Senza asterischi, senza quote rosa e senza retorica
Tutte le operaie e gli operai, le lavoratrici e i lavoratori, le donne e gli uomini (che sentono o meno l’esigenza di definire la propria sessualità) hanno l’interesse, la possibilità e il dovere di insorgere insieme, di convergere e irrompere insieme in ogni piazza, manifestazione, presidio, iniziativa in cui batte il cuore della lotta di classe.
Nel corso degli anni, la classe dominante ha fatto un meticoloso lavoro per dividere la mobilitazione per i diritti civili da quella per i diritti sociali e contrapporle. Ha impiegato ingenti mezzi e risorse per intossicare le coscienze, per formare nell’opinione pubblica l’idea che esista una separazione, ad esempio, fra la lotta delle donne per la loro emancipazione e la lotta delle masse popolari tutte – uomini e donne – contro lo sfruttamento e il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro.
In questo tranello ci sono finiti in tanti. Ci sono finiti quelli che antepongono i diritti civili a quelli sociali e quelli che fanno l’opposto. Sono due facce della stessa medaglia, vittime dello stesso tranello.
Ai fini degli interessi generali delle masse popolari, il risultato è un disastro, perché regna la divisione dove dovrebbe regnare l’unità. Due esempi.
Chi promuove la lotta per i diritti civili, focalizzandosi sulla questione di genere e tralasciando la divisione della società in classi, finisce per essere “contro i maschi” e “a favore delle donne”, ma rende un cattivo servizio tanto agli uomini che alle donne delle masse popolari. Non considera che anche i maschi delle masse popolari subiscono l’oppressione di classe e da essa sono deformati sul piano intellettuale, sentimentale e morale e che ci sono donne della classe dominante che operano per perpetrare la società di merda in cui viviamo.
Ursula von der Leyen o Christine Lagarde non sono certo da meno di Draghi o di Biden e di sicuro non è prendendo loro come riferimento che le donne delle masse popolari possono avanzare nella loro emancipazione.
Così anche chi promuove la lotta per i diritti sociali e nega che la divisione della società in classi alimenta la doppia oppressione, finisce con il fare un cattivo servizio alla lotta di classe.
Perché fra gli operai e le masse popolari ci sono uomini, donne, eterosessuali, omosessuali e transessuali e nessun movimento di emancipazione di classe può essere efficace se tralascia, banalizza o nega l’emancipazione di genere degli individui che compongono la classe.
Quindi?
Tutti coloro che per qualunque motivo contrappongono uomini e donne delle masse popolari facendo prevalere una delle due “questioni” fanno il gioco della classe dominante, qualunque siano le loro intenzioni. Perdono di vista il nemico comune contro cui occorre combattere insieme, uomini e donne.
L’8 marzo è una giornata di lotta istituita e promossa dal vecchio movimento comunista internazionale, è la Giornata Internazionale della Donna. È un’occasione (non l’unica, chi ne fa una mera ricorrenza la snatura) per manifestare il legame indissolubile fra la lotta per l’emancipazione delle donne delle masse popolari e la più generale lotta di classe e per riaffermare il ruolo di tali lotte nel movimento rivoluzionario, per farla finita con l’oppressione di classe e di genere.
Da alcuni anni, la positiva ripresa di manifestazioni – e soprattutto scioperi – per l’8 marzo ha portato con sé anche uno strascico di polemiche perché, secondo alcuni, le piazze dell’8 marzo dovrebbero essere “vietate agli uomini”.
Ecco una plateale manifestazione di confusione e arretratezza!
Tutti, operaie e operai, lavoratrici e lavoratori, donne e uomini (che sentano o meno l’esigenza di definire la propria sessualità) hanno l’interesse, la possibilità e il dovere di respingere questa gretta manovra diversiva.
Hanno l’interesse e il dovere di insorgere insieme, di convergere e irrompere insieme in ogni piazza, manifestazione, presidio, iniziativa in cui batte il cuore della lotta di classe.
All’interno della classe lavoratrice ci pensa già il padrone ad alimentare discriminazioni, ci manca solo che il movimento femminista che deve contribuire a rovesciare i padroni si metta invece a promuovere scioperi e manifestazioni “per sole donne”!
Nelle scuole ci pensano già i tentacoli, palesi o occulti, del Vaticano a discriminare le donne “per come si comportano”, ci manca solo che a promuovere la “separazione dei ruoli e dei luoghi” ci si metta pure chi dice di voler decapitare la piovra del Vaticano.
Il fatto è che ogni piazza, ogni manifestazione, ogni ribellione deve essere “delle donne”, delle donne delle masse popolari, non solo l’8 marzo.
“Ogni giorno 8 marzo”, allora! Cioè ogni giorno lotta, organizzazione, mobilitazione per rovesciare il mondo dei padroni e liberare il paese dalla NATO, dalla UE, dal Vaticano e da Confindustria. In questa lotta si compie l’emancipazione delle donne.
Senza la costruzione di una società socialista che ha come obiettivo l’eliminazione della divisione in classi, ogni lotta per l’emancipazione delle donne è destinata ad esaurirsi e finisce col favorire la contrapposizione di genere (donne contro uomini).
Allo stesso tempo, però, è giusto e “naturale” (è la natura stessa della lotta che lo impone) che le donne delle masse popolari sperimentino, trovino e promuovano forme di lotta e di organizzazione specifiche, perché vivono condizioni particolari. Il movimento comunista deve incoraggiare l’autorganizzazione attraverso la quale le donne si legano alla più generale lotta per la trasformazione della società.
Quali sono le condizioni particolari dell’oppressione delle donne delle masse popolari?
Esse hanno una storia secolare, affondano le loro radici nella divisione in classi della società. Per secoli le donne sono state sfruttate e umiliate, vessate, escluse dalla gestione della società da parte delle classi dominanti. Ma anche oppresse dalla cultura patriarcale e oscurantista che porta la parte più abbrutita e arretrata degli uomini delle masse popolari a mortificarle, a maltrattarle, ad esercitare violenza (nelle sue tante forme) contro donne che sono “loro”, che “appartengono” a loro, alla stregua di oggetti che si possono rompere o gettar via in qualunque momento.
Bisogna tenere presente questo aspetto per non scadere nel settarismo verso le forme di organizzazione delle donne delle masse popolari, in nome di una mal interpretata “superiorità” della questione di classe sulla questione di genere. Bisogna mettere la questione di classe e la questione di genere nella giusta dialettica.
Nel nostro paese le donne subiscono un’oppressione più soffocante, attacchi più duri ai loro diritti (un esempio è l’inapplicabilità della Legge 194); esiste da noi una cultura patriarcale e retrograda più radicata rispetto ad altri paesi imperialisti (per cui un giudice assolve un uomo accusato di violenza contro sua moglie perché lei “non ha urlato e detto NO”). Essa è legata a doppio filo all’esistenza e all’influenza del Vaticano: un buco nero di inciviltà e oscurantismo che ha influenzato e influenza tutt’oggi anche il movimento comunista e rivoluzionario, in particolare attraverso la doppia morale.