L’imperialismo è l’anticamera del socialismo
L’imperialismo è il movimento delle strutture materiali della società (e quindi anche delle sue espressioni spirituali) dal capitalismo verso il comunismo nell’ambito della società borghese, cioè quando la direzione della società è ancora nelle mani della classe che ostacola quel movimento e con tutte le forze e i mezzi vi si oppone.
Il socialismo, al contrario, è anch’esso il movimento delle strutture materiali della società (e quindi anche delle sue espressioni spirituali) dal capitalismo verso il comunismo, ma quando già la direzione della società è nelle mani della classe che favorisce e dirige il movimento. L’imperialismo è quindi in questo senso l’anticamera del socialismo – da “Rapporto di capitale III” – Rapporti Sociali n. 4, luglio 1989.
Abbiamo bisogno di idee e analisi giuste.
Secondo il senso comune, il termine imperialismo descrive la condotta aggressiva e guerrafondaia dei paesi occidentali contro i paesi “meno sviluppati” e “in via di sviluppo”. L’immagine più frequente che il termine richiama alla mente è il ruolo degli USA come “gendarmi del mondo”.
In verità il termine imperialismo descrive la fase in cui è entrato il capitalismo, all’incirca dall’inizio del Novecento: è quindi una precisa categoria politica che deriva dal movimento economico della società.
Riguardo all’imperialismo, l’elaborazione di Lenin (Imperialismo, fase suprema del capitalismo, 1916) è la più scientifica ed è tutt’ora valida, nonostante oggi siano moltissime le “sirene” che cantano di un presunto superamento delle analisi e delle categorie scientifiche del marxismo e del leninismo.
A ben vedere, anche all’epoca di Lenin c’era chi cercava di dimostrare che il marxismo era superato poiché l’imperialismo appariva come un modo di produzione diverso dal capitalismo. Tuttavia l’analisi di Lenin si è affermata perché era giusta e pertanto adeguata ad armare ideologicamente il movimento rivoluzionario.
Problema questo che si ripresenta oggi e per cui dobbiamo conoscere, assimilare e usare tutto quello che il patrimonio del vecchio movimento comunista ha sedimentato (e ci lascia in eredità) e fare un ulteriore passo avanti per compiere ciò che non è riuscito al vecchio movimento comunista: instaurare il socialismo nei paesi imperialisti.
Il posto dell’imperialismo nella storia: la pattumiera.
Di seguito un adattamento di uno stralcio del Manifesto Programma del (nuovo)PCI
Nella seconda metà del secolo XIX lo sviluppo economico delle società borghesi più avanzate dell’Europa occidentale e dell’America del Nord arrivò a una svolta.
– La divisione della società in classi e il loro antagonismo avevano cessato di essere la condizione più favorevole allo sviluppo delle forze produttive ed erano diventati un freno ad esso. Non nel senso che quindi le forze produttive non si sviluppavano più, ma nel senso che esse si sviluppavano a un ritmo inferiore a quello che le condizioni raggiunte consentivano: i diritti di proprietà, la sostanziale esclusione delle masse popolari dalle attività specificamente umane, la loro oppressione, il compromesso della borghesia con la nobiltà e il clero, il segreto industriale, commerciale e militare, le crisi economiche ricorrenti e altri aspetti della società capitalista ne frenavano lo sviluppo.
– La produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza della società dipendevano principalmente non più dalla lotta degli uomini con la natura, ma dal loro ordinamento sociale.
Erano quindi maturate le condizioni oggettive per una superiore organizzazione sociale, il comunismo. L’economia poteva svilupparsi ulteriormente senza traumi solo come appendice della politica. D’altra parte, data la natura della classe dominante, la politica non era in grado di governare l’economia. La sovrastruttura della società era oramai diventata il collo di bottiglia dello sviluppo della struttura. Gli uomini potevano progredire ulteriormente nello sviluppo dei loro rapporti economici solo se creavano le condizioni politiche per dirigerlo: la dittatura del proletariato.
In questo contesto, Marx ed Engels proposero e fecero valere nel movimento comunista un orientamento imperniato sulle seguenti concezioni e linee d’azione:
1. Solo la classe operaia è in grado di emancipare se stessa dalla borghesia.
2. Per emancipare se stessa dalla borghesia, la classe operaia deve emancipare l’intera umanità dalla soggezione ai propri rapporti sociali, da ogni forma di sfruttamento e di oppressione, dalla divisione della società in classi.
