Pubblichiamo di seguito l’intervista fatta a Tommaso, studente universitario fiorentino militante del Collettivo d’Ateneo – Firenze.
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1. Come Collettivo d’Ateneo partecipate al gruppo di solidali GKN e siete attivi nel promuovere la solidarietà ai lavoratori. Perché pensate che sia importante farlo?
Pensiamo che sia importante perché c’è una compenetrazione notevole fra mondo dell’Università e mondo del lavoro. Negli ultimi trent’anni l’Università è stata rimodellata su un punto cardine fra i tanti: l’interesse del territorio. Con “interesse del territorio” si voleva intendere sempre “interesse delle aziende del territorio”. Questo si andava a concretizzare con tirocini, progetti di ricerca… fino, addirittura, all’ingresso dei privati nei Consigli di Amministrazione (CDA). Basti pensare al fatto che i membri rappresentanti dei privati in CDA sono tre e i rappresentanti degli studenti sono due! Per quanto oggi la rappresentanza studentesca ormai sia relegata a una mera funzione consultiva, questo dato rende bene l’idea di come l’Università sia stata rimodellata. La vicenda della GKN ha reso chiaro che gli interessi del territorio non sono gli interessi delle aziende del territorio, perché l’interesse del territorio fiorentino non può essere lo stesso di un fondo finanziario che delocalizza, lascia a casa 500 persone e toglie un polmone produttivo al territorio.
2. Sempre in merito alla solidarietà ai lavoratori state promuovendo insieme al CPA la campagna “Che lavoro di merda”. Di cosa si tratta e quali obiettivi vi ponete con la campagna?
“Che lavoro di merda” vuole darsi un piano di approfondimento che sia poi accompagnato da un piano di lotta in tutti quei settori di classe che sono più difficilmente raggiungibili, per diversi motivi. L’obbiettivo è quello di mettere al centro il lavoro, contro nuove forme di sfruttamento, la frammentazione, contro l’isolamento di questi settori. Si tratta di settori dove si verificano, più che in altri ambienti, dinamiche di ricatti, isolamento, molestie, che rendono i rapporti di forza chiaramente sbilanciati a favore dei padroni. Per andare più nello specifico, i settori che abbiamo individuato sono quelli della moda, della ristorazione, dei locali, delle cooperative dei servizi, passando per il personale degli alberghi, dei musei, dei grandi eventi, delle fiere… Nel fare questo abbiamo notato che il nesso fra il modello di città e quello di sfruttamento è pressoché inscindibile, perché il modello di città vetrina, la retorica del decoro, la turistificazione di massa hanno come cardine una forza lavoro estremamente più ricattabile. Questo rende più difficile da parte di questa fetta di lavoratori una risposta organizzata, perché si trova a lavorare in condizioni più automatizzate.
C’è da dire, poi, che noi vogliamo condurre questo percorso da una parte aprendo un nuovo fronte di lotta, dall’altro rifiutando delle letture divisive che sono di per sé nocive e fuorvianti. È il capitalismo a rendere di per sé il lavoro salariato precario! Inoltre, avremmo l’ambizione anche di legare questa lotta a questioni come l’alternanza scuola-lavoro, ai tirocini, in particolare se pensiamo al legame che c’è con certi settori (mi viene in mente il lavoro alberghiero) e di ribaltare la retorica volontaristica: il tempo che impieghiamo nel lavoro deve essere pagato!
3. Invece rispetto alla mobilitazione in università quali sono e attività che state mettendo in campo o che avete in progetto?
C’è un tema centrale che ci accompagna ormai da marzo 2020 ed è la riapertura. Ancora all’Università di Firenze ci sono tantissimi studenti che sono costretti a seguire le lezioni a distanza, la maggior parte di essi danno esami e si laureano a distanza. Non è semplice, ci abbiamo provato in tanti modi; è ovvio che non c’è interesse da parte di Rettrice e vari organi di amministrazione non solo verso una riapertura, ma neanche a un piano per una riapertura in sicurezza. Dobbiamo tenere presenti i motivi per cui non c’è questo piano, e questi sono legati inscindibilmente al ruolo sociale che ha l’Università: in questo momento non ha bisogno di riaprire, perché può servire gli interessi delle aziende del territorio anche senza riaprire, anche senza garantire un vero diritto allo studio agli studenti, anche senza dare la possibilità a tanti di seguire l’Università.
