Editoriale
L’Italia è un paese occupato. Fin dal 1945 l’Italia è occupata dagli imperialisti USA (NATO), che affidarono al Vaticano e alle organizzazioni criminali il governo del paese (il regime della Democrazia Cristiana) per impedire l’avanzata dei comunisti.
Dal 1992 (Trattato di Maastricht) ad essi si sono aggiunti i gruppi imperialisti franco-tedeschi (UE), che dal 2000 hanno imposto la loro moneta (l’Euro) e una serie di altre misure e strutture (BCE, Commissione Europea) finalizzate a ridurre ulteriormente la già limitata sovranità nazionale.
La cupola di potere sorta da questa “alleanza”, inedita nella storia e non ripetibile in nessun altro paese del mondo, è ciò che definiamo vertici della Repubblica Pontificia italiana. Dal 1992, dopo il crollo del regime della Democrazia Cristiana (DC), la forma in cui si traduce questo dominio particolare è il sistema politico delle Larghe Intese (polo PD e gregari e polo Berlusconi e gregari).
Nel corso degli ultimi 30 anni, gli effetti della crisi generale del capitalismo si sono combinati con gli effetti delle misure imposte dai vertici della Repubblica Pontificia e attuate dai governi delle Larghe Intese: dalle privatizzazioni del settore pubblico dell’economia (iniziate con lo smantellamento dell’IRI, 1992) alle liberalizzazioni del mercato (2006), dal MES (2012) al pareggio di bilancio in costituzione (2012), dal Fiscal Compact (2014) fino al Pnrr (2021).
Il nostro paese è teatro di saccheggio e speculazioni. I lavoratori e le masse popolari sono stati sistematicamente impoveriti e derubati dei diritti, delle tutele e delle conquiste che erano state ottenute nei decenni precedenti, quando il movimento comunista era forte in Italia e nel mondo.
Il lavoro è diventato il centro dell’attacco: eliminazione delle conquiste, precarietà diffusa, caporalato e vere e proprie forme di schiavismo. I nostri soldi, le condizioni di lavoro e la qualità della vita dipendono dall’andamento degli affari dei padroni e delle strutture di potere politico, economico e finanziario che hanno sede in altri paesi e anche il parlamento è stato progressivamente degradato a camera di ratifica di decisioni prese a Bruxelles, Washington, Strasburgo e Francoforte.
Poiché le misure di lacrime e sangue imposte negli ultimi 30 anni non sono state sufficienti a invertire il corso delle cose imposto dalla crisi generale del capitalismo (che avanza e si aggrava), nel 2021 le forze occupanti hanno manovrato per installare un loro uomo direttamente al governo del nostro paese, che gestiscono ormai alla stregua di un “protettorato”. Quell’uomo è Mario Draghi e il compito che gli è stato affidato è quello di procedere nel modo più rapido e risoluto nell’attuazione delle loro direttive.
Con l’installazione di Draghi a capo del governo, la piovra ha allungato i suoi tentacoli: anche il Consiglio dei Ministri ha subito la stessa sorte del parlamento, diventando l’esecutore di misure decise altrove.
L’Italia è un paese in guerra. Le forze occupanti del nostro paese ci trascinano apertamente nella guerra commerciale contro i paesi che non si sottomettono alla Comunità Internazionale degli imperialisti (come nel caso della Repubblica Popolare Cinese) e nelle manovre militari della NATO (come nel caso dell’accerchiamento militare della Federazione Russa).
Gli aerei italiani da guerra F35 a luglio erano in volo in Estonia.
Gli imperialisti USA ci hanno venduto a carissimo prezzo gli aerei che poi usano per i loro interessi!
Allo stesso tempo le forze occupanti conducono una guerra di sterminio non dichiarata contro le masse popolari del nostro paese.
Lorenzo Parelli, lo studente di 18 anni morto in una fabbrica in provincia di Udine dove svolgeva l’alternanza scuola-lavoro (manovalanza gratis per i padroni), è una delle tante vittime di questa guerra non dichiarata.