3. La classe operaia trova in massa la via della propria emancipazione solo attraverso la sua esperienza pratica e diretta di lotta di classe e di organizzazione.
4. I comunisti si distinguono dalla massa del proletariato perché hanno una comprensione migliore delle condizioni, dei risultati e delle forme della lotta della classe operaia e sulla base di questa comprensione la spingono sempre in avanti.
5. La lotta della classe operaia comprende le lotte rivendicative sindacali e politiche, l’intervento come classe autonoma nella lotta politica borghese alla testa del resto delle masse popolari, la formazione di associazioni operaie e popolari autonome dalla borghesia in ogni campo di attività, la lotta contro la repressione. La partecipazione diretta alla lotta su questi quattro fronti è la principale scuola di comunismo per la massa degli operai.
6. L’instaurazione del socialismo avverrà attraverso il rovesciamento da parte della classe operaia del potere politico esistente e l’instaurazione del proprio potere, la dittatura del proletariato.
7. Durante la fase socialista la classe operaia dovrà condurre se stessa e le altre classi delle masse popolari a trasformare, sulla base della proprietà pubblica delle forze produttive e della gestione pianificata dell’attività economica instaurate dalla rivoluzione, l’insieme delle proprie relazioni sociali e dei sentimenti, delle concezioni e dei comportamenti connessi, fino alla soppressione di ogni forma di sfruttamento e oppressione, alla fine della soggezione ai propri rapporti sociali e all’estinzione della divisione della società in classi e dello Stato.
In questo orientamento strategico il salto qualitativo e decisivo, storico, di rottura con la società esistente, era indicato nel sesto punto. Come avrebbe la classe operaia instaurato il socialismo?
Per alcuni decenni (1850-1890) i comunisti, ivi compresi Marx e Engels, pensarono che presto nei paesi capitalisti più avanzati dell’Europa Occidentale e dell’America del Nord la classe operaia avrebbe preso il potere nel corso di una insurrezione popolare (di proletari, artigiani, contadini, altri lavoratori poveri, intellettuali rivoluzionari, ecc.) contro l’alta borghesia e i resti delle vecchie classi reazionarie con essa alleate, avrebbe instaurato il socialismo e, attraverso un periodo più o meno lungo di guerre civili e internazionali, avrebbe compiuto la transizione dal capitalismo al comunismo.
Proprio su questo punto la realtà ha dato torto ai comunisti e proprio su questo punto il movimento comunista ha incontrato e incontra ancora oggi le maggiori difficoltà ad elaborare una linea adeguata ai problemi che deve affrontare. In nessuno di quei paesi la classe operaia è riuscita finora ad instaurare il socialismo.
Con l’opera di Marx ed Engels i comunisti non avevano ancora raggiunto una comprensione delle condizioni, dei risultati e delle forme della lotta di classe sufficiente per condurre la classe operaia a instaurare il socialismo nei paesi imperialisti. Di conseguenza la massa del proletariato non raggiunse un livello di organizzazione e di coscienza sufficiente perché la classe operaia prendesse la direzione del resto delle masse popolari e le guidasse ad abolire il potere della borghesia e delle altre classi sfruttatrici, stroncare la loro resistenza, instaurare il proprio potere e dare inizio alla transizione dal capitalismo al comunismo.
La borghesia aveva creato e continuamente accresceva le condizioni oggettive del socialismo. La rivoluzione socialista era diventata un compito e una necessità pratica immediati. Le condizioni soggettive erano diventate il fattore decisivo. Dato che nei primi paesi capitalisti queste condizioni non vennero create nella misura sufficiente per l’instaurazione del socialismo, anziché passare direttamente al socialismo, i primi paesi capitalisti entrarono in una fase nuova e imprevista: la fase imperialista del capitalismo in cui ci troviamo ancora oggi.
Sul piano economico le caratteristiche principali dell’imperialismo consistevano nella prevalenza del monopolio sulla libera concorrenza, nella prevalenza del capitale finanziario che nasce dalla fusione del capitale industriale col capitale monetario, nella prevalenza dell’esportazione di capitali rispetto all’esportazione di merci, nella divisione completa del mondo in paesi imperialisti e paesi oppressi dalle potenze imperialiste, nella spartizione del mondo tra monopoli capitalisti.