C’è poi un altro grande tema: la tendenza, in Toscana, alla diminuzione dei servizi e dei posti alloggio del DSU, che a nostro avviso è preoccupante, tanto più in quanto si accompagna alla costruzione di studentati di lusso sempre più numerosi… Si rischia di andare verso una monetizzazione dei servizi secondo la quale non c’è più la garanzia di servizi (alloggio, mensa eccetera), ma si va verso un contributo economico che necessariamente dovrà andare ad asservire le logiche di mercato che governano affitti, ristorazione e via dicendo.
4. Se guardiamo all’esperienza della GKN, vediamo che quello che hanno ottenuto lo hanno ottenuto ottenute grazie alla mobilitazione diretta e dal basso degli operai e dei solidali, piuttosto che grazie alle istituzioni… Penso che questo come universitari vi faccia fare una riflessione, anche abbozzata sul “mondo del lavoro”, sulle privatizzazioni e sulle logiche del profitto (presenti anche in università), ma anche sul fatto che “la lotta paga”. Quindi cosa state ricavando dall’esperienza di contatto con gli operai GKN?
È evidente come, se non ci fosse stata l’attivazione operaia in primis e poi del territorio, probabilmente oggi staremmo parlando di una storia diversa della GKN. D’altronde, si tratta di un insegnamento che possiamo trarre dalla nostra storia recente: la capacità di provare a vincere (non necessariamente sempre vincere) è determinata dalla capacità che abbiamo di mettere in campo una lotta dal basso che tendenzialmente, per il livello a cui siamo oggi, è vertenziale e può portare a risultati positivi. Questo l’abbiamo visto anche in alcune vertenze passate in merito al diritto allo studio: l’attivazione dal basso, anche se non porta alla vittoria della vertenza in sé e per sé, può riuscire a farci fare avanzamenti sul terreno della lotta fra le classi. Ad esempio, mi viene in mente la vertenza che nacque dalla riforma delI’ISEE fatta dal Governo Renzi che ci ha portati ad occupare un Palazzo della Regione e oggi è uno Studentato Autogestito che gestiamo da quattro anni e permette a decine di studenti di proseguire gli studi e continuare a laurearsi, nonostante i criteri sempre più stringenti delle borse di studio.
5. E come invece pensate di aver contribuito voi alla lotta della GKN?
Oltre alla questione della solidarietà materiale, ovvero quello dell’”esserci”, come militanti e come studenti, crediamo di aver dato un contributo inserendo nella discussione una riflessione sul ruolo dell’Università, di come questa è stata rimodellata e della dialettica che c’è fra Università e aziende.
6. Il Collettivo di Fabbrica ha da subito puntato sull’unione tra studenti e lavoratori e la loro mobilitazione ha dato impulso anche al mondo studentesco a riattivarsi (occupazioni, manifestazioni, costruzione di nuovi collettivi, ecc.). Questa unione, non inedita se pensiamo al movimento degli anni ’70, in un modo o nell’altro va oltre la pura e semplice rivendicazione ma avanza e applica delle proposte politiche e più “strutturali”. Voi come vedete il rapporto tra studenti e lavoratori, come pensate che possa proseguire e con quale fine?
Come dicevo prima, esserci materialmente l’uno per l’altro, soprattutto nei momenti difficili, è una legge. Però senza dubbio questo rapporto fra studenti e lavoratori, oltre alla solidarietà materiale, ha provato a darsi una prospettiva anche politica, come testimonia bene il risveglio di un movimento studentesco nelle scuole che ha portato a un’ondata di occupazioni e al riattivarsi di una mobilitazione che, complice la pandemia, si era affievolita. La valutazione dei primi mesi è quindi positiva, adesso dobbiamo essere bravi ad evitare che anche quest’ondata vada ad affievolirsi e si riesca a costruire una critica politica collettiva che possa aiutare studenti e lavoratori nella propria attività specifica.
7. Hai delle considerazioni finali?
No, vi ringraziamo per lo spazio.