I 4 morti al giorno sui posti di lavoro, le migliaia di feriti e di invalidi, i quasi 150mila morti “per la pandemia”, a cui si sommano i morti per le malattie non curate, le decine di migliaia di morti per inquinamento, le vittime della violenza prodotta dal degrado materiale e morale, dalla miseria dilagante, dall’alcolismo, ecc. sono le vittime di una “guerra di classe” di cui lo Stato, le istituzioni e le autorità borghesi sono direttamente responsabili.
Il nemico ce lo abbiamo in casa e parla la nostra stessa lingua. Non indossa divise militari, ma la giacca e la cravatta dell’“uomo d’affari”. Parla di progresso, civiltà e bene comune, ma si comporta come un esercito occupante che distrugge e saccheggia.
Questo è il regime della borghesia imperialista. Non siamo in un regime di moderno fascismo, pertanto non ci sono facili paragoni fra la situazione attuale e quella che le masse popolari del nostro paese hanno già vissuto con la dittatura fascista e l’occupazione nazifascista: molte cose sono diverse e la storia non si ripeterà allo stesso identico modo. Ma il fulcro, il centro del discorso, il movimento della società è lo stesso.
La crisi generale del capitalismo genera guerra. La prima crisi generale del capitalismo (1900-1945) ha prodotto la Prima e la Seconda guerra mondiale. Questa seconda crisi generale del capitalismo, in corso dalla metà degli anni Settanta, produce la situazione attuale.
Come la prima crisi è stata superata con le distruzioni delle guerre mondiali e l’instaurazione dei primi paesi socialisti e di un vasto campo socialista, anche in questa seconda le strade che abbiamo di fronte sono solo due: o le distruzioni di una nuova guerra mondiale dalla portata enormemente maggiore rispetto alle precedenti (in ragione dello sviluppo tecnologico e scientifico raggiunto) oppure l’estinzione del sistema capitalista tramite rivoluzioni socialiste e l’instaurazione di nuovi paesi socialisti. Mobilitazione reazionaria o mobilitazione rivoluzionaria: questo è il bivio che abbiamo di fronte.
O la rivoluzione precede la guerra o la guerra genera la rivoluzione. Chi oggi chiede ai lavoratori e alle masse popolari il voto per essere eletto in parlamento e “cambiare le cose” o mente, facendo finta di non sapere che il parlamento è stato degradato a camera di ratifica di decisioni prese altrove, oppure si illude e illude che prima o poi le cose “tornino al loro posto”.
Chi oggi cerca di mobilitare i lavoratori e le masse popolari per “difendere il paese dagli stranieri” e mettere “al primo posto gli italiani”, mesta nel torbido, è un servo dei padroni e fa gli interessi del nemico perché il problema non sono “gli stranieri”, ma i capitalisti.
Qui e ora, l’orizzonte che abbiamo di fronte non è – non può essere – un ritorno ai tempi del “capitalismo dal volto umano”. Quello è un passato che non torna. E non può essere la guerra fra poveri e la “guerra agli stranieri” perché essa serve solo a mantenere le masse popolari in una posizione di sottomissione rispetto alla borghesia, che domina la società.
Quello che abbiamo di fronte è un salto epocale, un salto che l’umanità deve compiere e compirà necessariamente.
La rivoluzione socialista è la strada per mettere ordine nel marasma provocato dalla crisi del capitalismo.
Questo è il senso della nuova lotta di liberazione nazionale che la classe operaia e le masse popolari devono combattere contro i funzionari del capitale italiani e stranieri. È una lotta per tanti versi simile a quella che fu combattuta fra il 1943 e il 1945, ma è anche profondamente diversa.
Di profondamente diverso c’è anche che questa volta sappiamo – l’esperienza ce lo ha insegnato – di dover andare fino in fondo. Non basta liberare il paese dalle forze occupanti, tagliare qualche tentacolo: la piovra va decapitata; la cupola di potere dei vertici della Repubblica Pontificia va abbattuta una volta per tutte.
Bisogna fare dell’Italia un nuovo paese socialista. Spetta ai comunisti mettersi all’opera con determinazione per compiere questo salto.