Sul piano politico e culturale, gradualmente la borghesia perse ogni ruolo progressista. Assunse sempre più i caratteri di una classe reazionaria e oppressiva. Essa continuò ad accrescere le condizioni oggettive del socialismo, ma questo avanzamento oggettivo dell’umanità verso il comunismo, compiuto sotto la direzione della borghesia, divenne tanto più tormentoso e distruttivo di uomini, cose, ambiente e civiltà quanto più è tardata l’instaurazione del socialismo.
Tre grandi contraddizioni governavano oramai la storia dell’umanità: la contraddizione tra borghesia e classe operaia, la contraddizione tra gruppi e Stati imperialisti da una parte e dall’altra le masse popolari dei paesi oppressi, la contraddizione dei gruppi e degli Stati imperialisti tra loro.
La transizione dal capitalismo al comunismo non sarebbe stata né rapida né facile, benché essa fosse diventata per l’umanità l’unico possibile percorso di progresso. Finché esso non fosse stato compiuto, l’umanità avrebbe vissuto “i travagli del parto”.
“E’ tutto diverso da prima”
Una tesi di moda è che la situazione della società attuale è “completamente diversa”, “radicalmente diversa” rispetto a quella dei tempi di Marx. Se queste frasi hanno un senso, questo è che l’imperialismo non è una fase del modo di produzione capitalista, ma un nuovo modo di produzione, con leggi e caratteristiche diverse. In realtà tra i tanti che sostengono che la situazione è radicalmente mutata, nessuno aggiunge alcuna analisi del “nuovo” che motivi e dimostri la tesi. L’unico seguito reale di questa tesi è il rifiuto della teoria del modo di produzione capitalista elaborata da Marx.
Già Lenin all’VIII Congresso del PC(b) dell’Urss, nel 1919, sfidava Bukharin, teorico dell’“imperialismo puro”, a costruirne la teoria. “Quando Bukharin affermava che si può tentare di dare un quadro organico del crollo del capitalismo e dell’imperialismo, in commissione obiettavamo, e devo qui obiettargli: provate e vedrete che non ci riuscirete. Bukharin ha fatto un simile tentativo in commissione, ma poi ha dovuto egli stesso rinunciarvi. Sono del tutto convinto che se qualcuno avesse potuto farlo, sarebbe stato proprio Bukharin, il quale si è occupato a lungo e seriamente di questa questione…
Se si redigesse il programma così come lo voleva Bukharin, questo programma sarebbe errato. Esso rispecchierebbe, nel migliore dei casi, quanto di meglio è stato detto del capitalismo finanziario e dell’imperialismo, ma non rispecchierebbe la realtà perché in questa appunto non c’è organicità”. – V.I. Lenin, “Rapporto sul programma del partito” – Opere complete, vol. 29.
Le tre fasi dell’epoca imperialista
L’epoca imperialista del capitalismo si divide in tre fasi principali.
La prima (1900 circa – 1945) è caratterizzata dalla prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale e dalla conseguente crisi dei regimi politici dei singoli Stati e delle relazioni fra Stati a livello mondiale.
Essa diede vita a una lunga situazione rivoluzionaria nel corso della quale, nel contesto delle immani distruzioni della prima e della seconda guerra mondiale, in una serie di paesi trionfa la rivoluzione proletaria. Il patrimonio ideologico e politico del movimento comunista cosciente e organizzato raggiunge una nuova tappa, il marxismo – leninismo.
La seconda (1945 – 1975 circa) è caratterizzata dalla temporanea ripresa di accumulazione del capitale a livello mondiale. Nei paesi imperialisti, ciò si traduce nel “capitalismo dal volto umano”, nei paesi imperialisti si traduce da una parte nelle lotte per avanzare nella transizione dal capitalismo al comunismo (con al centro la grande rivoluzione culturale proletaria cinese) e dall’altra nel tentativo di restaurazione graduale e pacifica del capitalismo (con al centro l’opera dei revisionisti moderni).
La terza (dal 1975 circa) è caratterizzata dall’inizio della seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale. I regimi politici dei singoli Stati entrano di nuovo in crisi, come anche le relazioni fra Stati. Inizia una nuova situazione rivoluzionaria in sviluppo.
Tutte contraddizioni si presentano a un livello superiore rispetto alla prima fase, perché la società umana ha fatto ovunque enormi passi verso il comunismo, in termini di sviluppo delle forze produttive e dello sviluppo del loro carattere collettivo. Il patrimonio ideologico del movimento comunista cosciente e organizzato raggiunge una nuova tappa, il marxismo-leninismo-maoismo.