da quanto ha elaborato il movimento comunista nel corso della sua storia. Per chi è interessato ad approfondire l’argomento, segnaliamo tre articoli reperibili sul sito del (nuovo)PCI – www.nuovopci.it
“Rapporto di capitale 1” – Rapporti Sociali n. 2 – 1988
“Rapporto di capitale 2” – Rapporti Sociali n. 3 – 1989
“Rapporto di capitale 3” – Rapporti Sociali n. 4 – 1989